domenica 26 giugno 2022

La campana di vetro

 "Mi sentivo come un cavallo da corsa in un mondo senza ippodromi, o come un campione di calcio dell'università che si trova tutt'a un tratto di fronte a Wall Street e al doppiopetto grigio, i suoi giorni di gloria ridotti alle dimensioni di una piccola coppa d'oro sulla mensola, con su incisa una data, come una lapide di cimitero.
Vidi la mia vita diramarsi davanti a me come il verde albero di fico del racconto.
Dalla punta di ciascun ramo occhieggiava e ammiccava, come un bel fico maturo, un futuro meraviglioso. Un fico rappresentava un marito e dei figli e una vita domestica felice, un altro fico rappresentava la famosa poetessa, un altro la brillante accademica, un altro ancora era Esther Greenwood, direttrice di una prestigiosa rivista, un altro era l'Europa e l'Africa e il Sud America, un altro fico era Constantin, Socrate, Attila e tutta una schiera di amanti dai nomi bizzarri e dai mestieri anticonvenzionali, un altro fico era la campionessa olimpionica di vela, e dietro e al di sopra di questi fichi ce n'erano molti altri che non riuscivo a distinguere. 
E vidi me stessa seduta sulla biforcazione dell'albero, che morivo di fame per non saper decidere quale fico cogliere. Li desideravo tutti allo stesso modo, ma sceglierne uno significava rinunciare per sempre a tutti gli altri, e mentre me ne stavo lì, incapace di decidere, i fichi incominciarono ad avvizzire e annerire, finché, uno dopo l'altro, si spiaccicarono a terra ai miei piedi."

La campana di vetro, Sylvia Plath

Edito Mondadori
Costo 10€ 

Qualcosa nell'aria che respiriamo o nell'acqua che beviamo o negli abbracci che riceviamo, è in grado di comunicarci quanto sia difficile - se non addirittura impossibile - avere una vita piena, felice, appagante e variegata per chiunque si discosti - anche solo infinitesimamente - dal ruolo che gli è stato assegnato alla nascita. Eppure, sin dalla più tenera età, abbiamo osservato il nostro corpo e scandagliato la nostra mentre e siamo giunti alla conclusione che le nostre forme - fisiche e mentali - non rientrano nelle vite-stampo preconfezionate. Naturalmente, c'è stato un momento, o forse più di uno, in cui avremmo voluto che entrambe le spalle ed anche una caviglia si slogassero, pur di rientrare negli accettabili confini proposti; poi, però, ci siamo dati degli sciocchi: la slogatura non sarebbe bastata a reinserirci negli schemi, perché il mostro che si aggira dentro la campana di vetro esige un sacrificio decisamente più consistente e di noi sarebbero rimaste solo briciole.
Così, nel suo unico romanzo, Sylvia Plath rivive, attraverso la brillante studentessa Esther, lo smarrimento, l'inadeguatezza e il dolore provati davanti ad un mondo che predilige la via dell'esclusione e dell'alienazione (ecco la famosa "campana di vetro"): sin dagli albori, qualcosa - privo di sembianze e nome propri, probabilmente insito nell'aria mefitica in cui viviamo - ci costringe a non credere nella moltitudine e nella coesistenza degli opposti, bensì a scegliere la carriera lavorativa o la maternità, la castità o la prostituzione, la mente o il corpo, il bianco o il nero. 
La campana di vetro è un vero e proprio inno alla diversità, alla complessità e - incredibilmente - anche alla biodiversità (no, non siamo l'uno la copia dell'altro). 
Tuttavia, Plath, è anche consapevole del potere corrosivo dell'ambiente che ci circonda: Esther ne manifesterà gli effetti sviluppando una forte depressione, che esiterà in un tentativo suicidario (non riuscito) e che la porterà ad una lunga e faticosa riabilitazione: sarà, così, costretta a ridisegnare i confini ed il contenuto del proprio corpo e della propria mente. 



lunedì 13 giugno 2022

La ciociara

 “In quel sonno mi pareva che la terra in cui ero nata e che avevo abbandonato da tanto tempo mi avesse ripreso nel suo seno e mi comunicasse la sua forza, un po’ come succede alle piante sradicate che se le ripianti presto ripigliano forza e riprendono a buttare fogli e fiori. Eh, sì, siamo piante e non uomini, o meglio più piante che uomini e dalla terra dove siamo nati viene tutta la nostra forza e se l’abbandoniamo non siamo più piante né uomini ma straccetti leggeri che la vita può sbattere di qua e di là secondo il vento delle circostanze”.

La ciociara, Alberto Moravia

 

Edito Bompiani

Costo 9,90 (1+1)

 

In queste pagine, la storia di due donne si intreccia e si lega indissolubilmente a quella della Seconda Guerra Mondiale. 

Cesira e Rosetta, rispettivamente madre e figlia, saranno costrette dalla fame e dall’approssimarsi dell’occupazione nazista e dei combattimenti a lasciare la propria dimora romana, in favore di una precaria sistemazione nei dintorni di Fondi – cittadina laziale situata nell’antica regione della Ciociara. Il tragitto e l’esilio sui monti – che arriverà a durare nove mesi – verranno narrati dall’inconfondibile personaggio di Cesira: nata in Ciociara e abituata a saggiare il terreno attraverso le ciocie (calzari tipici della sua regione natia), si sposa da giovane con un commerciante romano, insieme al quale concepisce Rosetta. Ormai vedova all’inizio del racconto, si troverà a dover proteggere sua figlia e se stessa su innumerevoli fronti e da numerosi nemici. Anche se, ben presto, sarà obbligata a riconoscere la difficoltà dell’impresa, soprattutto per una donna sola in tempi in cui la violenza e la disonestà sono ormai sdoganate e all’ordine del giorno.

Così, il cambiamento più grande con cui il lettore dovrà fare i conti, non sarà quello relativo al paesaggio, bensì quello riguardante l’animo umano. Un avvenimento violento e brutale sbarrerà loro la strada e le costringerà a percorrere in solitudine il cammino necessario ad aggirarlo e superarlo. Fortunatamente, una volta lasciate alle spalle le macerie, riusciranno a ritrovarsi.





Gideon La Nona

“«Basta» sbottò la Reverenda Figlia, con la voce affilata come un rasoio. «Preghiamo.» Il silenzio scese sull’assemblea, come i lenti fiocch...