domenica 30 agosto 2020

Poirot e la pipa

Sebbene Poirot non abbia come tratto caratteristico l’aspirazione del fumo attraverso la pipa e in un passo affermi addirittura di non fumarla* e di prediligere la sigaretta, nell’immaginario collettivo -soprattutto per via dell’influenza del suo famoso collega, Sherlock Holmes, sulla stessa Agatha Christie e per via del contesto storico in cui nacque questa figura, con un’ampia diffusione della pratica in tutte le classi sociali, motivo per cui molti personaggi negli stessi racconti o romanzi la fumano- rimane uno degli oggetti maggiormente carichi di significato e associati alla figura del detective. Infatti, sebbene le opere della Christie si collochino all’interno del genere giallo, non mancano di acutezza e di profondi riferimenti psicologici. Perciò, naturalmente essendo consapevoli dei danni che si arrecano ad alcuni organi del nostro organismo (io stessa non ho mai intrapreso tale costume), quali sono le ragioni psichiche e sociali che si celano dietro a questa pratica? Secondo alcuni studiosi “fumare diventa il mezzo attraverso il quale superare tutto ciò che nell’individuo provoca tensioni psichiche intollerabili; agisce in termini di soddisfazione della pulsione derivante dal piacere di succhiare, ingerire ed incorporare, tipico della fase orale nel neonato” e questo può essere ricondotto anche al motivo per cui gli antichi hanno dato origini a questa pratica. Al contrario, Freud (da molti ritenuto un fumatore incallito), nella sua teoria dello sviluppo psicosessuale, ipotizzò che la ricerca di gratificazione orale -come quella tipica del consumo di sigarette- possa dipendere da un blocco dello sviluppo stadiale: a causa di traumi o condizioni avverse tale blocco può impedire alla persona di superare la fase orale (dell’infanzia), portandola ad esprimere la libido attraverso la suzione e altre strategie basate sulla stimolazione orale. Inoltre, vide anche tale tendenza come autodistruttiva e ipotizzò la presenza di due tipologie di pulsioni di vita e di morte chiamate Eros e Thanatos, intese come due componenti presenti in ciascuno di noi, che spingono la persona a soddisfare bisogni legati alla riproduzione e alla morte, ma anche all’autodistruzione. Eppure, negli anni Sessanta (e in alcuni contesti lo ancora oggi), divenne simbolo di emancipazione: l’inizio di tale pratica sanciva la fine dell’adolescenza e l’inizio dell’età adulta. Per tale motivo, in quest’articolo cercherò di risalire alle origini di tale strumento e di farvi conoscere com’è mutata nei secoli l’immagine che i più hanno di esso.

*“«Sono Hercule Poirot» disse il belga con dignità.

«Potreste anche essere la statua di Achille, per quello che me ne importa. Come

stavo dicendo, Barbara e io ci siamo lasciati in ottima armonia. Io sono andato direttamente

al Club Far East. Ci sono arrivato alle dieci e trentacinque e sono entrato

subito nella sala da gioco. Sono rimasto lì a giocare a bridge fino all’una e mezzo.

E adesso si cacci tutto nella pipa e se la fumi!»

«Non fumo la pipa» disse Poirot.

Delitto nel Mews, Agatha Christie

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Ragazzo con pipa, Pablo Picasso

Il gesto attraverso il quale viene preparata la pipa ha origini antichissime e ha avuto notevoli evoluzioni nel tempo, sia in fatto di tecniche che di materiali. La sua storia si confonde spesso con la leggenda ed è diversa da quella del tabacco, le cui origini risalgono all’epoca precolombiana. Infatti, sin dai tempi più remoti, il fumo ha esercitato sull’uomo un fascino particolare, a partire dai riti preistorici quando si bruciavano erbe aromatiche o inebrianti sulle braci per richiamare l’attenzione degli spiriti o delle divinità e chiedere loro aiuto e/o protezione. Si possono ritrovare delle testimonianze risalenti ai più antichi popoli africani e asiatici, che mostrano come il progenitore della pipa altro non fosse che un buco nel terreno in cui venivano adagiate delle erbe -tra cui anche la canapa- e fatte così bruciare. Perciò, se guardiamo il fumo e il fuoco da questo punto di vista, non potremmo forse attribuire a Prometeo anche il merito di aver consentito all’umanità di poter comunicare con gli dèi? 

Strumenti usati nell'aspirazione del fumo sono stati rinvenuti in tombe faraoniche risalenti al 2000 a.C. circa. Una strana pipa a forma di cilindro è stata scoperta a Mossul (odierna Siria) e si stima che risalga a migliaia di anni fa. Nell’antica Grecia e nell’antica Roma, come testimoniano gli scritti di Erodoto, Plinio il Vecchio e Plutarco, la pipa veniva utilizzata come strumento per aspirare il fumo generato dalla combustione di alcune erbe, quali la Damiana (erba, originaria del sud America e nota fra gli aztechi, conosciuta per via delle sue proprietà rilassanti, antidepressive e afrodisiache), il Verbasco (usate nell’antichità per curare problemi respiratori, asma, raffreddori e bronchiti), il rosmarino, la menta, la camomilla e molte altre per i motivi più disparati; addirittura, un affresco a Ercolano in cui delle donne sono ritratte mentre ne fumano alcune mostra quanto fosse radicata tale usanza. Ne Il Signore degli anelli si ritrova anche l’erba pipa, una particolare pianta che cresce nella Contea ed è molto apprezzata dai suoi abitanti Hobbit, dagli Uomini di Brea, dai Raminghi del Nord e dagli Stregoni che la fumano in pipe di legno per assaporarne il gusto: anche le opere di letteratura mostrano quanto sia radicato questo costume nell'uomo. La pianta del tabacco era considerata sacra; semi e foglie di tabacco sono state trovate recentemente durante i restauri di una mummia egizia. I semi di tabacco erano usati anche dalle popolazioni della Cina -oltre tremila anni fa- quali antifecondativi.

Le prime pipe, come le intendiamo noi oggi, sono quelle diffusesi tra le Tribù del Nord America. Erano costituite da una testa in pietra a forma di T rovesciata e da un lungo bocchino in legno, canna o pietra. Le più conosciute pipe indiane sono i Calumet della pace usati dalle tribù Sioux. Il fornello di queste pipe era minuziosamente scolpito mentre il bocchino di canna nera colorato e risultava ornato di penne d’aquila, crini e strisce di pelle con significato simbolico in relazione all’uso che ne veniva fatto. Questi strumenti erano molto lunghi: misuravano un metro e oltre. Le Tribù di questa terra fumavano in occasioni eccezionali: per accogliere degnamente l’ospite importante e per onorare il Grande Spirito; il rito era il seguente: ciascuno tirava quattro sbuffate verso i 4 punti cardinali. 

Calumet

In ogni caso, gli europei impararono a fumare la pipa dalle popolazioni del sud-est degli Stati Uniti, dove sono state rinvenute pipe dal bocchino curvo e dal fornello in terracotta. Infatti, in Europa l’uso della pipa ebbe inizio tra i marinai spagnoli e alla metà del sedicesimo secolo si era diffuso in Portogallo, Francia e Olanda. Agli inizi del ‘600 era ormai tradizione in tutti i Paesi europei. Le prime pipe artigianali diffuse in Europa erano probabilmente in argilla, molto comuni in Inghilterra alla seconda metà del ‘500. Queste erano costituite da un unico pezzo ed avevano un fornello molto piccolo. All’inizio del ‘700 il fornello aumentò di dimensione e la sua forma divenne più ricercata. Contemporaneamente in Olanda iniziò la produzione in argilla con le stesse caratteristiche di quelle inglesi -dovuta all’arrivo in Olanda dei protestanti inglesi cacciati dall’Inghilterra da Giacomo I. Nel 1617 venne aperta la prima azienda artigianale. Le pipe olandesi divennero presto il prototipo della produzione europea e vennero copiate un po’ ovunque, soprattutto in Germania, in Austria, in Svizzera e in Francia. La loro fragilità e la grande diffusione con la conseguente crescente richiesta portarono a un vero e proprio boom della fabbricazione industriale. Il prezzo era molto basso e ogni compratore ne acquistava dozzine per volta. La produzione migliorò grazie alla competitività tra fabbriche e la pipa si trasformò da strumento per il fumo in oggetto d’arte. Le forme e le dimensioni cambiarono notevolmente: quella olandese in argilla bianca che originariamente era lunga dai 10 ai 30 cm diventò nei primi anni del ‘600 lunga 30-50 cm per poi assumere una lunghezza che andava oltre gli 80 cm. Nel ‘700 la pipa deve fare i conti con il propagarsi, specie nelle classi più elevate, della voga del fiuto che dà origine alla produzione di oggetti spesso di pregio artistico (si pensi alle tabacchiere) e a un vero e proprio rito sociale. La pipa, a sua volta, si impreziosisce e si differenzia nelle forme e nella materia prima: metalli più o meno nobili e persino vetro (ricercata specialità, questa, di Bristol e di Venezia).

Ma è l’uso di una nuova materia, la schiuma di mare, a segnare un’ulteriore cambiamento nel modo di considerare questo oggetto: ancor oggi sono considerate assai pregiate e ricercate nella loro limitata produzione, sia nelle forme classiche che in quelle più artistiche. La cosiddetta schiuma di mare non è altro che il minerale scientificamente conosciuto come silicato di magnesio e, almeno nella specie più pregiata, si trova solo in Anatolia (Turchia) nel sottosuolo argilloso. La schiuma ebbe il suo periodo di maggior splendore dall’800 al ‘900; le migliori erano fabbricate a Vienna. Di pipe in questo materiale ne vengono tuttora prodotte soprattutto in Turchia.

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Pipa in schiuma di mare

Verso il 1850-60, con l’impiego di un nuovo legno durissimo e dalla venatura particolare, la Radica (Erica Arborea un arbusto che cresce solo sulle sponde del Mediterraneo) la pipa venne prodotta industrialmente con torni e macchine. I primi furono i francesi; seguiti dagli italiani. Così, la pipa si diffuse rapidamente in tutta l'Europa e in tutte le classi sociali.


Fonti:

https://www.romagnolopipe.it/storia-della-pipa/

https://www.gustotabacco.it/storia/183-origine-e-storia-della-pipa/

https://www.psicoterapiapsicologia.it/articoli-psicologia-psicoterapia/tabagismo-aspetti-psicologici-del-fumare

giovedì 27 agosto 2020

Agatha Christie e l'archeologia

 Agatha Christie nacque a Torquay (Devon, Inghilterra) il 15 settembre del 1890 da una famiglia agiata, fu la minore di tre figli e venne educata e cresciuta in casa dalla madre, circondata da forti e indipendenti figure femminili, almeno fino a quando -a 16 anni- non decise di andare a studiare canto e piano a Parigi. Sin dalla più tenera età venne incoraggiata a scrivere, prendendo esempio dalle opere di Mary Louisa Molesworth, Edith Nesbit e Lewis Carroll. Scrisse la sua prima poesia, intitolata The cowslip, all’età di dieci anni. Nel 1910, a causa della malattia della madre, si recò con lei in Egitto ed elaborò i suoi primi romanzi ambientati proprio a Il Cairo, tra questi ritroviamo anche Snow Upon the Desert.

Eppure, nonostante i suoi inizi precoci, fu solo durante la Prima Guerra Mondiale, quando prestò servizio come infermiera volontaria -dove venne a contatto con una colonia di rifugiati belgi e spronata dalla sorella maggiore (Margaret Miller) a scrivere un romanzo poliziesco simile a quelli che lei stessa trovava nei comodini dei suoi pazienti- che dalle sue piccole cellule grigie venne partorito un ometto di origine belga sempre molto signorile, alto meno di un metro e sessanta, con la testa a forma di uovo, un paio di baffi rigidi e un po’ zoppicante. Il nome a cui risponde questa figura, probabilmente influenzata dalla passione adulta nei confronti di Wilkie Collins (con la sua La donna in bianco) e Sir Arthur Conan Doyle (con il suo celebre Uno studio in rosso), è quello di Hercule Poirot: una sorta di Socrate del ‘900 che non rispecchia lo stereotipo dell’uomo bello e buono; eppure, nonostante l’aspetto, la sua mente e le sue piccole cellule grigie diventano ben presto le più ricercate e amate d’Inghilterra per la risoluzione di sparizioni, omicidi e dei casi più disparati. Non va dimenticato che nello stesso periodo, o meglio poco prima dell’inizio del conflitto mondiale, Agatha conobbe Archie Christie che divenne suo marito alla Vigilia di Natale del 1914. Sebbene il primo romanzo fosse concluso da anni, venne pubblicato esclusivamente nel 1920 con il titolo di Poirot a Styles Court, dando così inizio ad una serie di romanzi e di racconti che entrarono presto nel cuore di milioni -miliardi contando i posteri- di persone.

Alla fine dell’agosto del 1919 Agatha partorì la sua prima figlia, Rosalind Margaret. Qualche anno dopo, grazie all’impiego di Archie come promotore dell'Esposizione dell'Impero Britannico, la coppia lasciò la figlia Rosalind con la madre e la sorella della scrittrice e intraprese una serie di viaggi alla scoperta del Sudafrica, dell’Australia, della Nuova Zelanda e delle Hawaii. Se da un lato fu un viaggio estremamente formativo, dall’altro fu anche particolarmente sofferto: in questo periodo Archie conobbe e si innamorò di Nancy Neele. Dopo poco tempo, verso la fine del 1926, chiese ad Agatha il divorzio. Da questo evento partì la curiosa sparizione della scrittrice, divenuta ormai celebre, per circa dieci giorni. La sua auto venne ritrovata in un dirupo con dei documenti scaduti e di lei non si seppe nulla se non all’undicesimo giorno, quando venne riconosciuta come ospite di un hotel, registrata come Tressa Neele (stesso cognome dell’amante del marito). Nella sua autobiografia non parlò mai dell’accaduto e diversi medici le diagnosticarono amnesia; per lei fu un anno abbastanza traumatico e stressante caratterizzato dalla scomparsa della madre, la scoperta del tradimento del marito e la grossa mole di lavoro letterario. 

Nel 1928 i coniugi divorziarono (Archie si risposò subito con Nancy Neele). Agatha in quello stesso anno lasciò l’Inghilterra per recarsi ad Istanbul e raggiungere, attraverso il celebre Orient Express, Baghdad (attuale Iraq) -da questo viaggio nacque proprio uno dei suoi più celebri romanzi, Assassinio sull’Orient Express.

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Dara-The Ephesus of Mesopotamia

 Dopo aver visitato Baghdad, accompagnata dai coniugi Wooley, si recò a Ur (vicino a Nassiria, più a sud di Baghdad). Ur, situata vicino all’antica foce del Tigri e dell’Eufrate (Mesopotamia del sud), è stata ed è attualmente un’area importantissima dal punto di vista archeologico e storico. Qui vennero ritrovati moltissimi reperti, provenienti soprattutto da più di 1850 tombe, quali vasellame, armi, monili in metalli preziosi e strumenti musicali ampiamente decorati. Inoltre, la zona si caratterizza per la presenza delle rovine di un’imponente Ziqqurat (di circa 21 metri) e di un tempio dedicato a Nanna (mitologia sumera e poi babilonese), anche chiamato Sin o divina falce di luna, era la divinità protettrice della luna, del ciclo lunare e mestruale e dei pastori, veniva anche designata come padre degli dei. Era raffigurata, almeno nei sigilli cilindrici, come un vecchio con la barba di lapislazzuli accompagnato da una mezza luna; infatti, simboli principali di Nanna e della sua progenie erano la mezza luna, la stella ad otto punte e il disco solare (Triade sacra). Il nome del Monte Sinai deriva proprio da questa divinità: monte di Sin o territorio di Sin, una delle sedi principali del culto di questo dio. Eppure, Ur è importantissima anche dal punto di vista storico: secondo alcuni studiosi, fu la più grande città del mondo dal 2030 a.C. al 1980 a.C. con una popolazione media di 65.000 abitanti; inoltre, viene nominata più volte nel Libro della Genesi come luogo di nascita del patriarca Abramo.

Così, Agatha frequentò questi luoghi e poté prendere parte alle scoperte effettuate in quegli anni -Wooley, archeologo molto famoso, è noto per aver ricondotto ed interpretato lo strato di fango alluvionale situato nella profondità del terreno all’origine del mito del diluvio sumerico (oggi noto come Il diluvio Universale grazie al racconto biblico dell’Arca di Noè).

Il diluvio, Gustave Doré


Venne invitata a tornare nel 1930 e in questo periodo conobbe Max Mallowan e consolidò il suo amore per la storia dell’antichità (vedasi etimologia di archeologia). Agatha afferma di essere rimasta affascinata dall’uomo di circa 15 anni più giovane e di lui dice: “thin, dark young man” who was “very quiet – he seldom spoke, but was perceptive to everything that was required of him.”. Di conseguenza, quando Katherine Wooley propose a Max Mallowan di accompagnare Agatha in una visita della zona, tra i due scoccò subito la scintilla e alla fine dell’anno iniziarono un lungo e felice matrimonio. Nessuno può affermare con esattezza cos’abbia fatto nascere in lei l’amore per quei luoghi e per la professione di archeologo, se una particolare predisposizione in un particolare periodo di vita o se la felicità di avere accanto la persona amata; ma, al di là di questo, tutti possiamo beneficiare di quest’amore per il sapere che traspare in moltissime sue opere, quali Poirot sul Nilo (prese spunto dagli scavi del tempio di Abu Simbel), Non c’è più scampo (Medio Oriente), La domatrice (Gerusalemme e Petra), Il mondo è in pericolo (Baghdad) e molti altri. Nel 1970 scrisse anche un romanzo dedicato a Akhenaten, faraone 'eretico', da cui si possono evincere le sue scrupolose ricerche e ampie conoscenze -il suo amore per l'antico Egitto nacque sin dalla fanciullezza.

Infatti, Agatha visse per i successivi venti e più anni insieme al marito vicino a zone di scavo, spesso aiutando nella pulizia e nella riparazione di manufatti, nello scatto di fotografie per la catalogazione degli oggetti (esiste una mostra che raggruppa tutti i suoi scatti) e in molto altro. Inoltre, le è stata accreditata la tecnica di conservazione e pulizia degli avori di 3.000 anni, ritravati tra Mallowan e Nimrud in Iraq, grazie all'uso della sua crema per il viso e di un bastone arancione.

Vi lascio con le parole della sua autobiografia: 

“The lure of the past came up to grab me. To see a dagger slowly appearing, with its gold glint, through the sand was romantic. The carefulness of lifting pots and objects from the soil filled me with a longing to be an archaeologist myself.” 

A. Christie, An Autobiography (London, 1981), p. 389

Lo scopo di questo articolo è quello di farvi conoscere e apprezzare una delle sue più grandi passioni. Buona lettura.

mercoledì 26 agosto 2020

Poirot

 Oggi ha inizio il blog tour organizzato da @attimidiprosablog sul volume Poirot – Tutti i racconti, edito @oscarvault e dal costo di 25€. Non posso non ringraziare Dalila per la sua impeccabile organizzazione dell’evento e la Oscar Vault per averci permesso di leggere in anteprima il volume. Nella foto a seguire troverete le date associate ai vari argomenti trattati e i blog partecipanti. Io avrò la possibilità di parlare sia della vita di Agatha Christie (domani, 27/08), concentrandomi sul rapporto archeologia e scrittura, che del ruolo della pipa nell’immaginario collettivo (30/08). Mi auguro vi incuriosisca e vi venga voglia di collezionare questo originalissimo volume.



giovedì 20 agosto 2020

Persone normali

“L'altra settimana, con Connell e Niall sono andati a una manifestazione contro la guerra a Gaza. C'erano migliaia di persone, con cartelli, megafoni e striscioni. A Marianne è venuta voglia che la sua vita contasse qualcosa, le è venuta voglia di fermare tutte le violenze commesse dai forti contro i deboli, e si è ricordata di un tempo, anni prima, in cui si era sentita così intelligente e giovane e potente che avrebbe quasi potuto farcela, mentre adesso sapeva che potente non lo era affatto, e che avrebbe vissuto e sarebbe morta in un mondo di estrema violenza contro gli innocenti, potendo al massimo aiutare poche persone. Era infinitamente più difficile venire a patti con l’idea di aiutare poche persone, tipo che avrebbe quasi preferito non aiutare nessuno piuttosto che fare qualcosa di così limitato e inefficace, ma non era nemmeno questo il punto”.

Persone normali, Sally Rooney

 

Edito Einaudi

Costo 11


Ci sono libri che riescono a riaccendere nel cuore la speranza perché ricordano l’esistenza di persone, come Sally Rooney, in grado di cogliere quei movimenti, quegli sguardi, quelle carezze e quelle ferite e ammaccature spesso invisibili ai più. Per tale motivo, ciò che ho trovato in queste 231 pagine va oltre il racconto di una storia d’amore o una relazione fra due giovani adulti alla prima esperienza; tra le righe ho osservato emergere un istinto di autoconservazione potentissimo che si è manifestato per lo più nella relazione tra Marianne e Connell (ma non solo), con Connell che – inconsciamente - percepisce la necessità di andare oltre il socialmente accettato per ricercare la sostanza e con Marianne che cerca qualcuno che smentisca e ripulisca la sporcizia lasciata dai suoi familiari. Perciò, sebbene la colonna portante sia identificabile nella relazione che li coinvolge, il romanzo ha tanti altri punti d’appoggio che estendono e ampliano la narrazione: la disparità economica che fa emergere punti di vista diversi su medesime questioni (ad esempio la scelta del corso universitario), la provenienza da famiglie affettivamente ed emotivamente opposte che mostrano quanto alcune cose siano scontate per alcuni e meno per altri* e le ripercussioni che la vita familiare ha nelle relazioni amorose o sessuali.

Così, nella distanza tra due corpi si intrecciano attrazione sessuale, vergogna, bisogno di accettazione da parte dell’altro, bisogno di accettazione da parte di se stessi (perché Il corpo sa tutto, citando Banana Yoshimoto, e sa quanto è inutile il parere della società), paura di essere stati fabbricati sbagliati e per questo non poter essere amati e angoscia derivata dalla consapevolezza di quanto sia vicina e frequente la solitudine dell’anima o il vuoto interiore. Ne consegue che, sebbene Marianne e Connell siano quasi sempre fisicamente soli nei loro incontri, mentalmente lo sono di rado e questo comporta dolore e incomprensioni.

Personalmente mi sono affezionata soprattutto a Marianne, nonostante abbia trovato un po’ di me anche in Connell; in lei vedo una fiamma che risplende sopra una minuscola roccia circondata dall'acqua, costantemente in pericolo, ma che trasmette sin dalle prime pagine una forza spaventosa: quella della vegetazione che penetra l'asfalto o la pietra e, anche se indifesa e più in risalto (non più mimetizzata), continua la sua crescita a dispetto di chi cerca di annientarla.

Non sono sicura di poter trasmettere con le mie parole la bellezza e l’essenzialità che caratterizzano il romanzo perché, nonostante Sally Rooney faccia apparire semplice la descrizione delle dinamiche umane, non lo è per niente, per questo vi invito a leggerlo e cercare di capirli attraverso questo piccolo ma intenso libricino. Buona lettura.

 

*

“C’è un sacco di gente che ti ama, Marianne. Ok?

La tua famiglia e i tuoi amici ti amano.

Lei rimane zitta per qualche secondo e poi dice:

Tu la mia famiglia non la conosci. […]”

Persone normali, Sally Rooney


giovedì 6 agosto 2020

Jane Eyre

“Mi fece sedere e sedette lui stesso. «L’Irlanda è lontana, Janet, e mi dispiace mandare la mia piccola amica a fare un viaggio così faticoso: ma se non trovo altra via di uscita, che cosa si può fare? Credete, Jane, di avere una sorta di parentela con me?» Non osavo rispondere in quel momento: avevo il cuore gonfio. «Perché» disse «qualche volta, soprattutto quando mi siete vicina, come ora, ho nei vostri confronti una sensazione strana: mi sembra di avere una corda, sotto le costole, a sinistra, strettamente, inestricabilmente annodata a una corda analoga situata nella stessa zona del vostro corpo esile. E se quel tempestoso tratto di mare e tre, quattrocento chilometri di terra si metteranno con tutta la loro vastità tra noi, ho paura che quella corda che ci unisce verrà spezzata; e allora temo che comincerei a sanguinare internamente. Quanto a voi… mi dimenticherete.»

«Questo non lo farei mai, signore; voi sapete…» Mi fu impossibile proseguire.

«Jane, sentite l’usignolo cantare nel bosco? Ascoltate!»

Ascoltandolo, singhiozzavo convulsamente, poiché non riuscivo più a dominarmi: ero costretta ad arrendermi; e una profonda angoscia mi scuoteva dalla testa ai piedi. Quando infine potei parlare, espressi soltanto l’impetuoso desiderio di non essere mai nata, o mai giunta a Thornfield.

«Perché vi dispiace lasciarla?»

La violenza dell’emozione suscitata dalla pena e dall’amore che erano in me rivendicava un completo dominio e lottava per impadronirsi di me; e proclamava il diritto di predominare: di sopraffare, vivere, sorgere e infine regnare; sì… e il diritto di parlare.

«Soffro a lasciare Thornfield: amo Thornfield: la amo, perché qui ho vissuto una vita piena e gioiosa… almeno per qualche tempo. Non sono stata calpestata. Non sono stata avvilita e paralizzata. Non sono stata seppellita insieme a menti inferiori, esclusa anche dal più piccolo bagliore di comunione con l’intelligenza, l’energia, la nobiltà. Ho discusso, da pari a pari, con una realtà che mi ispira profondo rispetto; la cui presenza è una gioia per me: con una mente originale, vigorosa, vasta. Ho conosciuto voi, signor Rochester;

e mi sento vincere dal terrore e dall’angoscia al pensiero che devo venire strappata per sempre dalla

vostra presenza. Vedo bene che la partenza è necessaria, ed è come guardassi la necessità della morte.» […]

«Vi dico che devo andare!» ribattei quasi con furia. «Credete che potrei rimanere e non essere più nulla per voi? Credete che io sia un automa, un meccanismo insensibile? Che possa sopportare di vedermi strappato di bocca il mio pezzo di pane, di veder gettato via dalla coppa il sorso d’acqua che mi è necessario per vivere? Credete, perché sono povera, oscura, brutta e piccola, che io sia senza anima e senza cuore? Vi sbagliate! Ho un’anima come voi, e un cuore forse più grande del vostro! Se Dio mi avesse donato un po’ di bellezza e molta ricchezza, vi avrei reso difficile lasciarmi, come lo è ora per me lasciare voi. Non vi parlo attraverso le usanze e le convenzioni, neppure attraverso la mia spoglia mortale: è il mio spirito che si rivolge al vostro spirito; come se entrambi avessimo conosciuto la morte e fossimo ai piedi di Dio, noi due, uguali… come siamo!»

«Come siamo!» ripeté il signor Rochester. «Così,» aggiunse prendendomi tra le braccia, stringendomi al petto, posando le sue labbra sulle mie «così, Jane.»”.

 

Jane Eyre, Charlotte Brontё

 

Edito Oscar Vault

Costo 28€

 

Jane Eyre è il romanzo più conosciuto e apprezzato di Charlotte Brontё. Venne pubblicato nel 1847, quando l’autrice aveva 31 anni, sotto lo pseudonimo di Currer Bell e riscosse sin dall’inizio un grandissimo successo. Attualmente è considerato uno dei capolavori della letteratura inglese e, nonostante il passare degli anni, continua ad attrarre e affascinare le nuove generazioni. Ci sono svariati motivi che consentono al lettore di accostare all’opera gli aggettivi “meravigliosa”, “splendida” ed “eccellente”: dallo stile scorrevole e incantevole, alle impareggiabili descrizioni dell’animo umano che permangono immutate nella nostra memoria anche dopo molti anni dalla loro lettura. È un’opera magistrale che, sebbene apparentemente racconti dell’infanzia, dell’adolescenza e della vita adulta di Jane Eyre (orfana di padre e madre), cela al suo interno misteri, segreti, atmosfere cupe e segnali premonitori (mi riferisco, senza entrare troppo nel dettaglio, all’albero distrutto durante un temporale), ma anche amicizia (Helen), amore, sacrificio, passione, dolcezza, tenerezza e libertà.

Helen Burns fece alla signorina Smith una domanda insignificante sul suo lavoro, venne prontamente rimproverata per la pochezza della richiesta, ritornò al suo posto, e mi sorrise mentre di nuovo mi passava davanti. Lo ricordo ancora quel sorriso, e so che era l’espressione di una bella intelligenza, di un autentico coraggio; illuminava i suoi lineamenti marcati, il volto sottile, i grigi occhi infossati come il riflesso del viso di un angelo. Eppure, in quel momento Helen Burns aveva al braccio il “distintivo della trascuratezza personale”; e soltanto un’ora prima era stata condannata dalla signorina Scatcherd a pranzare l’indomani a pane e acqua, perché, copiandolo, aveva macchiato un esercizio. Imperfezione della natura umana! Vi sono macchie sulla superficie dei pianeti più luminosi; occhi come quelli della signorina Scatcherd riescono a vedere soltanto quei minuscoli difetti, e sono ciechi al pieno splendore dell’astro”.

                                                                                                 Jane Eyre, Charlotte Brontё

Esistono parole più belle, affettuose e sincere per descrivere una persona amica?

Sin dai primi capitoli, risulta evidente l’impronta autobiografica data all’opera: Lowood, l’istituto frequentato da Jane, non è altro che la Clergy Daughter's School di Cowan Bridge frequentata da Charlotte e dalle sue sorelle, caratterizzata da condizioni igieniche inadeguate e vitto insufficiente -che porteranno alla morte delle due sorelle maggiori (Maria ed Elizabeth). Si possono trovare dei richiami alla vita e agli interessi dell’autrice anche nella grandissima passione di Jane per il disegno, nello specifico i ritratti; così, da artista amatoriale, che ha ricevuto la tipica educazione riservata alle giovani donne dell’epoca (generalmente limitata alla riproduzione o all’emulazione di opere ampiamente diffuse con l’intento di addobbare casa o di regalarle ai propri familiari), ben presto fa del disegno il modo e il mezzo principali attraverso cui esprimere i propri pensieri, le proprie preoccupazioni, i propri sentimenti e la propria voglia di indipendenza -la rappresentazione grafica diventa così creativa e non semplice riproduzione. La stessa Charlotte sviluppò rapidamente la capacità di ritrarre in modo dettagliato ciò che la circondava o i volti che osservava; per un certo periodo, la sua aspirazione più grande era quella di diventare una pittrice e di guadagnare attraverso le sue opere, tant’è che per realizzarlo dedicava al disegno e alla pittura più di nove ore al giorno.

Per via della stretta connessione tra Jane e arte grafica, molti studiosi ritengono che, per una migliore comprensione dei romanzi, sia necessario conoscere e studiare sia la Charlotte scrittrice che la Charlotte disegnatrice: le due non possono essere scisse. Claire Harman (autrice di diverse biografie e docente di Inglese all’Università di Manchester e Oxford), addirittura, è convinta che in uno dei ritratti di Charlotte del 1843, solo recentemente identificato come auto-ritratto, risieda il seme che poi diversi anni dopo darà vita a Jane Eyre. Nell’opera è presente un passaggio in cui la stessa Jane ritrae sé stessa davanti allo specchio, con una posizione e un’acconciatura molto simile a quella che troviamo nell’autoritratto di Charlotte, e lo fa per convincere sé stessa di non meritare le attenzioni di Mr Rochester perché “troppo povera, semplice ed indipendente”. Harman riconduce questo passaggio alla concezione che la Brontё aveva di sé: “La scrittrice era dolorosamente consapevole del proprio aspetto, e questo ritratto è stato identificato come suo dalla descrizione dei suoi sgraziati lineamenti – un naso largo, sopracciglia prominenti, occhi penetranti e bocca pendente da un lato per nascondere denti non perfetti”. 

Charlotte Brontë (1816-1855). Pencil sketch, possibly a self-portrait, on a blank page in her school atlas (J. C. Russell’s General Atlas of Modern Geography, London: Baldwin & Cradock, ca. 1830s). The Morgan Library & Museum. Photography by Graham S. Haber.


Attualmente, il disegno è conservato ed esposto presso The Morgan Library & Museum a New York, che accoglie anche altri suoi schizzi come Lady Jephia Bud o Stone Cross on the Yorkshire Moors o Lycidas.


Charlotte Brontë (1816–1855), Lycidas, watercolor drawing, March 4, 1835, copied from a print after painting by Henry Fuseli. Brontë Parsonage Museum.


Nello stesso romanzo (e nel film del 2011 con i bravissimi e bellissimi Mia Wasikowska e Michael Fassbender), una delle prime cose che Jane fa una volta giunta a Thornfield, dimora di Mr Rochester, consiste nell’ispezionare alcuni quadri presenti alle pareti dell’atrio della casa.

Traversai la lunga galleria coperta da una passatoia, scesi gli sdrucciolevoli gradini di quercia; poi raggiunsi l’atrio: qui mi fermai un istante; guardai i quadri appesi alle pareti”.

Jane Eyre, Charlotte Brontё

Inoltre, uno dei primi incontri con Mr Rochester vedrà come argomento principale di discussione proprio i suoi dipinti:

Dispose i dipinti davanti a sé e tornò a esaminarli a turno.

Mentre lui è impegnato a farlo, dirò ai miei lettori che disegni siano: ma devo premettere che non sono nulla di straordinario. I soggetti si erano presentati vividi alla mia immaginazione. Come li vedevo con l’occhio della mente, prima di cercare di dargli corpo, erano magnifici; ma la mano era stata inferiore alla fantasia, e avevo realizzato soltanto una pallida copia di quel che avevo immaginato. Si trattava di acquerelli. Il primo raffigurava delle nuvole basse e livide che rotolavano su un mare in tempesta: lo sfondo era vago, sfumato; e anche il terreno in primo piano; o piuttosto le onde in primo piano, perché non c’era terra. Un raggio di luce metteva in risalto un albero di nave semisommerso su cui era appollaiato un cormorano, grande e scuro con le ali spruzzate di spuma; teneva nel becco un braccialetto d’oro, ornato di gemme, che avevo dipinto con i colori più brillanti della mia tavolozza e con tutta la scintillante nitidezza di cui il mio pennello era capace. Nell’acqua verde, sotto l’albero e l’uccello, appariva il corpo di un’annegata; se ne vedeva con chiarezza soltanto un braccio, da cui il braccialetto era stato portato via dalla corrente o strappato. Il secondo dipinto aveva in primo piano soltanto la cima indistinta di una collina, con erba e foglie piegate come da una brezza. Al di sopra e al di là si stendeva un cielo azzurro cupo come al tramonto: contro il cielo si ergeva un busto di donna, nei colori più foschi e tenui che avevo potuto ottenere. La fronte pallida era incoronata da una stella; i lineamenti del viso erano visti come attraverso una nebbia; aveva occhi luminosi, scuri e selvaggi; e i capelli si stemperavano nell’ombra come una nuvola oscura strappata dalla tempesta o da una carica elettrica. Sul collo batteva un debole chiarore lunare; e lo stesso spento chiarore illuminava il corteo di nuvole leggere da cui sorgeva chinandosi questa immagine della stella vespertina. Il terzo dipinto rappresentava la punta di un iceberg che sbucava da un cielo polare: all’orizzonte un chiarore di aurora boreale impennava le sue punte. In primo piano, confinando le altre immagini nello sfondo, sorgeva una testa… una testa colossale, china verso l’iceberg a cui si appoggiava. Due mani sottili congiunte a sorreggere la fronte tenevano un velo nero davanti alla parte inferiore del viso; si vedeva solo una fronte esangue, bianca come un osso, e un occhio cavo e fisso, che esprimeva soltanto una vitrea disperazione. Sopra le tempie, tra le pieghe di un turbante nero, di forma indeterminata e inconsistente come una nuvola, riluceva un incandescente anello di fuoco, bianco, acceso da scintille di una tinta livida. Quella pallida mezzaluna era “simile a una corona regale”; e la testa che incoronava era “la forma che niuna forma aveva”.

«Eravate felice mentre dipingevate questi quadri?» chiese infine il signor Rochester.

«Mi sentivo molto presa, signore: sì, ed ero felice. Ho provato, nel dipingerli, una delle gioie più grandi che abbia mai provato.»”

Jane Eyre, Charlotte Brontё

Non sentite anche voi il profumo dell'amore e della vita in queste parole?

Ci sarebbe molto altro su cui scrivere, ma non voglio correre il rischio di essere troppo prolissa, perciò concludo dicendo che: Jane è molto più di un semplice personaggio, è la parte più poetica e artistica della stessa Charlotte, che nel corso dei secoli continua ad illuminare -esattamente come un faro nelle notti più buie- il cammino di molte donne, spesso costrette a rinunciare alla propria indipendenza per via dell’amore o viceversa. Vi lascio con una serie di altri suoi disegni:

Charlotte Brontë (1816–1855), Lady Jephia Bud, December 6, 1829, Wash over pencil drawing. The Morgan Library & Museum. Photography by Graham S. Haber

Original pencil drawing by Charlotte Brontë of Derwent Water in the Lake District, dated 1832 and based on an engraving by Thomas Allom

Pencil drawing by Charlotte Brontë of an unnamed woman, probably copied from an engraving. This piece was previously identified as Anne Brontë and was used as the frontispiece for The Tenant of Wildfell Hall in the Thornton edition of the sisters’ collected works published in 1907, but this identification is questionable
Charlotte Brontë (1816–1855), Study of Noses, pencil drawing, ca. February 1831. Brontë Parsonage Museum

Vi auguro una buona lettura e nel caso in cui voleste approfondire troverete a seguire alcuni link utili.


Fonti:
https://www.theguardian.com/books/2015/oct/26/charlotte-bronte-sketch-identified-self-portrait

https://www.peterharrington.co.uk/blog/painting-by-words-the-original-drawings-of-charlotte-bronte/

https://www.theguardian.com/books/2019/apr/05/how-dickens-bronte-and-eliot-influenced-vincent-van-gogh

https://www.themorgan.org/exhibitions/charlotte-bronte

https://books.google.it/books?id=Wet5f07nAtcC&pg=PA11&lpg=PA11&dq=charlotte+bront%C3%AB+artist&source=bl&ots=Bm04bk9i4j&sig=ACfU3U0eSFNA4elUGk-2Tchjy8WX55nhJQ&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwjsz4aCs_LqAhVk-yoKHc5KBzU4ChDoATAIegQIBxAB#v=onepage&q=charlotte%20bront%C3%AB%20artist&f=false

lunedì 3 agosto 2020

Introduzione a 'Sorelle Brontё'

Consolazione

Son nudi i boschi ed umida la terra,
fitto lo stuolo delle foglie sparse,
turbina intorno a me gelido il vento
un lugubre monotono lamento –

ma so che c’è una casa amica: questa
sarà la quiete dopo la tempesta,
e la fiamma d’un caldo focolare
m’accoglierà, stanca del mio vagare.

Così, benché dovunque vada trovi
freddi sguardi stranieri senza amore,
benché l’anima tremi di dolore
e si affanni in sospiri sempre nuovi,

benché la solitudine da tanto
faccia avvizzire rapida ogni incanto
e oscurando di nuvole il mio giorno
neghi a dolci parole ogni ritorno,

quando i cari pensieri titubanti
umiliati riparano al mio seno,
io so che c’è lontano quella casa
dove il cuore ritornerà sereno.

Calde mani alle mie si stringeranno,
cuori più caldi ignari di menzogna –
gioia e vera amicizia mi daranno,
sguardi sinceri e labbra sorridenti.

Il cielo che ristagna intorno al cuore
si scioglierà in un mare di dolcezza;
le gioie morte della giovinezza
rifioriranno tutte in mite ardore.

Dovunque io vaghi, sarà questa mia
speranza a confortarmi senza posa;
finché c’è ad aspettarmi quella casa,
non avrò angosce né malinconia.
Anne Brontё
da Sorelle Brontё

Edito Oscar Vault
Costo 28

Il volume, oltre a riunire le opere più famose di Anne, Emily e Charlotte Brontё, cela al suo interno anche: un articolo, intitolato Haworth, novembre 1904, redatto da nientemeno che Virginia Woolf, un riepilogo in ordine cronologico delle pubblicazioni e degli avvenimenti che hanno caratterizzato le loro esistenze, intitolato Vite convergenti, un abbondante numero di illustrazioni sparse tra i vari capitoli e, a precedere ciascun romanzo, una raccolta delle loro poesie più significative.

L’articolo Haworth, novembre 1904, pubblicato il 21 dicembre 1904 su The Guardian, ci introduce al villaggio omonimo, situato nello Yorkshire, nel quale la famiglia Brontё si trasferisce nel 1820, quando Charlotte ha soli quattro anni, Emily due e Anne neanche uno. Virginia Woolf scrive “Non so dire se i pellegrinaggi diretti ai sacrari di uomini illustri non debbano essere bollati come viaggi sentimentali. […] La curiosità è legittima solo quando la casa in cui abitò un grande scrittore o i luoghi che la circondano possano accrescere in qualche misura la nostra comprensione dell’opera sua. Questa la giustificazione di cui ci si può avvalere in vista di un pellegrinaggio alla casa e ai luoghi di Charlotte Brontë e delle sue sorelle”. Il motivo per il quale è importante conoscere il paesaggio in cui vissero e in cui respirarono è da ricondursi agli scenari e agli ambienti che ritroviamo nelle loro opere, che ci accompagneranno per le 780 pagine di cui è composto questo tomo e che rimarranno nel nostro cuore una volta ultimata la lettura -chiunque abbia visitato lo Yorkshire, non può fare a meno di serbare nella propria mente il sublime contrasto tra il vivo verde dei campi e dei giardini e il nero o grigio o giallo scuro delle costruzioni umane. Eccolo descritto sempre dalla Woolf “Le sue case, erette tutte in pietra d’un colore tra il bruno e il giallognolo, risalgono agli inizi del diciannovesimo secolo. Ascendono erte nella brughiera, passo dopo passo, in piccole file distinte, mantenendosi a una certa distanza l’una dall’altra, di modo tale che la cittadina, anziché creare una macchia compatta sullo sfondo del paesaggio, pare quasi abbia voluto ghermirne tra le sue grinfie un bel tratto. Lassù, lungo il lato che dà sulla brughiera, vi è una lunga fila di case che finisce per raccogliersi attorno alla chiesa e alla canonica, ombreggiata da un piccolo ciuffo di alberi”. Nessuno può sapere quanto il luogo abbia effettivamente influenzato il loro pensiero, o se sarebbero state le stesse anche in uno slum londinese -come si domanda la stessa Woolf; però non possiamo non citare le lunghe passeggiate per la vallata che sicuramente contribuirono a rendere le sorelle Brontё ciò che noi oggi conosciamo.

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(foto non di mia proprietà, reperita su google)

Per giunta, se dovessimo dar credito a ciò che James Hillman scrive nel suo Il codice dell’anima, sulla scia della filosofia platonica, allora non ci sarebbero dubbi e potremmo affermare siano state proprio le loro anime a scegliere questo -a tratti malinconico- villaggio. È, infatti, impossibile negare l’influenza che alcuni panorami hanno sull’animo umano, si pensi a quelli che ispirarono il celebre Viandante sul mare di nebbia o L’Infinito di Leopardi. L’articolo si conclude con una tenerissima celebrazione degli sforzi che Anne, Emily e Charlotte fecero durante la loro breve vita.

Successivamente, ritroviamo Vite convergenti, una sezione dedicata alla vita e allo sviluppo del pensiero Brontёano, che mette in luce l’importanza che le biblioteche circolanti e la lettura di giornali quali il mensile Tory e il Blackwood Magazine hanno avuto nella loro crescita personale e culturale. In particolar modo, “la causa scatenante dell’attività letteraria dei Brontё” (Vite convergenti) è da ricercare in una scatola di soldatini, regalata dal padre al fratello Brandwell, che li porterà “a inventare e scrivere storie sugli Young Men (i Giovanotti), i soldatini” (Vite convergenti). Però, non va dimenticata l’importanza che la poesia, soprattutto in Emily e in Anne, e il disegno, soprattutto in Charlotte, assunsero nella loro quotidianità. Per tale motivo, a completare il volume ritroviamo anche delle bellissime poesie, quali Ferewell to thee! (Addio a te!) di Anne della quale cito:

 

Farewell to thee! but not farewell

To all my fondest thoughts of thee:

Within my heart they still shall dwell;

And they shall cheer and comfort me.

[…]

 

Addio a te! Ma non per questo addio

ai miei più cari pensieri di te,

che il mio cuore non lasceranno mai

per rallegrare e confortare me.

[…]

 

Oppure Often rebuked… (Respinta spesso…) di Emily, della quale cito il verso seguente:

[…]

I’ll walk where my own nature would be leading:

It vexes me to choose another guide:

Where the grey flocks in ferny glens are feeding;

Where the wild wind blows on the mountain side.

 […]

 

[…]

Andrò dove mi condurrà la mia natura:

non desidero scegliere altra guida:

dove grigie pascolano tra le felci le greggi;

dove il vento soffia selvaggio sul monte.

[…]

 

O ancora All is change… (Tutto muta) di Charlotte che così si delinea:

 

All is change – the night, the day,

Winter, summer, cloud and sun,

Early flowers, late decay,

So the years, the ages run.

Beats the heart with bliss awhile,

Soon it throbs to agony;

Where a moment beamed the smile,

Soon the bitter tear shall be.

This is Nature’s great decree.

None can ’scape it – for us all

Drops the sweet, distils the gall.

All are fettered – all are free.

 

Tutto muta – notte, giorno,

nubi, sole, estate, inverno,

fiori sbocciano e avvizziscono

anni ed epoche svaniscono.

Batte il cuore a una trepida magia,

poco dopo sobbalza in agonia;

dove brillava un tenero sorriso,

lacrime amare solcheranno il viso.

È questa l’aspra legge di natura:

nessuno può sfuggire alla sventura;

distilla il dolce, e poi cupi pensieri.

Siamo liberi tutti – e prigionieri. 

Penso sia inutile e superfluo qualsiasi mio commento, non solo per via della bellezza di questi versi, ma soprattutto per le impetuose e insostituibili emozioni che suscitano in ciascuno di noi. Per quanto sia affezionata a Charlotte e a tutte le sue opere, non posso non riconoscere la grandezza dei versi scritti da Anne. Chi di noi non ha provato ciò che viene descritto in ‘Farewell to thee!’? Quanto è difficile allontanare dalla mente il ricordo di una persona e le emozioni ad esso intrecciate? Spesso non si vive esclusivamente di reminiscenze?

Naturalmente, ciò che nella storia -della loro attività artistica- ha acquisito maggior rilievo sono i romanzi. Nel volume in questione ritroviamo in ordine Agnes Grey di Anne Brontё, Cime Tempestose di Emily Brontё e Jane Eyre di Charlotte Brontё. Sono tutti e tre dei capolavori, ampiamente apprezzati sia dal pubblico dell’epoca che dal pubblico moderno, nei quali ritroviamo sapientemente fusi tra loro quotidianità e sentimento. Sebbene abbia più volte riletto queste meraviglie, non riesco ancora ad essere sazia della loro visione del mondo, della loro analisi dei sentimenti umani e della loro descrizione dei paesaggi. Nel corso della mia breve vita, mi è capitato pochissime volte di leggere delle opere così toccanti, così commoventi e allo stesso tempo così forti. Le protagoniste sono donne tenaci, che ambiscono alla libertà, all’indipendenza senza rinunciare ai battiti dei loro cuori e al rispetto per i loro sentimenti. Cosa vedo, soprattutto in Jane Eyre? Un modello da seguire, una personalità che si distacca dal resto, che conduce il proprio sguardo fuori dai confini del proprio corpo o delle proprie abitudini per poter ricercare nel mondo altre parti di sé. Vedo in lei una donna che ha dovuto lottare sin dall’infanzia per poter affermare la propria voce e le proprie opinioni, molto spesso sottovalutata per via della mitezza che traspare ad un primo incontro, ma che serba in sé un fuoco perpetuo e appassionato. Ecco anche il motivo per cui ho scelto questa foto: l’albero quasi completamente prosciugato che continua a resistere nonostante tutto e nonostante tutti, esattamente come lei. Purtroppo, ho amato meno le eroine delle altre opere -Agnes Grey e Catherine Earnshaw- ma sono rimasta comunque affascinata dai paesaggi descritti e dai sublimi finali, soprattutto nel caso di Cime Tempestose. Ci sarebbero molti temi da affrontare, ma il rischio di andare incontro a spoiler è molto alto, per tale motivo concludo incitandovi a leggere e a conoscere le anime che popolano questi libri e che rappresentano in parte quelle delle loro autrici. Buona lettura.



La leggenda dei giocolieri di lacrime

“ «Dov’è il mio cuore?... Oh… dov’è il mio cuore?» si sveglia di soprassalto sul suo giaciglio, ma non sente alcun battito, solo un vuoto at...