domenica 28 giugno 2020

Canto della pianura

“Si fermarono di nuovo e ancora una volta studiarono la ragazza. Avevano cominciato a sentirsi meglio, quasi soddisfatti di se stessi. Sapevano di non essere ancora fuori pericolo, ma iniziavano a pensare che quella di fronte era almeno la traccia di un sentiero che conduceva a una sorta di promettente radura. Guardarono la ragazza e attesero. Lei scosse il capo e sorrise. Si soffermarono di nuovo sulla bellezza dei suoi denti, sul suo volto liscio. Lei disse, Non credo di aver capito, non ancora. Avete accennato al bestiame. Mi dite qualcosa di più?

Oh, be’, disse Harold. Okay. Parliamo del bestiame.

E così i fratelli McPheron proseguirono discutendo di bestiame da macello, di manzi di prima scelta, di giovenche e di vitelli da ingrasso, spiegarono anche questo, e i tre discussero a fondo fino a tarda sera. Parlando. Conversando. Spaziando un po’ anche in altri campi. Due uomini anziani e una ragazza di diciassette anni seduti al tavolo sparecchiato di una sala da pranzo di campagna, dopo cena, mentre fuori, oltre le pareti di casa e le finestre senza tende, un gelido vento del nord scatenava l’ennesima tempesta invernale sugli altopiani”.

Canto della pianura, Kent Haruf

 

Edito @nneditore

Costo 18

 

Sebbene il primo protagonista incontrato in questa cittadina sia stato Tom Guthrie, non posso non iniziare a parlare del personaggio che più mi è stato a cuore e con il quale ho più empatizzato in questo viaggio: Victoria Roubideaux. Ho conosciuto Victoria quando ha avuto le prime avvisaglie della tempesta che l’avrebbe turbata nei mesi successivi e sin dall’inizio sono stata colpita e ammaliata dal suo spirito e dal modo in cui è stata descritta e infusa di vita da Kent Haruf: Victoria, nonostante l’età, ha la stessa forza e le stesse caratteristiche della Maclura pomifera, volgarmente nota come arancio degli osagi. È una pianta da fiore e frutto, appartenente alla famiglia delle Moraceae, originaria – proprio come lei – del Nord America, in particolare degli Stati Uniti centrali; può raggiungere i 7-15 metri di altezza e presenta un tronco irregolare, disseminato di spine e resistente al taglio e alle intemperie (sopporta anche i venti molto forti o salmastri delle coste e temperature molto basse, fino ai -20°C), ciononostante è capace di dar vita a dei fiori eleganti e delicati e a dei frutti dal dolce profumo agrumato. Ed è proprio con queste qualità che Victoria viene allontanata dalla propria casa, trova rifugio per un breve periodo da Maggie Jones e fa poi conoscenza dei fratelli McPheron. Harold e Raymond sono altri due personaggi che mi sono entrati, e probabilmente vi entreranno, nel cuore; sono semplici, modesti e soli, eppure sempre pronti ad aiutare, osservare, leggere e capire i bisogni dell’altro in qualsiasi circostanza, nonostante la timidezza e le difficoltà. In loro ho ritrovato e ricordato due persone a me care, inondate dalla stessa bontà d’animo che mi ha protetto negli ultimi giorni di naufragio: il periodo più critico, quando ormai sembrano non esserci più speranze o più terraferma. È possibile che ognuno di noi abbia qualcuno da associare ad Harold e Raymond, o almeno me lo auguro, così da non poter più distinguere le parole lette da quelle che compongono le pagine della nostra vita (tranquilli… no, Nicholas Sparks non c’entra niente). Leggere della disponibilità e della correttezza di queste due persone mi ha commosso all’inverosimile, facendomi dubitare per un momento della malvagità umana.

Perciò, una volta concluso questo volume, ho ragionato su quanto sia inusuale e difficile parlare e scrivere di cose buone e belle e proprio per questo motivo sono rimasta frastornata e meravigliata. Ovviamente, non traspare esclusivamente la bontà, tant’è che nel recente post ho paragonato questa prima tappa ad uno spiazzo riparato sia dai raggi accecanti del sole che dalle bufere invernali, ma ciononostante il mondo esterno continua ad addentrarsi tra le fitte foglie degli alberi che lo circondano. Eppure, questa peculiarità - che lo distingue dagli altri volumi della trilogia - di focalizzare l’attenzione del lettore sulle cose buone, belle, dolci, delicate e serene, dando poco spazio al dolore e alla cattiveria, rimane. Infatti, quando la bruttezza si intrufola di soppiatto, viene comunque data la possibilità di rimediare, come nel caso di Victoria dopo Dwayne, o di potersi difendere, come nel caso di Ike e Bobby grazie al loro padre, Tom Guthrie. Ecco il vero punto di congiunzione tra i vari personaggi: non gli eventi che li fanno conoscere, ma la stessa propensione d’animo che li spinge ad essere giusti, responsabili e protettivi con i loro cari. Devo essere sincera, le vicende che hanno coinvolto Tom Guthrie mi sono interessate meno rispetto a quelle dei personaggi precedentemente citati o di Ike e Bobby, anche se riconosco l’impegno e la forza impiegati nel dover crescere da soli i propri figli. Nelle esperienze dei due bambini emergono tanti temi interessanti: il disinteresse genitoriale, che spesso si tramuta in vero e proprio egoismo come quando Ike e Bobby le chiedono di dormire tra loro e lei si rifiuta (sebbene mi renda conto quanto sia difficile essere madri e quanto in questo caso lei stesse male), la paura che qualcuno possa far del male a delle persone innocenti e a cui siamo affezionati ed il rispetto verso il sesso femminile e l’importanza del ruolo dell’educazione in questo.

Naturalmente, ad affiancare i temi trattati, ci sono sempre le descrizioni di una terra dura ma capace di essere accogliente. Concludo rimarcando un concetto già espresso: in Canto della pianura viene posta in primo piano la vita con le sue sembianze più belle e dolci, le bassezze ci sono ma rimangono in sottofondo ed è questo che mi ha conquistata; non voglio dilungarmi ulteriormente per non rovinare la suspence. Vi auguro un buona lettura.

 

Fonti per Maclura pomifera

www.vivaiprandini.com/arancio-degli-osagi-maclura-pomifera/

https://www.giardinaggio.it/giardino/piante/maclura.asp

https://it.wikipedia.org/wiki/Maclura_pomifera



sabato 27 giugno 2020

La trilogia della pianura

“Resta con me! Scende il crepuscolo;

L’oscurità si addensa; Signore, resta con me.

Quando l’aiuto altrui vien meno, e il conforto svanisce,

Soccorritore dei deboli, o resta con me”.

Henry F. Lyte

 Nota introduttiva a La trilogia della pianura

I volumi che costituiscono La trilogia della pianura sono Canto della pianura (composto nell’anno 1999), Crepuscolo (composto nell’anno 2004) e Benedizione (composto nell’anno 2013). Tuttavia, in Italia, la trilogia non è stata pubblicata nell’ordine precedentemente descritto, bensì nel seguente: Benedizione, Canto della pianura e Crepuscolo. Come già sapete, se avete seguito le mie storie, ho deciso di seguire l’ultima sequenza descritta e quindi di partire da Benedizione; Benedizione narra delle vicende slegate dai restanti volumi. Tuttavia, una volta ultimata la lettura, mi sono resa conto di aver commesso un errore. Infatti, da un tomo all’altro, i temi trattati subiscono una notevole evoluzione, sia nel contenuto che nel tipo di narrazione; lo stesso traduttore, in una nota alla fine di Canto della pianura, afferma: “La scrittura di Canto della pianura è radicalmente diversa da quella austera e stringata di Benedizione: questa volta il periodare è ampio e spesso molto articolato, le descrizioni e l’aggettivazione quasi barocche”. Perciò, partendo da Benedizione, mi sono privata della possibilità di seguire completamente questa evoluzione che ha inizio in Canto della pianura, ha come tappa intermedia Crepuscolo e come tappa finale -appunto- Benedizione. Quindi ciò che voglio sottolineare è che, al di là delle vicende narrate, i tre volumi sono strettamente connessi tra loro per via dell’obiettivo abbastanza esplicito di Kent Haruf: quello di tracciare un sentiero che all’inizio accoglie il lettore in uno spiazzo riparato sia dai raggi accecanti del sole che dalle bufere invernali, quasi un luogo ameno in cui prevalgono la bontà, la speranza e la possibilità di porre rimedio ai propri errori o di difendere i propri cari; successivamente lo porta ad affrontare una terra brulla, poco riparata e in salita, dove il mondo esterno penetra e confonde lo scalatore; ed infine lo porta ad intraprendere l’ultimo tratto, la salita più ripida e più esposta alle intemperie, la più dolorosa che, una volta ultimata e raggiunta la cima, lo pone davanti alla sconfinata ma sublime solitudine dell’anima. Questo è il motivo per cui nel raccontare questi libri, non seguirò il mio ordine di lettura, ma quello di composizione e stesura di Kent Haruf. 

(foto mia)


lunedì 22 giugno 2020

Il bagno di Diana

“Eppure ciò che l'umanità sognò nel suo cammino, ciò che attraverso gli occhi di Atteone vide nei suoi sogni diurni, fino a immaginare gli occhi stessi di Atteone, giunge fino a noi come da distanze siderali la luce di costellazioni spente per sempre: è dentro di noi che adesso sfavilla l'astro deflagrato, nelle tenebre della nostra memoria, nella vasta notte costellata che portiamo nel cuore ma che fuggiamo nelle nostre fallaci vite diurne”. 
Il bagno di Diana, Pierre Klossowski

Edito @adelphiedizioni 
Costo 16€

Le origini del mito di Artemide (Diana per i romani) sono incerte. Per tale motivo, oltre alla tradizione riportata da Omero (che insiste sull’aspetto virginale della dea), se ne affiancano altre, come quella riportata da Eschilo (in cui verginità fecondabile e maternità coesistono in equilibrio nella stessa figura); cosicché, queste modalità di concepire la dea, nel tempo si sono fuse tra loro e hanno dato vita all’Artemide che conosciamo noi oggi: contemporaneamente vergine-madre (infatti, è anche divinità protettrice delle partorienti), tenebra e luce, nutrice e creatura bestiale, cacciatrice e dea che non si nutre delle sue prede, ma che al contrario sente il bisogno di ripulirsi dal sangue versato e dai bisogni terrestri. In quest’opera, la sua dualità, o meglio molteplicità, viene esplorata, analizzata e messa a nudo e ciò che emerge è sorprendente: per me Artemide in queste pagine è diventata l’essenza stessa della vita, della femminilità e della libertà. Ho trovato il suo percorso come divinità, all’inizio solo custode della verginità e poi molto di più, affine al percorso di crescita di ogni donna, o essere umano, in questo mondo: alla nascita ci costringiamo o veniamo costrette a coltivare solo uno dei nostri tanti aspetti, maturando realizziamo di poter nutrire contemporaneamente tutti gli ossimori di cui siamo portatrici. Artemide è riuscita, nel corso dei secoli, ad essere libera: libera di sentirsi pura, spietata, materna, sensuale, afferrabile, inafferrabile, profonda e semplice. Sono affascinata dalla ricchezza di questo mito e dal messaggio che furtivamente porta con sé. Il bagno di Diana cela in sé la possibilità di poter essere altro senza bisogno di giustificazioni. Il mio consiglio, per una migliore comprensione dell'opera, è di leggere prima i Chiarimenti presenti a partire da pagina 101 e solo successivamente affrontare la lettura del testo. In conclusione, vorrei incitare i lettori a ricercare in Diana ciò di cui si ha bisogno; io stessa mi sono discostata, durante la lettura, da alcune modalità di concepire la dea sviluppate da Klossowski nell'opera, ma lo ringrazio per avermi dato da pensare. Spero vi piaccia! 

La leggenda dei giocolieri di lacrime

“ «Dov’è il mio cuore?... Oh… dov’è il mio cuore?» si sveglia di soprassalto sul suo giaciglio, ma non sente alcun battito, solo un vuoto at...