lunedì 20 luglio 2020

Middlegame

“La trova in cucina, con le mani vuote e ai piedi i cocci di una tazza di caffè. Li fissa con spenta perplessità, come se non capisse cosa ci fanno lì; qualcuno avrebbe dovuto sospendere la forza di gravità, sembra dire la sua espressione, tutte le norme essenziali dell’universo avrebbero dovuto essere interrotte nel secondo in cui questo ha avuto inizio. L’universo avrebbe dovuto avvertirla. In qualche modo, in qualche modo, l’universo avrebbe dovuto avvertirla”.

Middlegame, Seanan McGuire

“Le riusciva difficile ricordare esattamente dove fosse Avery prima di andarsene. Si era portato la sua ombra con sé, comportamento che, sebbene Zib non ci avesse mai riflettuto in quei termini, d’un tratto sembrava indicibilmente scortese. Se aveva intenzione di tornare avrebbe dovuto lasciare l’ombra lì dov’era, a rimarcare il posto dove sarebbe stata. Una mano le toccò una spalla. Zib alzò lo sguardo sulla Cornacchia che la fissava incoraggiante.

«Va tutto bene» disse. «Tronerà sano e salvo, vedrai.»

«Come fai a saperlo?» chiese Zib.

«Be’, perché ci troviamo sulla strada improbabile diretta alla Città Impossibile e, ora come ora, cosa c’è di più improbabile, o impossibile, che il tuo amico torni da te?» Il sorriso della cornacchia era luminoso e sincero. «Il fatto che in pratica non possa in alcun modo succedere è una garanzia che succederà.»

Zib la osservò per un momento, prima di scoppiare in fragorosi singhiozzi.

Da Oltre il muro che affaccia sul bosco,

di A. Deborah Baker

Middlegame, Seanan McGuire

 

Edito Mondadori – Oscar Vault

Costo 22€

 

Sono un’amante di libri complessi, intricati, che rimangono immersi nella nebbia più fitta quasi sino agli ultimi capitoli, perciò non posso non ritenermi soddisfatta da questa enigmatica lettura. L’ho trovato un racconto mentalmente, ma soprattutto emotivamente, stimolante. Io stessa sono rimasta esterrefatta ed ammaliata dalla moltitudine di temi trattati in sole 528 pagine: dalle problematiche etiche derivate da alcune ambizioni umane, incarnate dal personaggio di Reed, all’immensa sofferenza interiore che la solitudine può comportare, provata soprattutto da Dodger. Perciò non spaventatevi se a inizio lettura non riuscite a capire tutto e siete in grado di abbozzare esclusivamente un assaggio di questo mondo: continuate a leggere, a conoscere sia Roger che Dodger, a ragionare sia su ciò che provano che su ciò che sono e che potremmo essere anche noi.

In quest’opera non si intrecciano solo linguaggio e matematica, ma anche alchimia, sete di potere, amore fraterno, senso viscerale di mancanza dell’altro e pazienza. Sottolineo pazienza per due ragioni: la prima perché, esattamente come noi - in quanto persone - abbiamo bisogno dei nostri tempi per comprendere e per riflettere sui nostri errori, così Roger e Dodger hanno bisogno del loro di tempo* per crescere e capire loro stessi; la seconda perché ricopre un ruolo fondamentale in quanto necessaria per portare avanti qualsiasi relazione – perfino nel caso in cui ci si possa ‘fondere’ e guardare il mondo con gli occhi dell’altro c’è bisogno di pazienza e voglia di comprendere chi ci sta davanti. E proprio questo continuo richiamo alla difficoltà di mettersi nei panni degli altri è quello che ho trovato più intrigante in assoluto, ciò che potrei definire come Il sogno inconscio dell’umanità: non diventare onnipotenti o delle divinità in Terra, bensì riuscire a vedere il mondo con gli occhi dell’altro e quindi capirlo più a fondo. In modo tale da poter avere non solo un’altra prospettiva ma anche altri colori, altre sfumature, altre luci e soprattutto altre idee - proprio come accade a Roger e Dodger. Ecco cosa potrebbe veramente rendere l’uomo immenso ed ecco cos’ho trovato meraviglioso: la capacità di immergersi nell’altro, non solo in quanto uomo, ma soprattutto in quanto parte dell’universo; non solo per poter ampliare le nostre vedute e poter capire appieno ciò che ci circonda, ma soprattutto per farci conoscere dall’altro, per esprimere ciò che spesso tutti noi, esattamente come Dodger, non riusciamo a comunicare a parole ai Roger della nostra vita. Non è semplice, probabilmente più complicato da raggiungere rispetto all’essenza divina, ma quanto è bello poter dire “Vedere il mondo con i tuoi occhi, con il tuo punto di vista, mi riempie di gioia e mi fa scoprire cose prima impensabili”? In queste pagine c’è molto più della semplice scissione e poi fusione di due modi di essere – matematica e lingua – qui ci sono due vite opposte che cercano di capirsi con delicatezza e dolcezza. Roger e Dodger sono la personificazione di ciò che ognuno ha dentro di noi: una parte, rappresentata maggiormente dall’emisfero sinistro del nostro cervello, che tende alla logica, alla razionalità e al tempo (Dodger) e una parte, rappresentata dal nostro emisfero destro, che è meno dedita al calcolo e più alla poesia e alle metafore (Roger)**. Perciò, nel loro cercare di incontrarsi, di fondersi e accettarsi ho ritrovato anche il mio percorso di crescita: ognuno di noi dovrebbe cercare di abbracciare ogni suo parte. Cos’altro mi ha colpito? La verità che risiede nei continui allontanamenti di Roger e Dodger: non ho potuto fare a meno di associare a Reed la società attuale, che ci vuole divisi, separati e costantemente soli e nega continuamente il Noi, mentre ciò che davvero desideriamo, o perlomeno ciò che io desidero, è il realizzare di avere affianco l’altro, un altro che mi vuole bene, che è disposto a proteggermi e che rende meno mostruosa e grande la solitudine che ci accompagna dalla nascita. Per non parlare di quanto mi abbia commosso il tema dell'amore fraterno: chi, dove e come saremmo ora senza i nostri fratelli o sorelle? Quanto è rassicurante sapere di avere vicino qualcuno di così importante? Questo amore non rimane forse nel posto più immacolato e protetto del nostro cuore? 

Inoltre, ci sono tantissimi altri motivi di riflessione e temi trattati: come ad esempio l'emarginazione che sia A. Deborah Baker che Dodger sono costrette a vivere a causa del loro sesso. In conclusione, quello creato e narrato in quest’opera è un mondo complesso, che insegna tanto e non così lontano dalla realtà, e per questo estremamente affascinante. Ve lo consiglio soprattutto se innamorati de Il mago di Oz di L. Frank Baum, Frankenstein di Mary Shelley e Non lasciarmi di Kazou Ishiguro. Mi auguro vi piaccia e che ritroviate in Roger e Dodger un po’ di voi stessi. Buona lettura.


*A lettura ultimata capirete.

**Sì, sono consapevole della localizzazione a livello dell’emisfero sn del linguaggio; ma il linguaggio elaborato da Roger è molto di più: è anche poetico e metaforico, come lui ribadisce più volte.

Middlegame


 


martedì 14 luglio 2020

Benedizione

“[…] E se dicessimo ai nostri nemici: Siamo la nazione più potente della terra. Possiamo distruggervi. Possiamo uccidere i vostri bambini. Possiamo trasformare le vostre città e i vostri paesi in un ammasso di rovine, e quando avremo finito non riuscirete nemmeno a ricordare com’erano prima. Abbiamo il potere di togliervi l’acqua e prosciugare la vostra terra, di privarvi delle basi dell’esistenza. Possiamo trasformare il giorno in notte. Possiamo farvi tutto questo. E molto altro.

Ma se invece dicessimo: State a sentire, invece di fare queste cose, vogliamo farvi dei doni, di nostra iniziativa, con generosità. Tutto il denaro pubblico degli Stati Uniti, tutto l’impegno e le vite umane che avremmo impiegato per distruggere, vogliamo impiegarli per creare. Vogliamo riparare le vostre strade e autostrade, migliorare le vostre scuole, rendere efficienti i vostri pozzi e i vostri acquedotti, preservare i vostri tesori, la vostra arte e la vostra cultura, proteggere i vostri templi e moschee. In pratica, vogliamo amarvi. E lo ripetiamo, non importa quello che è successo in passato, non importa cosa avete fatto: noi vi ameremo. I nostri cuori sono pronti”.

Benedizione, Kent Haruf

 

Edito NN Editore

Costo 17

 

È finalmente giunto il momento di parlare di Benedizione e dedicare spazio alle parole del reverendo Lyle, al rimorso e agli ultimi mesi di vita di Dad, alla tenacia di Mary e all’affetto che nasce tra Lorraine, Willa, Alene e Alice. È l’ultimo tassello di un puzzle complesso realizzato con l’obiettivo di mostrare la vita in tutte le sue innumerevoli sfaccettature e di ricordare o insegnare al lettore come spesso bene e male - generato dall’ignoranza o dall’orgoglio - convivano in un unico corpo. Perciò, ecco come sento di dover descrivere questo libro: come un insieme infinito di sfumature di grigio, ma anche di giallo, blu, verde, oro e rosso che si riuniscono attorno ad un’unica sfumatura di bianco. È infatti questa la differenza principale con i volumi precedenti, dove le vite si intrecciano spesso per puro caso: qui i volti che impareremo a conoscere si riuniranno volutamente attorno a ciò che rimane di Dad, il personaggio che sin dalla prima pagina catturerà la nostra attenzione; un uomo anziano, quasi completamente prosciugato dalla malattia, che però cela nella sua anima un’enorme quantità di rimpianto per due avvenimenti passati a cui non ha potuto e voluto, quando ancora era possibile, porre rimedio. I due avvenimenti in questione, sebbene slegati tra loro, mettono in risalto l’incapacità di Dad di perdonare, di essere flessibile, di mostrare quell’altra guancia di cui parla il reverendo Lyle. Ognuno di noi, con il senno di poi, non potrà fare a meno di rivolgere a Dad una sentita domanda: “Perché non hai mostrato pietà o comprensione?”. Eppure, sappiamo anche quanto sia difficile imbrigliare i nostri istinti ed il sentirci traditi e pugnalati alle spalle. Il discorso del reverendo Lyle  – in parte accreditato a Gesù, sebbene di una semplicità disarmante, rimane probabilmente ancora oggi il più rivoluzionario e provocatorio. Ma non è forse troppo generico dire “porgi al nemico l’altra guancia”? Perché, come dimostrano l’attualità e la storia, ci sono situazioni in cui è davvero impossibile perdonare il proprio carnefice. Chi ha sofferto, chi ha sentito sulla propria pelle ingiustizia, dolore e impotenza non ha forse il diritto di purificarsi da queste sensazioni attraverso l’ira, la rabbia e l’inconsolabilità? Perché nessuno può negare la funzione fisiologica dell’ira o della rabbia: quella di difendersi, di sopravvivere sia fisicamente che psicologicamente. Ma come distinguere la rabbia “giusta” da quella sbagliata? Quale criterio usare per poterla giustificare in certe situazioni? Il discorso che sgorga dalle labbra del reverendo Lyle è di una complessità inaudita e, sebbene abbia avuto diverse settimane per poterci ragionare, non ho ancora una risposta definitiva. Non è neanche possibile intraprendere la via del ‘dipende da caso a caso’ perché le situazioni si mostrano in tutto la loro vastità solo con il senno di poi. Quando possiamo ritenere “giusta” la salvaguardia delle nostre guance? Perché gli estremi fanno male: sia il troppo perdono che l’assenza totale del medesimo. Mi è impossibile dare una risposta, ma fino all’ultima pagina continueremo a sentire l’assenza di Frank, il suo scappare per non tornare e l’oppressione che deve aver vissuto per decidere di prendere una decisione così drastica. Perché la verità è che è meglio dover sopportare il peso della solitudine piuttosto che dover costantemente rinnegare sé stessi davanti a chi dovrebbe accettarci per ciò che siamo. In quest’opera ci sono moltissimi altri spunti di riflessione: la dimostrazione, attraverso Alice, Alene e Willa, che l’affetto può andare oltre il semplice legame di sangue, l’importanza, attraverso Mary che si mette alla disperata ricerca di Frank, che ricoprono nella vita i nostri affetti e la difficoltà, mostrata attraverso John Wesley, insita nel vivere vicino ad una persona diversa dal resto del mondo. Tutto in queste pagine grida: “vita!” e con questo vi auguro una buona lettura.



giovedì 9 luglio 2020

Crepuscolo

“Quando Guthrie e i ragazzi presero la strada di campagna che li avrebbe riportati a Holt, sentivano ancora il bestiame a un miglio di distanza.

Non staranno mica male? Chiese Bobby.

No, stanno bene, rispose Guthrie. Non hanno altra scelta. Succede ogni anno. Pensavo lo sapessi.

Non ci avevo mai fatto caso, disse Bobby. Non l’avevo mai fatto prima.

Mucche e giovenche sono già gravide dei vitellini dell’anno prossimo, disse Guthrie. Se non ci pensassimo noi, dovrebbero svezzare i vitellini quest’anno. Devono rimettersi in forze per la prossima infornata.

Quelle bestie fanno davvero un sacco di rumore, disse Ike. Non sembrano molto contente.

No, rispose Guthrie.

Guardò il figlio, seduto accanto a lui nel furgone che viaggiava sulla strada sterrata in quel luminoso pomeriggio invernale, l’aperta campagna piatta tutto intorno a loro, grigia, bruna, molto secca.

Non lo sono mai, disse. Non riesco a immaginare qualcosa o qualcuno che possa esserne contento. Ma ogni essere vivente a questo mondo prima o poi va svezzato”.

Crepuscolo, Kent Haruf

 

Edito NNEditore

Costo 18

 

Come già si può intuire dal nome o dall’estratto riportato sopra, Crepuscolo tratta temi molto più complessi e a maggiore impatto emotivo rispetto al volume precedente, non solo attraverso personaggi già conosciuti come Victoria, Harold, Raymond o Guthrie, ma anche grazie a nuovi punti di vista, come quelli di DJ, Joy Rae, Richie e Rose Tyler. Ciò che lega queste vite, almeno nella prima parte dell’opera, è la solitudine; una solitudine che all’inizio appare al lettore come quotidiana, quasi banale, con Victoria che inizia una nuova vita, ma che poi assume dimensioni titaniche confondendo e in parte distruggendo l’atmosfera creata in Canto della pianura. Qui il sole inizia davvero a tramontare, facendo così emergere paura, dolore e fragilità. Kent Haruf afferma attraverso Tom Guthrie “Ogni essere vivente a questo mondo prima o poi va svezzato” e in queste 312 pagine sembra lo faccia anche con noi lettori. Ecco perché ho definito Crepuscolo, nel post La trilogia della pianura, come un sentiero brullo, poco riparato e in salita. È un pugno in piena faccia, soprattutto quella di Joy Rae e Richie, e attraverso le sillabe che lo compongono, il lettore cresce, vede quanto la realtà possa essere aspra, dolorosa e quanto in alcune circostanze si possa essere indifesi.

I punti di vista che più mi hanno fatto soffrire sono stati quelli di DJ, Joy Rae e Richie, perché in loro ho trovato riposto sia il peso della vita (possono quasi rivaleggiare con il titano Atlante), sia l’impossibilità di essere ciò che si è, in questo caso dei bambini, e anche l’immenso dolore provocato dall’assenza di un nido, di un posto riparato in cui trovare conforto. Non voglio dilungarmi oltre, soprattutto per evitare qualsiasi tipo di spoiler, per questo concludo dicendo che al di là di queste pagine dure, ci sono comunque attimi di pace e dolcezza, ad esempio quando Raymond viene rassicurato dalla parlantina di Katie (vedi p. 247), che consentono di godere della nitidezza del panorama e della bontà umana. Mi auguro diate un’occasione a questa bellissima trilogia, buona lettura.


La leggenda dei giocolieri di lacrime

“ «Dov’è il mio cuore?... Oh… dov’è il mio cuore?» si sveglia di soprassalto sul suo giaciglio, ma non sente alcun battito, solo un vuoto at...