“Quando viene l’autunno, invece, scacciando l’estate con una pedata come sempre fa passata la prima metà di settembre, si trattiene per un po’ come un vecchio amico disperso da tempo. Come un vecchio amico si accomoderà nella tua poltrona preferita e tirerà fuori la pipa e l’accenderà e riempirà il pomeriggio con le storie dei luoghi dov’è stato e delle cose che ha fatto dall’ultima volta che vi siete visti. Si trattiene per tutto ottobre e, in qualche raro anno, fino ai primi di novembre. Il cielo è di un azzurro limpido e intenso e le nuvole che vi transitano, sempre da ovest a est, sono placide navi bianche con la chiglia grigia. E cominciano a soffiare i venti, che non si placano più. Ti sospingono quando cammini per le strade, sgretolando sotto i piedi le foglie cadute in mucchi confusi e variegati. I venti ti fanno sentire dolori in luoghi più profondi delle ossa. Può essere che tocchino qualcosa di antico nell’anima umana, una memoria della razza che dice: migra o muori, migra o muori. Anche se sei in casa, al riparo di solidi muri, il vento picchia su legni e vetri e strofina il suo muso incorporeo sul tetto e prima o poi devi lasciare quello che stai facendo per uscire a vedere. E sostando davanti alla porta di casa a metà pomeriggio guardi le ombre delle nuvole scorrere sui pascoli di Griffen o i pendii di Schoolyard Hill, chiaro e scuro, chiaro e scuro, come se qualcuno aprisse e chiudesse le imposte degli dèi. Vedi le verghe d’oro, la pianta più tenace e perniciosa regina della flora del New England, piegarsi nel vento come una folla che silenziosa s’inchina. E se non ci sono veicoli o aeroplani, se non c’è il solito cacciatore che spara a una quaglia o a un fagiano nel bosco, se c’è solo il battere lento del tuo cuore, allora puoi sentire un altro suono, ed è il suono della vita che si va attenuando in prossimità della chiusura del suo ciclo, in attesa che la prima neve dell’inverno celebri il suo ultimo rito”.
Le notti di
Salem, Stephen King
Edito
Sperling & Kupfer
Costo 12,90€
Scrivo
queste parole dopo aver passato circa una settimana a Jerusalem’s Lot, nota
anche come ‘Salem’s Lot, in compagnia di Ben, Susan, Matt, Mark e padre
Callahan (e molti altri). Non so bene se ritenermi soddisfatta o meno da questa
lettura, perché se da un lato avrei voluto trovarmi davanti ad un libro più terrificante,
dall’altro mi sono piaciute le atmosfere create, i luoghi descritti e alcune
considerazioni nate da quest’ultimi. Sono rimasta sorpresa davanti al potere e
all’importanza dati ad alcuni luoghi, quasi in grado assorbire le emozioni e le
intenzioni umane. Così, un semplice insieme di mattoni, tegole e assi di legno
diventa un altare dedicato al male. Ecco che si delinea all’orizzonte Casa
Marsten, sede non solo di misteriosi avvenimenti, quali l’omicidio-suicidio dei
coniugi Marsten, ma anche il luogo in grado di dimostrare la veridicità di una
considerazione attribuita a Ben: “«Mi hai chiesto che cosa ne penso. Te lo
dirò. Penso che per la gente è relativamente facile accettare cose come
telepatia o precognizione o ectoplasmi perché la disponibilità a crederci non
costa niente. Non ci si resta svegli la notte. Ma la prospettiva che il male sopravviva
a chi l’ha commesso è più inquietante.»”. L’essenza del romanzo risiede
proprio in queste ultime parole; non è mio compito appoggiarle o smentirle, bensì
lo è quello di prendere in considerazione il peso che hanno nella vita
di tutti i giorni: quante volte abbiamo attribuito ad un oggetto che ci è stato
regalato, sia in senso positivo che in senso negativo, i tratti e le caratteristiche
di colui o colei che lo ha donato? Quanto è difficile scindere il ricordo
del donatore da quello dell’oggetto? E per quale motivo? Non lasciamo forse una
parte di noi stessi in ciò che dedichiamo all’altro o più in generale negli
oggetti che manipoliamo e che viviamo (come un’abitazione)? Eppure, è
difficile stabilire esattamente quanto di noi lasciamo nell’oggetto,
così come è difficile stabilire fino a che punto Casa Marsten mantenga il
ricordo del suo fondatore.
Un altro
degli aspetti che mi hanno intrigata è stato il ricongiungermi -grazie alla
lettura- con alcune sensazioni ed emozioni che hanno caratterizzato parte della
mia adolescenza: i primi approcci con la paura ed il soprannaturale e le prime
sensazioni di turbamento e terrore davanti a scenari lugubri o sinistri. Può sembrare
assurdo, ma è stato interessante ricordare i primi spaventi ed osservare come
la crescita e l’esperienza (empirismo) abbiano cambiato radicalmente la percezione di ciò che è malvagio o cattivo. Ed ecco il motivo per cui La
notti di Salem è appetibile anche per i più fifoni (io inclusa): si parla
di entità soprannaturali (vampiri) che spaventano solo la nostra parte
fanciullesca sopravvissuta alla crescita (ben poca cosa); eppure, rimane una
sensazione di disagio dovuta al pensiero che la presa sul nostro animo sarebbe
stata ben più salda se alla parola vampiro, fosse stata sostituita quella di 'essere
umano psicologicamente instabile'. Concludo augurandomi che “il potere ricorrente
del male”, indagato da Ben, possa smorzarsi grazie al tempo. Buona lettura e buon Ognissanti.
(foto mia) |
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