“[…] E se dicessimo ai nostri nemici: Siamo la
nazione più potente della terra. Possiamo distruggervi. Possiamo uccidere i
vostri bambini. Possiamo trasformare le vostre città e i vostri paesi in un
ammasso di rovine, e quando avremo finito non riuscirete nemmeno a ricordare
com’erano prima. Abbiamo il potere di togliervi l’acqua e prosciugare la vostra
terra, di privarvi delle basi dell’esistenza. Possiamo trasformare il giorno in
notte. Possiamo farvi tutto questo. E molto altro.
Ma se invece dicessimo: State a sentire,
invece di fare queste cose, vogliamo farvi dei doni, di nostra iniziativa, con
generosità. Tutto il denaro pubblico degli Stati Uniti, tutto l’impegno e le
vite umane che avremmo impiegato per distruggere, vogliamo impiegarli per
creare. Vogliamo riparare le vostre strade e autostrade, migliorare le vostre
scuole, rendere efficienti i vostri pozzi e i vostri acquedotti, preservare i
vostri tesori, la vostra arte e la vostra cultura, proteggere i vostri templi e
moschee. In pratica, vogliamo amarvi. E lo ripetiamo, non importa quello che è
successo in passato, non importa cosa avete fatto: noi vi ameremo. I nostri
cuori sono pronti”.
Benedizione, Kent Haruf
Edito NN Editore
Costo 17€
È finalmente giunto il momento di parlare di Benedizione
e dedicare spazio alle parole del reverendo Lyle, al rimorso e agli ultimi mesi
di vita di Dad, alla tenacia di Mary e all’affetto che nasce tra Lorraine, Willa,
Alene e Alice. È l’ultimo tassello di un puzzle complesso realizzato con
l’obiettivo di mostrare la vita in tutte le sue innumerevoli sfaccettature e di
ricordare o insegnare al lettore come spesso bene e male - generato
dall’ignoranza o dall’orgoglio - convivano in un unico corpo. Perciò, ecco come
sento di dover descrivere questo libro: come un insieme infinito di sfumature
di grigio, ma anche di giallo, blu, verde, oro e rosso che si riuniscono
attorno ad un’unica sfumatura di bianco. È infatti questa la differenza
principale con i volumi precedenti, dove le vite si intrecciano spesso per puro
caso: qui i volti che impareremo a conoscere si riuniranno volutamente attorno a
ciò che rimane di Dad, il personaggio che sin dalla prima pagina catturerà la
nostra attenzione; un uomo anziano, quasi completamente prosciugato dalla
malattia, che però cela nella sua anima un’enorme quantità di rimpianto per due
avvenimenti passati a cui non ha potuto e voluto, quando ancora era possibile,
porre rimedio. I due avvenimenti in questione, sebbene slegati tra loro,
mettono in risalto l’incapacità di Dad di perdonare, di essere flessibile, di mostrare
quell’altra guancia di cui parla il reverendo Lyle. Ognuno di noi, con il senno
di poi, non potrà fare a meno di rivolgere a Dad una sentita domanda: “Perché
non hai mostrato pietà o comprensione?”. Eppure, sappiamo anche quanto sia
difficile imbrigliare i nostri istinti ed il sentirci traditi e pugnalati alle
spalle. Il discorso del reverendo Lyle – in parte accreditato a Gesù, sebbene di una
semplicità disarmante, rimane probabilmente ancora oggi il più rivoluzionario e
provocatorio. Ma non è forse troppo generico dire “porgi al nemico l’altra
guancia”? Perché, come dimostrano l’attualità e la storia, ci sono situazioni
in cui è davvero impossibile perdonare il proprio carnefice. Chi ha sofferto,
chi ha sentito sulla propria pelle ingiustizia, dolore e impotenza non ha forse
il diritto di purificarsi da queste sensazioni attraverso l’ira, la rabbia e l’inconsolabilità?
Perché nessuno può negare la funzione fisiologica dell’ira o della rabbia:
quella di difendersi, di sopravvivere sia fisicamente che psicologicamente. Ma
come distinguere la rabbia “giusta” da quella sbagliata? Quale criterio usare
per poterla giustificare in certe situazioni? Il discorso che sgorga dalle
labbra del reverendo Lyle è di una complessità inaudita e, sebbene abbia avuto
diverse settimane per poterci ragionare, non ho ancora una risposta definitiva.
Non è neanche possibile intraprendere la via del ‘dipende da caso a caso’
perché le situazioni si mostrano in tutto la loro vastità solo con il senno di
poi. Quando possiamo ritenere “giusta” la salvaguardia delle nostre guance?
Perché gli estremi fanno male: sia il troppo perdono che l’assenza totale del
medesimo. Mi è impossibile dare una risposta, ma fino all’ultima pagina
continueremo a sentire l’assenza di Frank, il suo scappare per non tornare e l’oppressione
che deve aver vissuto per decidere di prendere una decisione così drastica. Perché
la verità è che è meglio dover sopportare il peso della solitudine piuttosto
che dover costantemente rinnegare sé stessi davanti a chi dovrebbe accettarci
per ciò che siamo. In quest’opera ci sono moltissimi altri spunti di
riflessione: la dimostrazione, attraverso Alice, Alene e Willa, che l’affetto
può andare oltre il semplice legame di sangue, l’importanza, attraverso Mary
che si mette alla disperata ricerca di Frank, che ricoprono nella vita i nostri
affetti e la difficoltà, mostrata attraverso John Wesley, insita nel vivere vicino
ad una persona diversa dal resto del mondo. Tutto in queste pagine grida: “vita!”
e con questo vi auguro una buona lettura.
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