“Ogni individuo ha il suo segreto che porta chiuso in sé fin dalla nascita, segreto di profumo di tiglio, di rosa, di gelsomino, profumo segreto sempre diverso sempre nuovo unico irripetibile, segreto di impronte digitali graffito inesplicabile sempre nuovo diverso sempre unico irripetibile. Segreto di occhi azzurri, eco del segreto dello spazio segreto di occhi neri, eco del segreto della notte segreto di occhi grigi, eco di segreto di disegno di nuvole sempre dissimile, impensato segreto di occhi verdi, eco del segreto di profondità marine danzanti di alberi di corallo, alberi di sangue? Segreto di sangue pietrificato… ogni individuo ha il suo segreto… non violate questo segreto, non lo sezionate, non lo catalogate per la vostra tranquillità, per paura di percepire il profumo del vostro segreto sconosciuto e insondabile a voi stessi, che portate chiuso in voi fin dalla nascita sconosciuto e insondabile a voi stessi. Ogni individuo ha il suo segreto, ogni individuo ha la sua morte in solitudine… morte per ferro, morte per dolcezza, morte per fuoco, morte per acqua, morte per sazietà unica e irripetibile. Ogni individuo ha il suo diritto al suo segreto e alla sua morte.”
Il filo di mezzogiorno, Goliarda
Sapienza
Edito La nave di Teseo
Costo 15€
Trovare le parole per descrivere
un’opera così introspettiva ed intima è difficile e, riconciliandomi al breve
estratto riportato sopra, comprometterebbe la bellezza della stessa: nessuna
descrizione, per quanto sentita e accurata, potrà mai definire le emozioni che
queste pagine sono in grado di trasmettere a chi le legge e le ascolta.
Eppure, in linea generale, durante
la lettura di questo volume, mi sono sentita esattamente come Goliarda quando
scrutava l’orizzonte per cogliere il riavvicinarsi tra Sicilia e Africa: “Ma
non c’era tempo per riposare a lungo, bisognava tornare a fissare il mare:
sorvegliarlo, come diceva Nica. L’aria era limpida, forse era il giorno che l’Africa
si sarebbe avvicinata alla Sicilia. “La viene ad abbracciare, sono
sorelle, ma un malifizio ha buttato il mare in mezzo a loro, e le condanna a
stare lontane, meno un giorno dell’anno: ma nessuno dei vivi e dei morti sa
quando viene questo giorno, è per questo che bisogna sorvegliare sempre.” […]”.
Ecco la prima sensazione che ho provato davanti a queste pagine: l’incapacità
di chiuderle e lasciarle riposare, il bisogno di continuare a sfogliarle e
raggiungere, così, la fine e il quadro generale. Goliarda Sapienza possiede,
infatti, la grandissima capacità di sciogliere - durante la narrazione – anche i
nodi più intricati e confusi (dovuti alla psiche umana); così, pezzo di puzzle
dopo pezzo di puzzle, si coglie il quadro generale e le ripercussioni che
questo ha avuto sulla sua anima. In particolare, ne Il filo di mezzogiorno,
emergono delle situazioni (e sofferenze) – taciute in Lettera aperta – che
mostrano quanto possa essere contorto e complesso il rapporto genitore-figlia/o
e medico-paziente. È difficile spiegare, a chi non l’ha mai vissuto sulla propria
pelle, quanto possa essere soffocante o mortale la mancanza di affetto da parte
di un adulto (in particolar modo se genitore), quanto possa incidere sulla
crescita di un bambino, quanto possa farlo sentire intruso o in più; ciononostante,
durante la narrazione, questo viene mostrato nel modo più giusto che ci possa essere:
prendendoci e prendendosi per mano e mostrandolo con la calma e la lucidità
giuste. Inoltre, è interessante osservare come la mancanza di affetto si possa ripercuotere su tutte le fondamenta dell’essere: viene meno il senso di
accettazione di sé, aumenta in modo spropositato il proprio sguardo critico e, nel riflesso dello
specchio, non si è più in grado di cogliere se stessi, ma esclusivamente un
insieme scoordinato di difetti. È ancora più interessante notare come spesso
questa visione intacchi quei caratteri legati al sesso, al genere (forse perché
più facilmente catalogabili o espliciti?): non si è mai o troppo femminili o troppo
poco femminili (in questo caso).
Però, il rapporto maggiormente
indagato tra queste pagine è quello medico-paziente o, ancora meglio, paziente-psicoterapia;
un rapporto che, sin dai primi capitoli, appare fortemente delicato e fragile
perché, per quanto possa mostrarsi efficace, per poter venire “messa in atto” - la psicoterapia - necessita del medico, figura non onnipotente o onnisciente o impeccabile. Emerge
così il “tradimento”, l’umanità e l’incapacità di essere perfetti anche da
parte dei professionisti, soprattutto quando scendono in campo le emozioni; non
negherò di aver sofferto, di essere stata male ed essere rimasta profondamente
amareggiata, ma – dopo un’attenta riflessione – ho realizzato che, nonostante
tutto, il seme più prezioso – ovvero il riuscire a superare la mancanza d’affetto
genitoriale, il riuscire a fidarsi e mostrarsi – era stato comunque piantato e che, in un
altro momento, avrebbe potuto nuovamente rigermogliare. Inoltre, alla fine e
paradossalmente, ho trovato Sapienza più matura e forte di quanto ritenuto
anche da alcune figure professionali. In conclusione, è stata una scoperta
meravigliosa: desideravo da sempre leggere e scoprire l’esperienza altrui con
la psicoterapia; lo consiglio se siete curiosi, se volete conoscere questa
figura così intrigante. Ringrazio come sempre Giulia di @thedevilreadseverything
e il suo gdl #lamiapartedigioiagdl.