martedì 26 gennaio 2021

Il filo di mezzogiorno

 “Ogni individuo ha il suo segreto che porta chiuso in sé fin dalla nascita, segreto di profumo di tiglio, di rosa, di gelsomino, profumo segreto sempre diverso sempre nuovo unico irripetibile, segreto di impronte digitali graffito inesplicabile sempre nuovo diverso sempre unico irripetibile. Segreto di occhi azzurri, eco del segreto dello spazio segreto di occhi neri, eco del segreto della notte segreto di occhi grigi, eco di segreto di disegno di nuvole sempre dissimile, impensato segreto di occhi verdi, eco del segreto di profondità marine danzanti di alberi di corallo, alberi di sangue? Segreto di sangue pietrificato… ogni individuo ha il suo segreto… non violate questo segreto, non lo sezionate, non lo catalogate per la vostra tranquillità, per paura di percepire il profumo del vostro segreto sconosciuto e insondabile a voi stessi, che portate chiuso in voi fin dalla nascita sconosciuto e insondabile a voi stessi. Ogni individuo ha il suo segreto, ogni individuo ha la sua morte in solitudine… morte per ferro, morte per dolcezza, morte per fuoco, morte per acqua, morte per sazietà unica e irripetibile. Ogni individuo ha il suo diritto al suo segreto e alla sua morte.”

Il filo di mezzogiorno, Goliarda Sapienza

 

Edito La nave di Teseo

Costo 15

 

Trovare le parole per descrivere un’opera così introspettiva ed intima è difficile e, riconciliandomi al breve estratto riportato sopra, comprometterebbe la bellezza della stessa: nessuna descrizione, per quanto sentita e accurata, potrà mai definire le emozioni che queste pagine sono in grado di trasmettere a chi le legge e le ascolta.

Eppure, in linea generale, durante la lettura di questo volume, mi sono sentita esattamente come Goliarda quando scrutava l’orizzonte per cogliere il riavvicinarsi tra Sicilia e Africa: “Ma non c’era tempo per riposare a lungo, bisognava tornare a fissare il mare: sorvegliarlo, come diceva Nica. L’aria era limpida, forse era il giorno che l’Africa si sarebbe avvicinata alla Sicilia. “La viene ad abbracciare, sono sorelle, ma un malifizio ha buttato il mare in mezzo a loro, e le condanna a stare lontane, meno un giorno dell’anno: ma nessuno dei vivi e dei morti sa quando viene questo giorno, è per questo che bisogna sorvegliare sempre.” […]”. Ecco la prima sensazione che ho provato davanti a queste pagine: l’incapacità di chiuderle e lasciarle riposare, il bisogno di continuare a sfogliarle e raggiungere, così, la fine e il quadro generale. Goliarda Sapienza possiede, infatti, la grandissima capacità di sciogliere - durante la narrazione – anche i nodi più intricati e confusi (dovuti alla psiche umana); così, pezzo di puzzle dopo pezzo di puzzle, si coglie il quadro generale e le ripercussioni che questo ha avuto sulla sua anima. In particolare, ne Il filo di mezzogiorno, emergono delle situazioni (e sofferenze) – taciute in Lettera aperta – che mostrano quanto possa essere contorto e complesso il rapporto genitore-figlia/o e medico-paziente. È difficile spiegare, a chi non l’ha mai vissuto sulla propria pelle, quanto possa essere soffocante o mortale la mancanza di affetto da parte di un adulto (in particolar modo se genitore), quanto possa incidere sulla crescita di un bambino, quanto possa farlo sentire intruso o in più; ciononostante, durante la narrazione, questo viene mostrato nel modo più giusto che ci possa essere: prendendoci e prendendosi per mano e mostrandolo con la calma e la lucidità giuste. Inoltre, è interessante osservare come la mancanza di affetto si possa ripercuotere su tutte le fondamenta dell’essere: viene meno il senso di accettazione di sé, aumenta in modo spropositato il proprio sguardo critico e, nel riflesso dello specchio, non si è più in grado di cogliere se stessi, ma esclusivamente un insieme scoordinato di difetti. È ancora più interessante notare come spesso questa visione intacchi quei caratteri legati al sesso, al genere (forse perché più facilmente catalogabili o espliciti?): non si è mai o troppo femminili o troppo poco femminili (in questo caso).

Però, il rapporto maggiormente indagato tra queste pagine è quello medico-paziente o, ancora meglio, paziente-psicoterapia; un rapporto che, sin dai primi capitoli, appare fortemente delicato e fragile perché, per quanto possa mostrarsi efficace, per poter venire “messa in atto” - la psicoterapia - necessita del medico, figura non onnipotente o onnisciente o impeccabile. Emerge così il “tradimento”, l’umanità e l’incapacità di essere perfetti anche da parte dei professionisti, soprattutto quando scendono in campo le emozioni; non negherò di aver sofferto, di essere stata male ed essere rimasta profondamente amareggiata, ma – dopo un’attenta riflessione – ho realizzato che, nonostante tutto, il seme più prezioso – ovvero il riuscire a superare la mancanza d’affetto genitoriale, il riuscire a fidarsi e mostrarsi – era stato comunque piantato e che, in un altro momento, avrebbe potuto nuovamente rigermogliare. Inoltre, alla fine e paradossalmente, ho trovato Sapienza più matura e forte di quanto ritenuto anche da alcune figure professionali. In conclusione, è stata una scoperta meravigliosa: desideravo da sempre leggere e scoprire l’esperienza altrui con la psicoterapia; lo consiglio se siete curiosi, se volete conoscere questa figura così intrigante. Ringrazio come sempre Giulia di @thedevilreadseverything e il suo gdl #lamiapartedigioiagdl.



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