sabato 7 maggio 2022

Verso il paradiso

 “Ma il sogno che ho fatto non è su di loro, ma su una storia che mi raccontava mia nonna da piccolo, una storia su una lucertola mangiona. Questa lucertola passava il giorno a vagare e a mangiucchiare. Mangiava frutta ed erba, insetti e pesci. Quando si levava la luna, la lucertola si metteva a dormire, e sognava di mangiare. Quando la luna tramontava, la lucertola si svegliava e ricominciava a mangiare. La maledizione della lucertola era di non potersi saziare mai, ma la lucertola nemmeno sapeva che fosse una maledizione: non era tanto intelligente. Un giorno, dopo migliaia e migliaia di anni, la lucertola si svegliò come sempre e come sempre si mise in cerca di cibo. Ma c’era qualcosa che non quadrava. Poi la lucertola se ne rese conto: non era rimasto più niente da mangiare. Non c’erano più piante né uccelli né erba né fiori né mosche. Aveva mangiato tutto: aveva mangiato le pietre, le montagne, la sabbia e la terra. […] Rimaneva solo un sottile velo di cenere, e sotto la cenere – la lucertola lo sapeva – c’era il centro della terra, che era di fuoco, e anche se la lucertola poteva mangiare tante cose, quello non poteva mangiarlo. E allora la lucertola fece l’unica cosa che poteva fare. Si mise sotto il sole ad aspettare, sonnecchiando e risparmiando le forze. E quella notte, mentre si levava la luna, si tirò in piedi sulla coda e mangiò la luna. Per un attimo ebbe una sensazione meravigliosa. […] Ma mentre si godeva quella bella sensazione, qualcosa cambiò: la luna ancora stava levandosi, cercava di sfuggire per poter continuare il suo viaggio nel cielo. Non deve succedere, pensò la lucertola, e si mise di corsa a scavare una buca, sottile e profonda, o abbastanza profonda da raggiungere il fuoco al centro della terra, e ci ficcò dentro il grugno. Così la luna non potrà andarsene da nessuna parte, pensò. Si sbagliava. Perché come è natura della lucertola mangiare, la natura della luna è levarsi, e per quanto la lucertola stringesse le fauci, la luna continuò a levarsi. […] E allora la lucertola esplose, e la luna schizzò nel cielo e riprese il suo cammino. […]

La lucertola tornò, ma questa volta non era più una lucertola, ma he mea helek: una cosa che sta eretta. E questa creatura si comportava esattamente alla stessa maniera della sua antenata da tempo scomparsa: mangiò e mangiò e mangiò, finché un giorno anche lei si guardò intorno e si rese conto che non era rimasto più niente, e anche lei fu costretta a mangiarsi la luna”.

Verso il paradiso, Hanya Yanagihara

 

 

Edito Feltrinelli

Costo 22€

 

 

In bilico, su una fune corrosa dal passaggio dei nostri avi, veniamo persuasi a non scrutare il paesaggio che ci circonda e a focalizzare la nostra attenzione su un punto fisso per noi privo d’importanza. Percorriamo il primo tratto con una sicurezza fuori dal comune: chi ci ha preceduti ci osserva con ammirazione e orgoglio. Man mano che procediamo, impariamo a sopportare la spiacevole sensazione della corda sfibrata a contatto col nostro corpo e a mantenere l’equilibrio nei tratti più difficili. Sembriamo – e ci sentiamo – invincibili. Eppure, nessuno ci ha preparati al dubbio, all’incertezza e all’imprevedibilità del mondo che ci circonda. Queste variabili si abbattono sul nostro essere trasformandoci in qualcosa che stentiamo a riconoscere: chi e cosa siamo realmente?

A percorrere questo sottile groviglio di fili intrecciati in un’America diversa da quella storicamente conosciuta e diretti ‘Verso il paradiso’ ritroviamo: David, Charles, Edward, Nathaniel e Peter.

‘Verso il paradiso’ con le sue 764 pagine è, infatti, suddiviso in tre parti ambientate in tre epoche differenti (1893, 1993 e 2093) unite tra loro dagli animi, dalle paure e dalle passioni di questi personaggi e dalla dimora in cui abitano. Una residenza a Washington Square, New York, sarà l’epicentro di ogni racconto adattandosi alle esigenze dei suoi ospiti e della realtà in cui essi vivono.

Così, la ritroviamo abitata nel 1893 dalla facoltosa famiglia Bingham e situata in una New York facente parte di un’associazione di Stati che garantiscono la libertà sessuale e sentimentale dei propri cittadini: gli Stati Liberi. Nathaniel e David Bingham, rispettivamente nonno e nipote, incarnano in queste pagine il classico scontro generazionale che vede tipicamente frapposti genitori-figli: l’esperienza vorrebbe insegnare all’innocenza e alla spontaneità a preservarsi, senza comprendere quanto sia importante vivere, consumarsi, rimanere feriti ed imparare dai propri errori; viceversa, l’inesperienza vorrebbe convincere la saggezza a guardare ancora una volta con occhi incantati e speranzosi ciò che li circonda, senza comprendere quanto sia doloroso riaprire vecchie cicatrici. David dovrà ragionare profondamente sul significato e sulle varie accezioni della parola libertà, mentre il suo corpo darà segni di cedimento e fragilità.

Nel 1993, invece, la ritroviamo occupata da Charles Griffith e dal suo giovane compagno David. Entrambi saranno costretti a scendere a patti con l’aspetto più crudele dell’esistenza: la perdita degli affetti più cari. La città in cui vivono è, infatti, provata dall’epidemia di HIV e dalla sua più brutale conseguenza: l’AIDS. Charles sarà così costretto a perdere alcuni dei suoi più cari amici. Al contrario, David vedrà riemergere parte del suo passato e della sua infanzia nelle isole delle Hawaii.

Nel 2093, New York è profondamente diversa nell’animo e nell’aspetto: regole rigide e severe governano la vita di ogni abitante e nulla è più come sembra. Charlie, dovrà riuscire a superare la morte di una persona amata e allo stesso tempo cercare di conoscere e capire le menzogne del mondo in cui è nata.

Leggere quest’opera consente di riflettere su un enorme numero di tematiche: immigrazione, omosessualità, libertà, ricchezza, povertà, malattia, fragilità mentale, fragilità emotiva, bisogno di essere amati, paura di prendere la decisione sbagliata e molto altro. Ogni America alternativa, creata in questo volume, ha bisogno di essere ascoltata e di mostrarci qualcosa. Nel mio cuore, devo essere sincera, rimarranno le descrizioni, i paesaggi e la vita delle isole Hawaii. Quando Hanya Yanagihara racconta e descrive questi luoghi metà abitati e metà selvaggi, non si può non rimanere incantati. La stessa bellezza e particolarità de ‘Il popolo degli alberi’, altro suo libro, rinasce e rivive nel secondo racconto di questo volume. Le sue opere hanno la capacità di riportare all’essenza e sono pregne di quella musicalità e armonia insite nella storia del genere umano. La pecca, che rende difficoltosa la lettura, è la presenza di un innumerevole numero di refusi ed errori di traduzione. Ciononostante, in alcuni punti, riesce comunque ad emergere il fascino della scrittura della Yanagihara. Buona lettura.




Gideon La Nona

“«Basta» sbottò la Reverenda Figlia, con la voce affilata come un rasoio. «Preghiamo.» Il silenzio scese sull’assemblea, come i lenti fiocch...