mercoledì 10 agosto 2022

Anima

“Ricordo il loro calore, ricordo di aver stretto tra le braccia la testa di una giumenta come se fosse stata mia madre, ricordo di averla chiamata “Mamma, mamma!”, di averla baciata, di averla supplicata di non lasciarmi solo, e poi di aver trovato, in quel suo sangue che bevevo per dissetarmi, nella sua presenza, ma anche in quella delle mosche, dei lombrichi, dei pidocchi e delle termiti che sentivo sul mio corpo, una dolcezza, un affetto, una pietà, Dio mio, una pietà che, davvero, mi hanno salvato. Ricordo il mutismo, il mutismo di tutte quelle bestie che avevano appena subito qualcosa di spaventoso con cui non c'entravo niente, ricordo di aver cominciato a parlare per loro, mettendo le mie parole nelle loro bocche, dicendo ad alta voce il loro pensiero, dicendo ad alta voce il loro terrore, ho dato a quegli animali le poche parole che conoscevo, le parole di un bambino impaurito, e loro non mi hanno abbandonato. Ricordo tutto questo, quei momenti precisi, ma niente prima o dopo, ricordo solo quel durante, un durante animale”.

Anima, Wajdi Mouawad


Edito Fazi

Costo 18,50 €

Temo di non possedere le parole adatte per descrivere il capolavoro trovato in queste pagine. Così come, allo stesso tempo, nessuno mi avrebbe potuto anticipare o convincere della bellezza, del dolore e della potenza che vi avrei trovato. Risulta difficoltoso anche collocarlo in un genere letterario prestabilito: si muove, non si lascia afferrare.
Vibra, corre, striscia e spicca il volo esattamente come i personaggi che lo popolano e lo raccontano.
Ricordo, però, il primo pensiero elaborato una volta letta e abbracciata con lo sguardo l’ultima pagina: “Finalmente”.
Così, anche oggi, ripeto: finalmente un libro degno di essere letto.
Tra le mie mani, infatti, c’è un’opera che si insinua nei pertugi più angusti e oscuri dell’animo umano, li esplora e li rischiara.
Anima, si lega indissolubilmente al lettore, costringendolo a guardare il Wahhch Debch, il Mostruoso Brutale, risorto dalle ceneri dell'odio, della guerra fratricida, della vita infranta e torturata ripetutamente. Anima è un viaggio che da vita a vita, passando per diverse riserve indigene, tante specie e arrivando all'essenza dell'uomo, si trascina dal Québec (Canada) fino al Libano. Due posti, lontani, diversi e inconciliabili, uniti dal sangue rappreso che macchia, innaffia e profana il suolo su cui si ergono. Un uomo, accompagnato dal suo Totem, li libererà con la disperazione dei suoi passi.
Buona lettura.


domenica 26 giugno 2022

La campana di vetro

 "Mi sentivo come un cavallo da corsa in un mondo senza ippodromi, o come un campione di calcio dell'università che si trova tutt'a un tratto di fronte a Wall Street e al doppiopetto grigio, i suoi giorni di gloria ridotti alle dimensioni di una piccola coppa d'oro sulla mensola, con su incisa una data, come una lapide di cimitero.
Vidi la mia vita diramarsi davanti a me come il verde albero di fico del racconto.
Dalla punta di ciascun ramo occhieggiava e ammiccava, come un bel fico maturo, un futuro meraviglioso. Un fico rappresentava un marito e dei figli e una vita domestica felice, un altro fico rappresentava la famosa poetessa, un altro la brillante accademica, un altro ancora era Esther Greenwood, direttrice di una prestigiosa rivista, un altro era l'Europa e l'Africa e il Sud America, un altro fico era Constantin, Socrate, Attila e tutta una schiera di amanti dai nomi bizzarri e dai mestieri anticonvenzionali, un altro fico era la campionessa olimpionica di vela, e dietro e al di sopra di questi fichi ce n'erano molti altri che non riuscivo a distinguere. 
E vidi me stessa seduta sulla biforcazione dell'albero, che morivo di fame per non saper decidere quale fico cogliere. Li desideravo tutti allo stesso modo, ma sceglierne uno significava rinunciare per sempre a tutti gli altri, e mentre me ne stavo lì, incapace di decidere, i fichi incominciarono ad avvizzire e annerire, finché, uno dopo l'altro, si spiaccicarono a terra ai miei piedi."

La campana di vetro, Sylvia Plath

Edito Mondadori
Costo 10€ 

Qualcosa nell'aria che respiriamo o nell'acqua che beviamo o negli abbracci che riceviamo, è in grado di comunicarci quanto sia difficile - se non addirittura impossibile - avere una vita piena, felice, appagante e variegata per chiunque si discosti - anche solo infinitesimamente - dal ruolo che gli è stato assegnato alla nascita. Eppure, sin dalla più tenera età, abbiamo osservato il nostro corpo e scandagliato la nostra mentre e siamo giunti alla conclusione che le nostre forme - fisiche e mentali - non rientrano nelle vite-stampo preconfezionate. Naturalmente, c'è stato un momento, o forse più di uno, in cui avremmo voluto che entrambe le spalle ed anche una caviglia si slogassero, pur di rientrare negli accettabili confini proposti; poi, però, ci siamo dati degli sciocchi: la slogatura non sarebbe bastata a reinserirci negli schemi, perché il mostro che si aggira dentro la campana di vetro esige un sacrificio decisamente più consistente e di noi sarebbero rimaste solo briciole.
Così, nel suo unico romanzo, Sylvia Plath rivive, attraverso la brillante studentessa Esther, lo smarrimento, l'inadeguatezza e il dolore provati davanti ad un mondo che predilige la via dell'esclusione e dell'alienazione (ecco la famosa "campana di vetro"): sin dagli albori, qualcosa - privo di sembianze e nome propri, probabilmente insito nell'aria mefitica in cui viviamo - ci costringe a non credere nella moltitudine e nella coesistenza degli opposti, bensì a scegliere la carriera lavorativa o la maternità, la castità o la prostituzione, la mente o il corpo, il bianco o il nero. 
La campana di vetro è un vero e proprio inno alla diversità, alla complessità e - incredibilmente - anche alla biodiversità (no, non siamo l'uno la copia dell'altro). 
Tuttavia, Plath, è anche consapevole del potere corrosivo dell'ambiente che ci circonda: Esther ne manifesterà gli effetti sviluppando una forte depressione, che esiterà in un tentativo suicidario (non riuscito) e che la porterà ad una lunga e faticosa riabilitazione: sarà, così, costretta a ridisegnare i confini ed il contenuto del proprio corpo e della propria mente. 



lunedì 13 giugno 2022

La ciociara

 “In quel sonno mi pareva che la terra in cui ero nata e che avevo abbandonato da tanto tempo mi avesse ripreso nel suo seno e mi comunicasse la sua forza, un po’ come succede alle piante sradicate che se le ripianti presto ripigliano forza e riprendono a buttare fogli e fiori. Eh, sì, siamo piante e non uomini, o meglio più piante che uomini e dalla terra dove siamo nati viene tutta la nostra forza e se l’abbandoniamo non siamo più piante né uomini ma straccetti leggeri che la vita può sbattere di qua e di là secondo il vento delle circostanze”.

La ciociara, Alberto Moravia

 

Edito Bompiani

Costo 9,90 (1+1)

 

In queste pagine, la storia di due donne si intreccia e si lega indissolubilmente a quella della Seconda Guerra Mondiale. 

Cesira e Rosetta, rispettivamente madre e figlia, saranno costrette dalla fame e dall’approssimarsi dell’occupazione nazista e dei combattimenti a lasciare la propria dimora romana, in favore di una precaria sistemazione nei dintorni di Fondi – cittadina laziale situata nell’antica regione della Ciociara. Il tragitto e l’esilio sui monti – che arriverà a durare nove mesi – verranno narrati dall’inconfondibile personaggio di Cesira: nata in Ciociara e abituata a saggiare il terreno attraverso le ciocie (calzari tipici della sua regione natia), si sposa da giovane con un commerciante romano, insieme al quale concepisce Rosetta. Ormai vedova all’inizio del racconto, si troverà a dover proteggere sua figlia e se stessa su innumerevoli fronti e da numerosi nemici. Anche se, ben presto, sarà obbligata a riconoscere la difficoltà dell’impresa, soprattutto per una donna sola in tempi in cui la violenza e la disonestà sono ormai sdoganate e all’ordine del giorno.

Così, il cambiamento più grande con cui il lettore dovrà fare i conti, non sarà quello relativo al paesaggio, bensì quello riguardante l’animo umano. Un avvenimento violento e brutale sbarrerà loro la strada e le costringerà a percorrere in solitudine il cammino necessario ad aggirarlo e superarlo. Fortunatamente, una volta lasciate alle spalle le macerie, riusciranno a ritrovarsi.





sabato 7 maggio 2022

Verso il paradiso

 “Ma il sogno che ho fatto non è su di loro, ma su una storia che mi raccontava mia nonna da piccolo, una storia su una lucertola mangiona. Questa lucertola passava il giorno a vagare e a mangiucchiare. Mangiava frutta ed erba, insetti e pesci. Quando si levava la luna, la lucertola si metteva a dormire, e sognava di mangiare. Quando la luna tramontava, la lucertola si svegliava e ricominciava a mangiare. La maledizione della lucertola era di non potersi saziare mai, ma la lucertola nemmeno sapeva che fosse una maledizione: non era tanto intelligente. Un giorno, dopo migliaia e migliaia di anni, la lucertola si svegliò come sempre e come sempre si mise in cerca di cibo. Ma c’era qualcosa che non quadrava. Poi la lucertola se ne rese conto: non era rimasto più niente da mangiare. Non c’erano più piante né uccelli né erba né fiori né mosche. Aveva mangiato tutto: aveva mangiato le pietre, le montagne, la sabbia e la terra. […] Rimaneva solo un sottile velo di cenere, e sotto la cenere – la lucertola lo sapeva – c’era il centro della terra, che era di fuoco, e anche se la lucertola poteva mangiare tante cose, quello non poteva mangiarlo. E allora la lucertola fece l’unica cosa che poteva fare. Si mise sotto il sole ad aspettare, sonnecchiando e risparmiando le forze. E quella notte, mentre si levava la luna, si tirò in piedi sulla coda e mangiò la luna. Per un attimo ebbe una sensazione meravigliosa. […] Ma mentre si godeva quella bella sensazione, qualcosa cambiò: la luna ancora stava levandosi, cercava di sfuggire per poter continuare il suo viaggio nel cielo. Non deve succedere, pensò la lucertola, e si mise di corsa a scavare una buca, sottile e profonda, o abbastanza profonda da raggiungere il fuoco al centro della terra, e ci ficcò dentro il grugno. Così la luna non potrà andarsene da nessuna parte, pensò. Si sbagliava. Perché come è natura della lucertola mangiare, la natura della luna è levarsi, e per quanto la lucertola stringesse le fauci, la luna continuò a levarsi. […] E allora la lucertola esplose, e la luna schizzò nel cielo e riprese il suo cammino. […]

La lucertola tornò, ma questa volta non era più una lucertola, ma he mea helek: una cosa che sta eretta. E questa creatura si comportava esattamente alla stessa maniera della sua antenata da tempo scomparsa: mangiò e mangiò e mangiò, finché un giorno anche lei si guardò intorno e si rese conto che non era rimasto più niente, e anche lei fu costretta a mangiarsi la luna”.

Verso il paradiso, Hanya Yanagihara

 

 

Edito Feltrinelli

Costo 22€

 

 

In bilico, su una fune corrosa dal passaggio dei nostri avi, veniamo persuasi a non scrutare il paesaggio che ci circonda e a focalizzare la nostra attenzione su un punto fisso per noi privo d’importanza. Percorriamo il primo tratto con una sicurezza fuori dal comune: chi ci ha preceduti ci osserva con ammirazione e orgoglio. Man mano che procediamo, impariamo a sopportare la spiacevole sensazione della corda sfibrata a contatto col nostro corpo e a mantenere l’equilibrio nei tratti più difficili. Sembriamo – e ci sentiamo – invincibili. Eppure, nessuno ci ha preparati al dubbio, all’incertezza e all’imprevedibilità del mondo che ci circonda. Queste variabili si abbattono sul nostro essere trasformandoci in qualcosa che stentiamo a riconoscere: chi e cosa siamo realmente?

A percorrere questo sottile groviglio di fili intrecciati in un’America diversa da quella storicamente conosciuta e diretti ‘Verso il paradiso’ ritroviamo: David, Charles, Edward, Nathaniel e Peter.

‘Verso il paradiso’ con le sue 764 pagine è, infatti, suddiviso in tre parti ambientate in tre epoche differenti (1893, 1993 e 2093) unite tra loro dagli animi, dalle paure e dalle passioni di questi personaggi e dalla dimora in cui abitano. Una residenza a Washington Square, New York, sarà l’epicentro di ogni racconto adattandosi alle esigenze dei suoi ospiti e della realtà in cui essi vivono.

Così, la ritroviamo abitata nel 1893 dalla facoltosa famiglia Bingham e situata in una New York facente parte di un’associazione di Stati che garantiscono la libertà sessuale e sentimentale dei propri cittadini: gli Stati Liberi. Nathaniel e David Bingham, rispettivamente nonno e nipote, incarnano in queste pagine il classico scontro generazionale che vede tipicamente frapposti genitori-figli: l’esperienza vorrebbe insegnare all’innocenza e alla spontaneità a preservarsi, senza comprendere quanto sia importante vivere, consumarsi, rimanere feriti ed imparare dai propri errori; viceversa, l’inesperienza vorrebbe convincere la saggezza a guardare ancora una volta con occhi incantati e speranzosi ciò che li circonda, senza comprendere quanto sia doloroso riaprire vecchie cicatrici. David dovrà ragionare profondamente sul significato e sulle varie accezioni della parola libertà, mentre il suo corpo darà segni di cedimento e fragilità.

Nel 1993, invece, la ritroviamo occupata da Charles Griffith e dal suo giovane compagno David. Entrambi saranno costretti a scendere a patti con l’aspetto più crudele dell’esistenza: la perdita degli affetti più cari. La città in cui vivono è, infatti, provata dall’epidemia di HIV e dalla sua più brutale conseguenza: l’AIDS. Charles sarà così costretto a perdere alcuni dei suoi più cari amici. Al contrario, David vedrà riemergere parte del suo passato e della sua infanzia nelle isole delle Hawaii.

Nel 2093, New York è profondamente diversa nell’animo e nell’aspetto: regole rigide e severe governano la vita di ogni abitante e nulla è più come sembra. Charlie, dovrà riuscire a superare la morte di una persona amata e allo stesso tempo cercare di conoscere e capire le menzogne del mondo in cui è nata.

Leggere quest’opera consente di riflettere su un enorme numero di tematiche: immigrazione, omosessualità, libertà, ricchezza, povertà, malattia, fragilità mentale, fragilità emotiva, bisogno di essere amati, paura di prendere la decisione sbagliata e molto altro. Ogni America alternativa, creata in questo volume, ha bisogno di essere ascoltata e di mostrarci qualcosa. Nel mio cuore, devo essere sincera, rimarranno le descrizioni, i paesaggi e la vita delle isole Hawaii. Quando Hanya Yanagihara racconta e descrive questi luoghi metà abitati e metà selvaggi, non si può non rimanere incantati. La stessa bellezza e particolarità de ‘Il popolo degli alberi’, altro suo libro, rinasce e rivive nel secondo racconto di questo volume. Le sue opere hanno la capacità di riportare all’essenza e sono pregne di quella musicalità e armonia insite nella storia del genere umano. La pecca, che rende difficoltosa la lettura, è la presenza di un innumerevole numero di refusi ed errori di traduzione. Ciononostante, in alcuni punti, riesce comunque ad emergere il fascino della scrittura della Yanagihara. Buona lettura.




lunedì 7 marzo 2022

Autunno tedesco

“I boschi sono i primi e i più veloci a leccarsi le ferite. Certo, qua e là tra le querce si trova qualche cannone inoperoso, con il tubo spezzato che pieno di vergogna e di rabbia guarda fisso il terreno. Gli involucri di piccoli mezzi bruciati ai piedi dei pendii sembrano enormi barattoli di conserve, come se degli indisciplinati giganti campeggiatori avessero sostato in queste foreste che erano le più pretenziosamente ordinate del mondo. […] I bambini del paese giocano alla guerra negli atri delle case fredde e così piene che sembrano scoppiare; giocano con i figli vestiti di stracci dei profughi dall’Est o dai Sudeti. I bambini del paese rimangono a letto fino alla mattina inoltrata per ingannare lo stomaco facendolo ancora dormire all’ora di un pasto che non è possibile avere. Se si mostra loro un libro illustrato cominciano puntualmente a discutere sul modo migliore per ammazzare le persone o gli animali delle figure. I bambini evacuati due volte a causa delle bombe non hanno ancora imparato a parlare chiaramente, ma pronunciano la parola totschlagen, «ammazzare», con sinistra precisione”.

Autunno tedesco, Stig Dagerman


Edito Iperborea
Costo 16€


Un libro, che permette di visitare seminterrati freddi ed invasi dalle piogge, per poter comprendere quanto sia ambigua, subdola, ingombrante ed imprevedibile la guerra.


giovedì 30 dicembre 2021

Shuggie Bain

Non l'avrei mai detto, eppure quando rivivo mentalmente questo caotico 2021, il primo libro a cui penso è proprio lui. Un esordio degno del successo che ha riscosso: bello, doloroso e - spesso - brutale, ma soprattutto un ritratto fedele e autentico di ciò a cui la disperazione può portare.
È ambientato in una Glasgow a tratti incolore e opaca come uno shottino di vodka, a tratti bionda e amara come una Tennent's; una Glasgow mai libera di potersi fondere col cielo azzurro che la sovrasta, ma sempre appesantita dall'ombra delle politiche di Margaret Thatcher; una Glasgow in cui respira e patisce la fame Shuggie Bain, l'ultimo dei tre figli di Agnes Bain.
Shuggie, che percorre queste 528 pagine in punta di piedi, con dolcezza, delicatezza e amore, e Agnes, che - al contrario - percorre ogni capitolo arrancando, strisciando e graffiando, sono indissolubilmente legati.
Agnes e Shuggie condividono più del semplice rapporto madre-figlio: sono due facce della stessa medaglia, una medaglia sensibile, fragile e bisognosa d'affetto.
Entrambi percorrono la loro esistenza affamati di cibo per colpa della dipendenza da alcol di Agnes, di affetto per colpa (in parte) della noncuranza del padre di Shuggie e di speranza per via della loro indole.
Un racconto attento, sensibile, doloroso ed estremamente realistico (le descrizioni dei sintomi che caratterizzano le crisi di astinenza e la dipendenza psicologica da alcol sono degne di un manuale di tossicologia forense o di farmacologia).
Douglas Stuart riesce a dare forma ad un amore e legame che va oltre il semplice rapporto filiale. 
Una storia che non è mai lineare, va incontro a faticose salite e ripide discese; eppure, in quei brevi momenti in cui si raggiunge la cima, la visuale scalda il cuore.

martedì 28 dicembre 2021

Ragazza, donna, altro

“Questa creatura selvaggia dai capelli metallici uscita dalla foresta con lo sguardo tagliente di un animale

è sua madre

questa è lei

è lei

che importa il colore? Perché diavolo Penelope ha mai pensato che importasse?

in questo momento prova un’emozione così pura e primitiva che la travolge completamente

sono madre e figlia e tutta la loro concezione di sé si sta ricalibrando

adesso sua madre è così vicina che si possono toccare

[…]

e non si tratta di provare qualcosa o di pronunciare parole

si tratta solo di essere

Insieme”.

Ragazza, donna, altro, Bernardine Evaristo

 

Edito Sur

Costo 20


Maternità, sessualità, identità di genere, identità entico-razziale e problematiche sociali sono solo alcune delle tematiche proposte e racchiuse in questo romanzo corale. In particolare, in queste 521 pagine, emergono dodici vite che si raccontano ed esplorano il proprio corpo, i propri sentimenti e le proprie ambizioni. Dodici vite che si intrecciano e sperimentano la complessità dell'amore e della crescita.

Ciò che spicca, in questo intrico di diversità ed uguaglianza, è la fluidità che caratterizza ogni paragrafo del romanzo: è possibile ritrovarla anche nelle scelte stilistiche e narrative.

Un romanzo necessario, dove è impossibile non ritrovarsi e non empatizzare con le vicende proposte. 

Un romanzo che spinge a credere in se stessi, nel proprio valore e nei propri diritti.


Un giorno tutti diranno di essere stati contro

 “Oggi ho visto il filmato di un uomo che baciava il piede del figlio mentre lo seppelliva. Il corpo era talmente dilaniato dai missili che ...