“All’inizio con simili discorsi e poi con una conversazione di carattere più generale, il signor Wemmick ed io ingannammo il tempo e la strada, finché egli non mi informò che eravamo giunti nel distretto di Walworth. Mi fece l’effetto di un agglomerato di sentieri bui, fossati, giardinetti, insomma di un luogo isolato e piuttosto lugubre; e l’abitazione di Wemmick era una casetta di legno al centro di un magro orticello, con la parte superiore mozza e dipinta in modo da imitare una batteria munita di cannoni.
- Opera mia, - disse Wemmick, -
graziosa, vero?
La lodai vivamente. Era la casa più
piccola che avessi mai visto, con certe buffe finestre gotiche (la maggior
parte finte) e una porta gotica, così angusta che si entrava a stento.
- Quella è una vera e propria asta
da bandiera, vedete, - disse Wemmick, - e la domenica alzo una vera e propria
bandiera. Ora guardate qui. Appena ho attraversato il ponte, lo alzo, ecco,
così, e blocco il passaggio.
Il ponte era un’asse, messa di
traverso sopra un fosso largo poco più d’un metro e profondo mezzo. Ma mi piacque
l’orgoglio con cui egli lo alzò e lo assicurò, e quel sorriso di sincera
soddisfazione e non puramente meccanico.
- Ogni sera alle nove, ora di Greenwich,
- continuò Wemmick, - il cannone spara. Eccolo lì, lo vedete? E quando lo
sentirete sparare vi sembrerà un vero cannone -. […]
- Poi, dietro, - disse Wemmick, -
ma invisibile, così da non togliere l’illusione di una fortezza, perché è un
mio principio che quando si ha un’idea bisogna realizzarla fino in fondo, non
so se sia anche la vostra opinione…
Assentii energicamente.
- Dietro, c’è un maiale e delle
galline e dei conigli; poi, per tenere in esercizio i muscoli, vedete, coltivo
cetrioli, e giudicherete a cena che razza di insalata faccio crescere. Così, -
disse Wemmick, sorridendo di nuovo, ma con serietà, anche, e scuotendo il capo,
- se mai questa piccola piazzaforte venisse assediata, capite che potrebbe resistere,
quanto a vettovaglie, per un tempo indefinito.”
Grandi speranze, Charles Dickens
Edito Einaudi
Costo 13€
Grandi speranze è certamente un’opera
matura e disillusa che, però, conserva un grande concentrato di tenerezza,
ironia, bontà e ottimismo e, per questo motivo, rimane nel complesso sempre delicata
e gioviale. Sin dalle prime pagine, si può notare la perfetta commistione di
atmosfere cupe e ricche di suspence ad atmosfere ilari e tenere. Pip, il
protagonista dell’opera, anche se orfano e affidato alle cure poco amorevoli della
sorella, trova comunque conforto e accettazione nel rapporto con Joe, marito
della sorella e quasi un padre adottivo per Pip, che cerca di condividere con
lui sia i piaceri che i dispiaceri. Se Pip, durante il corso del racconto,
potrà essere paragonato ad una canoa le cui condizioni cambiano a seconda del
vento e che è ancora alla ricerca di una via maestra, al contrario, Joe può
essere paragonato ad un albero centenario, in quanto uomo adulto che, nella sua
semplicità, è irremovibilmente ed irrimediabilmente buono. Joe può essere
presentato con queste semplici parole: “- E infine, Pip (e questo te lo dico
seriamente, ragazzo mio), ho visto la mia povera mamma soffrire e faticare e
lavorare come una schiava, senza mai un attimo di pace nella sua vita mortale,
e adesso ho una grande paura di comportarmi male, non facendo ciò che è giusto
verso una donna, tanto che fra le due preferisco sbagliare nel senso opposto, e
trovarmi male io. Vorrei essere il solo che ci va di mezzo, Pip; vorrei che non
ci fosse lo Stuzzichino per te, vecchio mio; vorrei che tutto ricadesse sulle
mie spalle; ma questo è il lato buono e il lato cattivo di ogni cosa, Pip, e
spero che tu vorrai perdonarmi le mie mancanze”. Così, circondato da una
sorella non proprio affettuosa e dalla protezione di Joe, inizia il percorso di
crescita di Pip e, ben presto, altre figure e tanti colpi di scena andranno ad
arricchire il racconto: la signorina Havisham (il cui passato incombe ancora
sul suo presente), Estella, Herbert, Jaggers, Wemmick e Provis/Magwitch sono
solo alcuni esempi. Ogni personaggio si inserisce armoniosamente nel racconto e
nella vita di Pip; da ciascuno di essi, il nostro protagonista, avrà qualcosa da
imparare e con cui destreggiarsi fino alle battute finali. Sono molto
interessanti le questioni morali che emergono in più occasioni: è giusto fornire
del denaro senza renderne nota la provenienza? È lecito riversare le proprie
paure e i propri traumi su un bambino? È normale rinnegare di punto in bianco
le proprie origini e chi, fino a quel momento, ci è stato vicino?
In ogni caso, uno dei personaggi che più ho apprezzato, oltre alla complessità della signorina Havisham e di Estella, è stato Wemmick e, proprio a lui, ho voluto dedicare l’estratto iniziale. Ci sono sicuramente parti dell’opera molto più incisive, riflessive e acute, ciononostante continuo a vedere nel dialogo riportato sopra la vera essenza e il vero obiettivo del racconto: imparare a riconoscere chi realmente è in grado di accogliere bonariamente le nostre stranezze, la nostra vita di tutti i giorni e i nostri talloni d’Achille. Wemmick, in questo frangente, mostra a Pip la sua originalissima dimora e, nel farlo, si mostra fragile, fiero e orgoglioso di ciò che nel tempo è riuscito a realizzare, sebbene questo si scontri col socialmente accettato dell’epoca (chi mai metterebbe un cannone nella propria dimora?). Ecco che, grazie all’ironica e magistrale penna di Dickens, Pip si trova in una sorta di Terra di Mezzo e, dopo essersi perso nella Londra dei gentiluomini, si ritrova nella semplicità di una piccola dimora. Vi consiglio caldamente quest’opera. Buona lettura.
P.s. l'opera è stata letta per il gdl #universoDickens.
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