domenica 25 giugno 2023

Il monastero

"Finalmente, con uno sforzo immane, cavandosi di bocca le parole a fatica, disse: 
- Qui Dio è nudo. Io non voglio vedere Dio nudo.
Alle Solovki Dio è nudo. Non lo voglio più. Mi imbarazza.
...Ricadde nel proprio corpo, tornò in sé, capì di aver visto non Dio, ma il proprio padre - nudo - e di aver parlato di lui.
Chiuse con forza gli occhi, nascose il mento nella giacca, sprofondò di nuovo nella propria semincoscienza.
Era inquieto, nervoso.
Dio è il padre. Io il padre l'ho ucciso, e ora per me non c'è più Dio. Ci sono solo io, il figlio. Sono lo Spirito Santo di me stesso.
"...Finché c'è il padre, dalla morte ti nascondi dietro la sua schiena. Morto il padre, esci allo scoperto, uno contro uno... e vai... dove? Da Dio? Comunque vai. E io, ecco, io ho spinto via dalla mia strada il padre e sono uscito allo scoperto - e dov'è chi mi verrà incontro? Ehi, chi c'è? C'è qualcuno?"
Si mise in ascolto attraverso l'impenetrabile sonno notturno: nessuno.
"Dio non tormenta. Dio abbandona per sempre. Torna da me, Signore. Uccidimi, ma torna."
Aprimi le porte del pentimento, Signore sorgente di vita.
Silenziosa apparve una mano, un enorme dito - e schiacciò una cimice."

Il monastero, Zachar Prilepin

Edito Voland
Costo 25€

Vi sono luoghi, privi di segnaletica, muri o sbarramenti, che danno accesso a un frammento della natura umana invisibile altrove. Le Isole Solovki emergono dalle acque del Mar Bianco e, una volta divenute sede del primo campo di lavoro sovietico – denominato SLON, erigono i propri confini rispetto al resto dell’umanità e del mondo. Qui, a partire dal 1920 fino al 1939, sbarcano migliaia di detenuti politici e comuni costretti a condizioni di vita disumane e massacranti. Così, in una piccola e inospitale lingua di terra su cui sorge un antico monastero, si riversano una moltitudine di corpi e menti, ciascuna alla deriva sul proprio banco di ghiaccio, prostrata dal lavoro, dalla fame e dal gelo. Sin dall’inizio del racconto, Artëm, il giovane protagonista condannato ad una pena detentiva di tre anni, è impegnato nella ricerca di un equilibrio fra la sua esistenza e la nuova realtà circostante. Tra raccolte di bacche, gerarchie instabili, acque gelide e compagni da amare o temere, affiora il ritratto di un essere umano integro, sincero e protetto dall’Universo che muove i suoi primi passi su un sentiero di neve candida. Ben presto, però, la carne verrà artigliata e sfregiata dai rovi, il primo sangue verrà versato e, a pochi chilometri dal traguardo, l’impulso di voltarsi indietro prevarrà sul resto: ciò che si rivela alla vista, non è più un paesaggio fiabesco, innevato ed intonso, bensì un terreno ricoperto da fanghiglia, corpi scossi dai brividi e colorati da ematomi e uno sterminato senso di solitudine e abbandono. Così, in queste 799 pagine, si compie l’inesorabile trasformazione e crescita di un ragazzo in un uomo e, allo stesso tempo, anche la natura acquisisce un volto e dei lineamenti diversi: più affilati, denutriti e feroci. 
'Il monastero' è una stanza sovraffollata, fredda e piena di spifferi, dove l’unico modo per sopravvivere è quello di venire schiacciati ed essere riconoscenti per quel poco calore sprigionato nel mentre. Eppure, nonostante il dolore, è anche un luogo dove crescono affetti, amicizie e piccoli gesti inaspettati.

Rimane, a distanza di mesi, una delle migliori letture fatte da gennaio 2023. 
Oggi hanno inizio gli sconti del 20% su buona parte del catalogo Voland e non posso fare a meno di consigliarlo.




sabato 17 dicembre 2022

Schiaccianoci e il Re dei Topi

 "Solo allora, alzando lo sguardo, Marie notò l'imponente portale che sorgeva davanti a loro, a pochi passi dal punto in cui si trovavano. Quello che a prima vista sembrava marmo bianco con eleganti venature marroni e ambrate, si rivelò ben presto come un unico, gigantesco blocco di candide mandorle confettate e uvetta passita. [...] Un odore inebriante l'avvolse all'improvviso, non appena giunsero al boschetto che si apriva su ambo i lati del sentiero e che, sotto l'intreccio scuro del fogliame, sfavillava di una miriade di frutti d'oro e d'argento appesi a piccioli colorati, mentre i tronchi e i rami degli alberi, avvolti in nastri lucenti e abbelliti da mazzolini di fiori, parevano sposi felici circondati dai loro festanti invitati. Il profumo d'arancio aleggiava tutt'intorno e come uno zefiro leggero frusciava lieve tra le foglie e faceva tintinnare le decorazioni dorate e argentate, che al suono di quella musica giocosa si muovevano in una danza di mille lucine sfolgoranti. 
«Com'è bello, qui!» esclamò Marie estasiata.
«Ci troviamo nel Bosco Natalizio, preziosa demoiselle» la informò Schiaccianoci.
«Possiamo rimanere ancora un po'? Mi piace questo posto.»"

Schiaccianoci e il Re dei Topi, E.T.A. Hoffman - illustrato da Iacopo Bruno

Edito Rizzoli
Costo 22€

'Schiaccianoci e il Re dei Topi', illustrato da Iacopo Bruno, si rivela essere un testo di un'eleganza, delicatezza e tenerezza fuori dal comune. A renderlo speciale, oltre l'espressività dei personaggi catturati nei più significativi passaggi del racconto, sono sicuramente i caldi e vivi colori, impiegati col proposito - ben riuscito - di creare un'atmosfera incantata ed eterea. Marie, la piccola protagonista del racconto, fa sfoggio di una lucente chioma rosata, capace di catturare lo sguardo e la fantasia del lettore: chi non vorrebbe, dopo averla ammirata, correre dal parrucchiere per richiedere la sua stessa tonalità di capelli?
Lo Schiaccianoci, al contrario, con la sua figura un po' sgraziata ma pur sempre delicata, infonde un senso di giustizia e coraggio tali da far dimenticare le sue enormi e spaventose fauci spalancate, dimostrando così come anche i più piccoli possano riscattarsi e avere la loro parte nella storia.
Eppure, i personaggi rappresentati non finiscono qui: il re dei topi con sette teste, piccoli omini di pan di zucchero, soldatini impegnati in lotte sanguinose, cavalieri sopra indomiti destrieri e ambigui orologiai, sono solo alcuni degli esempi proposti. Così, a emergere da queste 120 pagine, è un mondo affascinante, curato nei minimi dettagli, dove realtà e fantasia creano un connubio perfetto.
I miei più sinceri complimenti vanno a Iacopo Bruno, per aver reso ancora più affascinante una storia già di per sé indimenticabile.
Ringrazio Rizzoli per la copia omaggio.
Buona lettura.




lunedì 12 dicembre 2022

Vorrh

"I giovani se ne sono andati in città e all'estero come schiavi. Scavano sottoterra in cerca di fossili sopportando il caldo torrido per conto di altri. Vivono in baracche velenose, molti si ammalano di cancro per le sostanze chimiche. Sono automi incatenati dall'industria a cui non serve un'identità, una lingua o una famiglia. I risparmi vengono contati per pagarsi la fuga. Alcuni tornano nei campi per aiutare i vecchi e gli infermi a sollevare il secchio ammaccato e la zappa; altri cercano di tornare come principi, comprano case costose e anonime nei villaggi fatiscenti in cui sono nati. Falliranno, e i loro figli e la terra gli si rivolteranno contro aumentando la stanchezza già vibrante. I solchi strascicati dei loro sforzi si cancellano sotto i miei passi mentre attraverso le poche vestigia rimaste della comunità."

Vorrh, Brian Catling

Edito Safarà Editore

Costo 25€

Un arco e una freccia, ricavati dai tendini e dai muscoli di una veggente nata nel cuore dell'Africa e da poco defunta, fremono e indicano inesorabilmente - a colui che li impugna - il nucleo di una foresta africana antica, viva, senziente, misteriosa e, per lo più, inaccessibile al genere umano: il Vorrh.
Ai margini di quest'ultimo, si profila una città - denominata Essenwald - edificata e controllata dai coloni britannici, con l'obiettivo di consentire e facilitare il disboscamento di una parte di esso.
In questo territorio, conteso tra i nativi che ribadiscono la sacralità della regione e i coloni alla ricerca di qualsiasi mezzo utile per aumentare la produzione di legname, confluiscono personaggi imprevedibili, inverosimili e ambigui: un ciclope allevato da macchine di bachelite (i Klin), un fotografo* vuoto e malato, un antico guerriero oppostosi al colonialismo, una donna cieca che riacquista miracolosamente la vista, l'Adamo biblico che avrebbe trovato rifugio al centro della foresta e i Limboia, coloro che hanno perso consapevolezza di sé per essere stati troppo tempo a contatto con il Vorrh. 

*"Edward Muggeridge era un uomo vuoto. Era nato così. Una macchina fotografica senza diaframma. Chiuso in se stesso nella speranza che nessuno intuisse la massa buia che si agitava dentro di lui. Faceva di tutto per trasmettere un ritratto preciso di sé, cambiando la propria lastra se era convinto di aggiungere dignità e solennità alla sua persona."

Ciascuno di essi è attratto dal fitto groviglio di piante che si estende oltre i confini della città e, proprio da ciò, si evince quale sia la vera protagonista del racconto: un'essenza sconosciuta, che risiede nel fitto bosco ed è in grado di penetrare nelle menti degli esseri umani, confondendo e alterando lo spazio e il tempo e rendendo così impossibile la sua conquista. L'unico punto di contatto tra tale essenza e l'uomo, sembrano essere i Limboia: all'apparenza confusi, ottusi e privi di volontà, si risvegliano e riacquistano interesse alla vista di feti abortiti o nati morti.
Inaspettatamente, attraverso il tocco di questi esseri, verrà alla luce l'Orm:

"L'Orm viveva e operava tra i Limboia. Si trovava a suo agio nella loro vacuità, si nascondeva nella loro assenza al punto che nessuno sapeva cosa fosse: quando era necessario il suo intervento, veniva inviato un messaggio a tutti loro. [...] Dicevano che il suo cervello fosse nero e duro come granito, a differenza della poltiglia che si agitava nel cranio grande come una noce degli altri Limboia".

Vorrh si dimostra essere, così, un romanzo polifonico capace di inglobare elementi surreali, che invitano il lettore ad abbandonare la comune esperienza sensoriale e ad adottarne una nuova, più profonda e più sensibile ad altri aspetti del reale: "La vista la faceva sentire sola, e prima non lo era mai stata". 





 

mercoledì 10 agosto 2022

Anima

“Ricordo il loro calore, ricordo di aver stretto tra le braccia la testa di una giumenta come se fosse stata mia madre, ricordo di averla chiamata “Mamma, mamma!”, di averla baciata, di averla supplicata di non lasciarmi solo, e poi di aver trovato, in quel suo sangue che bevevo per dissetarmi, nella sua presenza, ma anche in quella delle mosche, dei lombrichi, dei pidocchi e delle termiti che sentivo sul mio corpo, una dolcezza, un affetto, una pietà, Dio mio, una pietà che, davvero, mi hanno salvato. Ricordo il mutismo, il mutismo di tutte quelle bestie che avevano appena subito qualcosa di spaventoso con cui non c'entravo niente, ricordo di aver cominciato a parlare per loro, mettendo le mie parole nelle loro bocche, dicendo ad alta voce il loro pensiero, dicendo ad alta voce il loro terrore, ho dato a quegli animali le poche parole che conoscevo, le parole di un bambino impaurito, e loro non mi hanno abbandonato. Ricordo tutto questo, quei momenti precisi, ma niente prima o dopo, ricordo solo quel durante, un durante animale”.

Anima, Wajdi Mouawad


Edito Fazi

Costo 18,50 €

Temo di non possedere le parole adatte per descrivere il capolavoro trovato in queste pagine. Così come, allo stesso tempo, nessuno mi avrebbe potuto anticipare o convincere della bellezza, del dolore e della potenza che vi avrei trovato. Risulta difficoltoso anche collocarlo in un genere letterario prestabilito: si muove, non si lascia afferrare.
Vibra, corre, striscia e spicca il volo esattamente come i personaggi che lo popolano e lo raccontano.
Ricordo, però, il primo pensiero elaborato una volta letta e abbracciata con lo sguardo l’ultima pagina: “Finalmente”.
Così, anche oggi, ripeto: finalmente un libro degno di essere letto.
Tra le mie mani, infatti, c’è un’opera che si insinua nei pertugi più angusti e oscuri dell’animo umano, li esplora e li rischiara.
Anima, si lega indissolubilmente al lettore, costringendolo a guardare il Wahhch Debch, il Mostruoso Brutale, risorto dalle ceneri dell'odio, della guerra fratricida, della vita infranta e torturata ripetutamente. Anima è un viaggio che da vita a vita, passando per diverse riserve indigene, tante specie e arrivando all'essenza dell'uomo, si trascina dal Québec (Canada) fino al Libano. Due posti, lontani, diversi e inconciliabili, uniti dal sangue rappreso che macchia, innaffia e profana il suolo su cui si ergono. Un uomo, accompagnato dal suo Totem, li libererà con la disperazione dei suoi passi.
Buona lettura.


domenica 26 giugno 2022

La campana di vetro

 "Mi sentivo come un cavallo da corsa in un mondo senza ippodromi, o come un campione di calcio dell'università che si trova tutt'a un tratto di fronte a Wall Street e al doppiopetto grigio, i suoi giorni di gloria ridotti alle dimensioni di una piccola coppa d'oro sulla mensola, con su incisa una data, come una lapide di cimitero.
Vidi la mia vita diramarsi davanti a me come il verde albero di fico del racconto.
Dalla punta di ciascun ramo occhieggiava e ammiccava, come un bel fico maturo, un futuro meraviglioso. Un fico rappresentava un marito e dei figli e una vita domestica felice, un altro fico rappresentava la famosa poetessa, un altro la brillante accademica, un altro ancora era Esther Greenwood, direttrice di una prestigiosa rivista, un altro era l'Europa e l'Africa e il Sud America, un altro fico era Constantin, Socrate, Attila e tutta una schiera di amanti dai nomi bizzarri e dai mestieri anticonvenzionali, un altro fico era la campionessa olimpionica di vela, e dietro e al di sopra di questi fichi ce n'erano molti altri che non riuscivo a distinguere. 
E vidi me stessa seduta sulla biforcazione dell'albero, che morivo di fame per non saper decidere quale fico cogliere. Li desideravo tutti allo stesso modo, ma sceglierne uno significava rinunciare per sempre a tutti gli altri, e mentre me ne stavo lì, incapace di decidere, i fichi incominciarono ad avvizzire e annerire, finché, uno dopo l'altro, si spiaccicarono a terra ai miei piedi."

La campana di vetro, Sylvia Plath

Edito Mondadori
Costo 10€ 

Qualcosa nell'aria che respiriamo o nell'acqua che beviamo o negli abbracci che riceviamo, è in grado di comunicarci quanto sia difficile - se non addirittura impossibile - avere una vita piena, felice, appagante e variegata per chiunque si discosti - anche solo infinitesimamente - dal ruolo che gli è stato assegnato alla nascita. Eppure, sin dalla più tenera età, abbiamo osservato il nostro corpo e scandagliato la nostra mentre e siamo giunti alla conclusione che le nostre forme - fisiche e mentali - non rientrano nelle vite-stampo preconfezionate. Naturalmente, c'è stato un momento, o forse più di uno, in cui avremmo voluto che entrambe le spalle ed anche una caviglia si slogassero, pur di rientrare negli accettabili confini proposti; poi, però, ci siamo dati degli sciocchi: la slogatura non sarebbe bastata a reinserirci negli schemi, perché il mostro che si aggira dentro la campana di vetro esige un sacrificio decisamente più consistente e di noi sarebbero rimaste solo briciole.
Così, nel suo unico romanzo, Sylvia Plath rivive, attraverso la brillante studentessa Esther, lo smarrimento, l'inadeguatezza e il dolore provati davanti ad un mondo che predilige la via dell'esclusione e dell'alienazione (ecco la famosa "campana di vetro"): sin dagli albori, qualcosa - privo di sembianze e nome propri, probabilmente insito nell'aria mefitica in cui viviamo - ci costringe a non credere nella moltitudine e nella coesistenza degli opposti, bensì a scegliere la carriera lavorativa o la maternità, la castità o la prostituzione, la mente o il corpo, il bianco o il nero. 
La campana di vetro è un vero e proprio inno alla diversità, alla complessità e - incredibilmente - anche alla biodiversità (no, non siamo l'uno la copia dell'altro). 
Tuttavia, Plath, è anche consapevole del potere corrosivo dell'ambiente che ci circonda: Esther ne manifesterà gli effetti sviluppando una forte depressione, che esiterà in un tentativo suicidario (non riuscito) e che la porterà ad una lunga e faticosa riabilitazione: sarà, così, costretta a ridisegnare i confini ed il contenuto del proprio corpo e della propria mente. 



lunedì 13 giugno 2022

La ciociara

 “In quel sonno mi pareva che la terra in cui ero nata e che avevo abbandonato da tanto tempo mi avesse ripreso nel suo seno e mi comunicasse la sua forza, un po’ come succede alle piante sradicate che se le ripianti presto ripigliano forza e riprendono a buttare fogli e fiori. Eh, sì, siamo piante e non uomini, o meglio più piante che uomini e dalla terra dove siamo nati viene tutta la nostra forza e se l’abbandoniamo non siamo più piante né uomini ma straccetti leggeri che la vita può sbattere di qua e di là secondo il vento delle circostanze”.

La ciociara, Alberto Moravia

 

Edito Bompiani

Costo 9,90 (1+1)

 

In queste pagine, la storia di due donne si intreccia e si lega indissolubilmente a quella della Seconda Guerra Mondiale. 

Cesira e Rosetta, rispettivamente madre e figlia, saranno costrette dalla fame e dall’approssimarsi dell’occupazione nazista e dei combattimenti a lasciare la propria dimora romana, in favore di una precaria sistemazione nei dintorni di Fondi – cittadina laziale situata nell’antica regione della Ciociara. Il tragitto e l’esilio sui monti – che arriverà a durare nove mesi – verranno narrati dall’inconfondibile personaggio di Cesira: nata in Ciociara e abituata a saggiare il terreno attraverso le ciocie (calzari tipici della sua regione natia), si sposa da giovane con un commerciante romano, insieme al quale concepisce Rosetta. Ormai vedova all’inizio del racconto, si troverà a dover proteggere sua figlia e se stessa su innumerevoli fronti e da numerosi nemici. Anche se, ben presto, sarà obbligata a riconoscere la difficoltà dell’impresa, soprattutto per una donna sola in tempi in cui la violenza e la disonestà sono ormai sdoganate e all’ordine del giorno.

Così, il cambiamento più grande con cui il lettore dovrà fare i conti, non sarà quello relativo al paesaggio, bensì quello riguardante l’animo umano. Un avvenimento violento e brutale sbarrerà loro la strada e le costringerà a percorrere in solitudine il cammino necessario ad aggirarlo e superarlo. Fortunatamente, una volta lasciate alle spalle le macerie, riusciranno a ritrovarsi.





sabato 7 maggio 2022

Verso il paradiso

 “Ma il sogno che ho fatto non è su di loro, ma su una storia che mi raccontava mia nonna da piccolo, una storia su una lucertola mangiona. Questa lucertola passava il giorno a vagare e a mangiucchiare. Mangiava frutta ed erba, insetti e pesci. Quando si levava la luna, la lucertola si metteva a dormire, e sognava di mangiare. Quando la luna tramontava, la lucertola si svegliava e ricominciava a mangiare. La maledizione della lucertola era di non potersi saziare mai, ma la lucertola nemmeno sapeva che fosse una maledizione: non era tanto intelligente. Un giorno, dopo migliaia e migliaia di anni, la lucertola si svegliò come sempre e come sempre si mise in cerca di cibo. Ma c’era qualcosa che non quadrava. Poi la lucertola se ne rese conto: non era rimasto più niente da mangiare. Non c’erano più piante né uccelli né erba né fiori né mosche. Aveva mangiato tutto: aveva mangiato le pietre, le montagne, la sabbia e la terra. […] Rimaneva solo un sottile velo di cenere, e sotto la cenere – la lucertola lo sapeva – c’era il centro della terra, che era di fuoco, e anche se la lucertola poteva mangiare tante cose, quello non poteva mangiarlo. E allora la lucertola fece l’unica cosa che poteva fare. Si mise sotto il sole ad aspettare, sonnecchiando e risparmiando le forze. E quella notte, mentre si levava la luna, si tirò in piedi sulla coda e mangiò la luna. Per un attimo ebbe una sensazione meravigliosa. […] Ma mentre si godeva quella bella sensazione, qualcosa cambiò: la luna ancora stava levandosi, cercava di sfuggire per poter continuare il suo viaggio nel cielo. Non deve succedere, pensò la lucertola, e si mise di corsa a scavare una buca, sottile e profonda, o abbastanza profonda da raggiungere il fuoco al centro della terra, e ci ficcò dentro il grugno. Così la luna non potrà andarsene da nessuna parte, pensò. Si sbagliava. Perché come è natura della lucertola mangiare, la natura della luna è levarsi, e per quanto la lucertola stringesse le fauci, la luna continuò a levarsi. […] E allora la lucertola esplose, e la luna schizzò nel cielo e riprese il suo cammino. […]

La lucertola tornò, ma questa volta non era più una lucertola, ma he mea helek: una cosa che sta eretta. E questa creatura si comportava esattamente alla stessa maniera della sua antenata da tempo scomparsa: mangiò e mangiò e mangiò, finché un giorno anche lei si guardò intorno e si rese conto che non era rimasto più niente, e anche lei fu costretta a mangiarsi la luna”.

Verso il paradiso, Hanya Yanagihara

 

 

Edito Feltrinelli

Costo 22€

 

 

In bilico, su una fune corrosa dal passaggio dei nostri avi, veniamo persuasi a non scrutare il paesaggio che ci circonda e a focalizzare la nostra attenzione su un punto fisso per noi privo d’importanza. Percorriamo il primo tratto con una sicurezza fuori dal comune: chi ci ha preceduti ci osserva con ammirazione e orgoglio. Man mano che procediamo, impariamo a sopportare la spiacevole sensazione della corda sfibrata a contatto col nostro corpo e a mantenere l’equilibrio nei tratti più difficili. Sembriamo – e ci sentiamo – invincibili. Eppure, nessuno ci ha preparati al dubbio, all’incertezza e all’imprevedibilità del mondo che ci circonda. Queste variabili si abbattono sul nostro essere trasformandoci in qualcosa che stentiamo a riconoscere: chi e cosa siamo realmente?

A percorrere questo sottile groviglio di fili intrecciati in un’America diversa da quella storicamente conosciuta e diretti ‘Verso il paradiso’ ritroviamo: David, Charles, Edward, Nathaniel e Peter.

‘Verso il paradiso’ con le sue 764 pagine è, infatti, suddiviso in tre parti ambientate in tre epoche differenti (1893, 1993 e 2093) unite tra loro dagli animi, dalle paure e dalle passioni di questi personaggi e dalla dimora in cui abitano. Una residenza a Washington Square, New York, sarà l’epicentro di ogni racconto adattandosi alle esigenze dei suoi ospiti e della realtà in cui essi vivono.

Così, la ritroviamo abitata nel 1893 dalla facoltosa famiglia Bingham e situata in una New York facente parte di un’associazione di Stati che garantiscono la libertà sessuale e sentimentale dei propri cittadini: gli Stati Liberi. Nathaniel e David Bingham, rispettivamente nonno e nipote, incarnano in queste pagine il classico scontro generazionale che vede tipicamente frapposti genitori-figli: l’esperienza vorrebbe insegnare all’innocenza e alla spontaneità a preservarsi, senza comprendere quanto sia importante vivere, consumarsi, rimanere feriti ed imparare dai propri errori; viceversa, l’inesperienza vorrebbe convincere la saggezza a guardare ancora una volta con occhi incantati e speranzosi ciò che li circonda, senza comprendere quanto sia doloroso riaprire vecchie cicatrici. David dovrà ragionare profondamente sul significato e sulle varie accezioni della parola libertà, mentre il suo corpo darà segni di cedimento e fragilità.

Nel 1993, invece, la ritroviamo occupata da Charles Griffith e dal suo giovane compagno David. Entrambi saranno costretti a scendere a patti con l’aspetto più crudele dell’esistenza: la perdita degli affetti più cari. La città in cui vivono è, infatti, provata dall’epidemia di HIV e dalla sua più brutale conseguenza: l’AIDS. Charles sarà così costretto a perdere alcuni dei suoi più cari amici. Al contrario, David vedrà riemergere parte del suo passato e della sua infanzia nelle isole delle Hawaii.

Nel 2093, New York è profondamente diversa nell’animo e nell’aspetto: regole rigide e severe governano la vita di ogni abitante e nulla è più come sembra. Charlie, dovrà riuscire a superare la morte di una persona amata e allo stesso tempo cercare di conoscere e capire le menzogne del mondo in cui è nata.

Leggere quest’opera consente di riflettere su un enorme numero di tematiche: immigrazione, omosessualità, libertà, ricchezza, povertà, malattia, fragilità mentale, fragilità emotiva, bisogno di essere amati, paura di prendere la decisione sbagliata e molto altro. Ogni America alternativa, creata in questo volume, ha bisogno di essere ascoltata e di mostrarci qualcosa. Nel mio cuore, devo essere sincera, rimarranno le descrizioni, i paesaggi e la vita delle isole Hawaii. Quando Hanya Yanagihara racconta e descrive questi luoghi metà abitati e metà selvaggi, non si può non rimanere incantati. La stessa bellezza e particolarità de ‘Il popolo degli alberi’, altro suo libro, rinasce e rivive nel secondo racconto di questo volume. Le sue opere hanno la capacità di riportare all’essenza e sono pregne di quella musicalità e armonia insite nella storia del genere umano. La pecca, che rende difficoltosa la lettura, è la presenza di un innumerevole numero di refusi ed errori di traduzione. Ciononostante, in alcuni punti, riesce comunque ad emergere il fascino della scrittura della Yanagihara. Buona lettura.




Un giorno tutti diranno di essere stati contro

 “Oggi ho visto il filmato di un uomo che baciava il piede del figlio mentre lo seppelliva. Il corpo era talmente dilaniato dai missili che ...