“Ah, amore mio. Un’apocalisse è una cosa relativa, non è vero? Quando la terra va in pezzi, è un disastro per la vita che dipende da lei… ma è insignificante per Padre Terra. Quando un uomo muore, dovrebbe essere sconvolgente per una bambina che un tempo lo chiamava padre, ma diventa come niente se quella bambina è stata chiamata mostro così tante volte da finire per accettare quell’etichetta. Quando uno schiavo si ribella, non significa molto per le persone che ne leggono in seguito. Solo esili parole su esile carta consumata dall’abrasione della Storia. («Così eravate schiavi, e allora?» sussurrano. Come se non fosse niente.) Ma per le persone che vivono sulla loro pelle una rivolta di schiavi, sia per chi dà per scontato il proprio dominio fino a essere travolto senza preavviso, sia per chi guarda bruciare il mondo piuttosto che sopportare un momento di più vissuto al “proprio posto”…
[…]
Se una com costruisce su una linea di
faglia, incolpi le sue mura quando inevitabilmente crollano, schiacciando le
persone all’interno? No, incolpi chiunque sia stato così sciocco da pensare di
poter sfidare per sempre le leggi della natura. Ecco, alcuni mondi sono
costruiti su una linea di faglia di dolore, tenuti in piedi da incubi. Non
recriminare quando quei mondi crollano. Infuriati perché sono stati creati con
un destino segnato sin dall’inizio.”
Il cielo di pietra, N. K. Jemisin
Edito @oscarvault
Costo 15€
L’Immoto è ciò che resta all’uomo: è
rifugio e supplizio, terra e fiamme (Terra infame), cenere e piogge acide. In
particolare, l’Immoto e le sue quinte stagioni sono la punizione che Padre
Terra ha assegnato all’umanità per non aver rispettato la vita, per aver
calpestato con ipocrisia cadaveri innocenti, per aver perforato il mantello
terrestre ed aver maneggiato l’essenza vitale con noncuranza e disprezzo.
L’Immoto e le sue quinte stagioni sono ciò che una civiltà assetata di potere e
pregna di indifferenza merita. In fin dei conti, Padre Terra è stato buono, è
stato clemente; anche se malnutrita, stanca e impaurita, l’umanità continua a
calpestare il suolo terrestre e a respirare: “A quanti sono sopravvissuti.
Respirate. Così. Un’altra volta. Bene. State bene. E anche se non state bene,
siete vivi. Questa è una vittoria”. In queste pagine, ogni scenario sembra
così lontano, eppure così vicino. Il percorso, che ha inizio con La quinta
stagione (volume 1) e si conclude con Il cielo di pietra (volume 3),
ha come obiettivo quello di toccare e risvegliare la sensibilità di chi lo
legge perché ci rende consapevoli di quanto ogni cosa che ci circonda possa
soffrire ed essere viva. È proprio questo il punto, non possiamo pretendere che
il nostro modo di sentire sia unico, inimitabile, giusto e vero; di
conseguenza, non possiamo pretendere che ciò che non sente o vive come noi sia
inesistente, morto, inadeguato o limitato. Ecco che N. K. Jemisin ci stimola e
ci mostra tanti altri modi di essere vivi, di sentire (sensire), di comunicare
e di pensare. Questo viaggio attraverso le strade distrutte e pericolose
dell’Immoto mi ha stregata e conquistata. Ho trovato tutto perfetto e geniale:
dal tipo di narrazione ai dialoghi, all’intreccio e ai personaggi. Ho amato il
rimanere sulle spine e farmi consumare dalla curiosità sino alle ultime pagine;
questa trilogia è così, esattamente come i personaggi che prendono vita tra le
sue pagine: oscura, intricata e, contemporaneamente, magnifica. Mi è piaciuto
rimanere sorpresa e confusa sino alla fine, ma ancor di più vedere la crescita
di Damaya, Syenite, Essun e Nassun. Ho respirato precarietà, carenza di cibo,
dolore, ingiustizia, sacrificio ma anche tanto altro. Ho capito quanto è
difficile essere madri, quanto spesso il controllo sia inutile e quanto bisogno
d’amore e accettazione c’è in esseri così piccoli. In conclusione, è stato
bello e paradossalmente non sento tristezza nell’averlo concluso (non è vero, un po' sì): ho già intenzione
di rileggere la trilogia dall’inizio. Mi auguro che questa trilogia dell'ossido vi piaccia, buona lettura.
(foto mia) |