venerdì 27 novembre 2020

Nel cuore dell'inverno

 “«Julian,» disse Bica «che cosa significa esattamente “asilo”?» Julian Harmon, pieno di gratitudine per l’interruzione, mise da parte i fogli sui quali stava scrivendo il sermone.

«Be’,» disse «”asilo” era per i greci e i romani quella parte del tempio in cui si trovava la statua di una divinità. La parola latina ara, che vuol dire “altare”, ha anche il significato di “protezione”.» Poi continuò, con il tono dello studioso: «Nel 399 dopo Cristo fu definitivamente riconosciuto alle chiese cristiane il “diritto di asilo”. La prima volta che si fa menzione di questo diritto di asilo in Inghilterra è nel codice di leggi emanato da Etelberto nel 600 dopo Cristo…»”

Nel cuore dell’inverno (racconto: Sanctuary), Agatha Christie

 

Edito Oscar Mondadori

Costo 14€

 

Ho deciso di scegliere questo estratto perché le parole in esso contenute comunicano appieno ciò che è stato per me questo libro: un santuario, un luogo in cui trovare rifugio e protezione. Non sempre la vita procede come vorremmo, eppure -grazie a dei punti di riferimento materiali o spirituali- si realizza quanto sia comunque piacevole il panorama, soprattutto quello invernale prossimo al Natale. La raccolta, che comprende in totale 12 racconti con diversi protagonisti (Poirot, Miss Marple, Tommy e Tuppence, Parker Pyne ecc), ha come obiettivo quello di coccolare il lettore, facendogli scoprire modi diversi in cui passare le festività natalizie. Le vicende non sono inedite, è possibile ritrovarle anche in altre raccolte, ciononostante desidero consigliare il volume perché fortemente curato in ogni minimo dettaglio. Anche l’ordine in cui vengono presentati i racconti è sinonimo di accuratezza, infatti, veniamo sia accolti che lasciati con dolcezza, o quasi: i protagonisti del primo e dell’ultimo racconto sono due specialità dolciarie, immancabili nel periodo festivo (cioccolatini e pudding).

Al di là di questo, ho apprezzato tantissimo l’atmosfera creata, mi è piaciuto perdermi in paesaggi innevati o semplicemente osservare lo svolgersi di dinamiche familiari in luoghi accoglienti e caldi. I racconti che più mi sono entrati nel cuore sono stati La Fine del Mondo e L’ardimento di Edward Robinson.

Sono due racconti che, sebbene non vedano come protagonisti né Poirot né Miss Marple, sono di una bellezza unica. In La Fine del Mondo si possono scorgere le analisi dettagliate di diversi tipi psicologici, come ad esempio la duchessa di Leith o il signor Satterthwaite: la prima, sebbene priva di preoccupazioni economiche, fortemente legata al denaro e il secondo, sebbene un uomo illustre, eccessivamente affascinato dalle apparenze e dai titoli, così tanto da sacrificare in loro nome anche le più piccole comodità. Eppure, in La Fine del Mondo, scorgiamo anche la disperazione, la sofferenza e la brutalità con cui la vita irrompe nelle nostre esistenze. Naomi, dopo aver abbandonato la forma e aver abbracciato nuove prospettive, incarna appieno un’esistenza all’insegna della crescita; non è perfetta, ma nonostante tutto continua a vivere e ad interrogarsi. Ben presto, le si affianca il signor Quin: quasi un angelo custode o, più probabilmente, un essere umano capace di scorgere i momenti di difficoltà altrui e, grazie ad un piccolo aiuto, riesce a non perdersi completamente nella tristezza.

Al contrario, in L’ardimento di Edward Robinson realizziamo quanto siano importanti -nella vita di tutti i giorni- il coraggio, il desiderio e l’appagamento del nostro animo, e quanto sia importante evitare di farsi sopraffare dai sensi di colpa provenienti da una morale troppo rigida.

In conclusione, sebbene brevi, questi racconti sono in grado di parlare al nostro spirito (soprattutto natalizio). Mi auguro riescano ad allietare le vostre giornate. Buona lettura.

Ringrazio come sempre Attimi di prosa blog (www.attimidiprosa.blogspot.com), la Mondadori e i miei compagni Appunti di un lettore compulsivo (www.appuntidiunlettorecompulsivo.blogspot.com) e La ragazza calabrese (www.laragazzacalabrese.blogspot.com).



venerdì 20 novembre 2020

Il sentiero delle babbucce gialle

 “Il mio caro compagno di lotta, l’uomo che ammiro sia per la sua vita che per le sue opere, aveva scritto un libro di circa cinquecento pagine nel suo olandese.

«Perché non l’hai scritto in inglese o in persiano?» gli ho domandato.

«In realtà l’ho scritto in una specie di olandese per evitare l’autocensura, un luogo dove nessuno può trovarmi. Se scrivi nella tua lingua non puoi parlare di tutto. Per questo ho cercato rifugio nel mio olandese stentato.»

Lì per lì non sapevo cosa dire. Mi sono versato una tazza di caffè per avere il tempo di riflettere. […]

«Ma perché hai scelto come prologo questo brano di Farid al-Din ‘Attar?»

«Non lo so, ma doveva stare lì. L’ho messo in cima a quel mucchio di fogli come una pietra perché il vento non li portasse via.»”

Il sentiero delle babbucce gialle, Kader Abdolah

 

Edito Iperborea

Costo 19,50


Nel momento in cui scrivo queste parole, non ho ancora selezionato quale estratto collocare all’inizio dell’articolo: ogni parte dell’opera è riuscita ad accarezzarmi, scaldarmi e coccolarmi. Il motivo è probabilmente da ricondursi alla narrazione semplice, armonica e fluida e al realismo celato anche in situazioni e avvenimenti non verificatisi realmente, ma non solo. Ciò che rende questo libro così speciale, come anche i precedenti, è il realizzare quale grandissima personalità lo abbia composto: Kader Abdolah. Nato con il nome Hossein Sadjadi Ghaemmaghami Farahani ad Arak (Iran) nel 1954, sogna sin dall’infanzia di intraprendere la carriera di scrittore, ma -per un certo periodo- accantona questo desiderio e si iscrive alla facoltà di Fisica di Teheran. Qui, per la prima volta, entra in contatto con gli esponenti dei partiti rivoluzionari di sinistra ed in un’intervista affermerà: “A casa i miei eroi erano Maometto e Fatima, ma all’università divennero Castro e Che Guevara”.  Tra i suoi nuovi contatti vi sono Kader, uno studente di medicina, e Abdolah, uno studente di architettura; entrambi verranno, successivamente, arrestati e giustiziati dal regime degli ayatollah. Ecco da cosa nasce lo pseudonimo Kader Abdolah: dall’accostamento dei nomi di due amici intimi, ingiustamente uccisi. 

Infatti, nel 1978, il già precario equilibrio politico, che vedeva lo scià Mohammad Reza Pahlavi fortemente ostacolato dagli ulamā (individui esperti delle scienze religiose musulmane* guidati -in quel periodo- dall’ayatollah** Khomeyni), venne distrutto dalla cosiddetta Rivoluzione iraniana. La Rivoluzione iraniana coinvolse non solo gran parte dei cittadini iraniani in patria (di ispirazione religiosa, nazional-liberale e marxista, stanchi del regime repressivo), ma anche di quelli esiliati all’estero; tra quest’ultimi spicca l’ayatollah Khomeyni che, sebbene confinato a Parigi (Francia), scatenò ed infiammò le proteste. Gli scontri proseguirono per circa un anno, fino a quando lo scià Pahlavi decise di fuggire all’estero: infatti, anche i membri dell’esercito (dopo una prima cruenta, ma inutile reazione) cominciarono a rifiutarsi di uccidere i propri compatrioti, disobbedendo agli ordini del sovrano. In seguito all’allontanamento dello scià, le forze di opposizione (di ispirazione religiosa, nazional-liberale e marxista) si riunirono sotto la figura dell’ayatollah Khomeyni. Venne indetto un referendum e il 30 marzo del 1979 venne ufficialmente sancita la nascita della Repubblica Islamica dell’Iran. Così, venne redatta una nuova costituzione che prevedeva l'esistenza parallela di due ordini di poteri: quello politico tradizionale, a cui furono riservati compiti puramente gestionali, e quello di ispirazione religiosa affidato a una Guida Suprema (faqih) coadiuvata da un Consiglio dei Saggi (velayat-e faqih), a cui fu demandato l'effettivo esercizio del potere e che riconosceva nell'Islam il vertice dello Stato. Questa decisione comportò delle radicali modifiche nella struttura sociale (le leggi e le scuole vennero islamizzate e le influenze occidentali vietate) ed economico-produttiva dell’Iran: iniziarono così degli scontri interni tra le varie fazioni dell’opposizione, che all’inizio avevano appoggiato la stessa figura (Khomeyni). Ecco in quale contesto avvenne la carcerazione e l’esecuzione di Kader e di Abdolah. Sempre in questo periodo, Hossein Sadjadi Ghaemmaghami Farahani ritorna ad interessarsi di scrittura e decide di adottare lo pseudonimo Kader Abdolah; questa scelta lo costringerà nel 1985 ad abbandonare il paese in quanto lo porterà ad essere identificato come membro attivo dell’opposizione. Si sposta così ad Ankara (Turchia) per circa tre anni, fino a quando non entra in contatto con una delegazione olandese delle Nazioni Unite. Dunque, decide di rifugiarsi nei Paesi Bassi dove ottiene lo status di rifugiato politico.

In Olanda si iscrive all’università di letteratura, impara la lingua da autodidatta e debutta come scrittore nel 1993 con la raccolta di novelle Le aquile. Nel 1997 pubblica il suo primo romanzo e si fa pian piano spazio nel panorama letterario olandese ed europeo. In un’intervista afferma di aver fatto propri i tranquilli e poco mossi fiumi olandesi per poi arricchirli della musicalità, delle lacrime e delle grida contro gli ayatollah proprie dei suoi fiumi persiani. Ecco, quindi, quale risulta per Kader Abdolah il dovere degli immigrati: conoscere il nuovo paese, assorbire e far propria la bellezza che questi conservano e, infine, aggiungere altra bellezza proveniente dal loro vecchio paese alla nuova società. Non penso ci siano parole più mature, ammirevoli ed intelligenti di queste: il cambiamento fa parte della vita ed è nostro compito cercare di costruire un futuro migliore all’insegna della bellezza e dell’integrazione, cercando -per quanto possibile- di portare nella nostra valigia le cose migliori. Naturalmente, sia i conflitti che hanno coinvolto l’Iran che la vita di Kader Abdolah, sono stati molto più complessi di come li ho descritti (si pensi alle altre potenze interessate quali USA e Iraq ecc), eppure mi auguro che queste semplici parole siano servite per far comprendere, almeno in parte, che grande uomo si cela dietro Il sentiero delle babbucce gialle.


Il romanzo ha inizio con un brano tratto dal poema allegorico Verbo degli uccelli, composto dal poeta persiano Farid al-Din ‘Attar e risalente al XII secolo, che vede Hodhod -l’upupa- porre ai suoi simili una domanda all’apparenza semplice ma essenziale: “Come mai, era la domanda, il regno degli uccelli non aveva ancora un re?”. Successivamente, la stessa Hodhod prosegue con “«Abbiamo bisogno di un re, ma dobbiamo metterci in viaggio per cercarlo. In realtà è vicino a noi, ma noi siamo lontani da lui. Migliaia di veli di luce e di tenebra lo circondano. Il suo nome è Simorgh. E abita su una montagna inaccessibile chiamata Qaf. Non illudetevi, sarà un lungo viaggio. Molte terre e molti mari ci separano dalla nostra meta. Se il re Simorgh vi svelerà il suo volto, capirete che ogni uccello non è che una sua ombra. Come l’ombra non è mai separata da chi la genera, così tutti gli uccelli sono una rappresentazione di Simorgh. Venite, dunque, e immergetevi nel mistero. Mettetevi in viaggio alla ricerca del re. Chi vola in testa e chi vola in coda, formiamo tutti una cosa sola. […]»”. Come spiega Natalia Tornesello (nella Nota critica posta alla fine del volume), Simorgh rappresenta la Verità Assoluta e, alla fine del viaggio, i pochi rimasti «… si accorsero che i trenta uccelli altri non erano che Simurgh, e che Simurgh era i trenta uccelli». Ne consegue che il vero significato del viaggio non è altro che “una ricerca di sé, un percorso interiore e un ritorno in se stessi” (Natalia Tornesello, Nota critica). La mia meraviglia davanti ad un brano che racchiude così tanta filosofia occidentale, sviluppatasi molti anni dopo, è immensa. In queste parole, non è solo racchiusa parte della filosofia di Spinoza, di Kant e di Hegel, ma quel senso di mancanza e di ricerca che tutti noi sentiamo nel corso della nostra esistenza. Ecco che acquista significato anche un’altra affermazione sempre dello stesso Kader Abdolah: “Il Corano è un libro pericoloso se si usa come un libro di regole, ma è anche un libro antico, un capolavoro. Non ho mai letto un libro più bello del Corano. Perché è così bello? Perché Maometto ha fatto qualcosa di subdolo: ha preso tutte le cose belle e più importanti della Bibbia e le ha messe nel suo libro. Non leggete la Bibbia, leggete il Corano: è la stessa cosa”. A quale conclusione voglio arrivare? Siamo tutti esseri umani, al di là della cultura in cui nasciamo, e come tali sentiamo e abbiamo gli stessi bisogni. Ecco che si spiega come mai, in un testo del XII secolo, si possano ritrovare il panteismo e il panenteismo (Dio/Simorgh è in me, ma io sono anche in Dio/Simorgh) di Spinoza, l’imperativo categorico (il bisogno di ricercare un Re) di Kant ed il percorso di tesi, antitesi e sintesi (il viaggio che ci spinge lontani da noi stessi e ci chiede di annientarci, per poi farci tornare al punto di partenza arricchiti e più consapevoli) di Hegel. Eppure, la domanda che più mi preme porre è la seguente: perché Hodhod sente il bisogno di cercare un re? Cosa la spinge ad abbandonare la sua vita e mettersi in cammino? Quale breccia nella trama del mondo l’ha spinta a porsi tale domanda? Cosa ci spinge ad andare oltre?

Dopo questo brano, posto “in cima a quel mucchio di fogli come una pietra perché il vento non li portasse via”, veniamo accolti nella vita di Sultan Farahangi. Così, grazie ad una narrazione che si alterna tra passato e presente, impariamo a conoscere Arak (paragonata a Petra nelle prime pagine), il castello di Arak, Akram jun (sua cugina), Hushang e, nel complesso, la Persia del ‘900. Sultan racconta la sua esistenza con occhi saggi, portandoci in un mondo fatto di religione, lotte femministe, usanze poetiche e credenze magiche. Sono rimasta intensamente colpita dalla lettura, avvenuta in un periodo in cui ho avuto bisogno di questo libro per ricordare l’importanza della pazienza, della poesia, dell’arte e del jinn che alberga nel nostro corpo. Riporto un passo che mi è rimasto nel cuore:

L’essere corpulento era un jinn, il jinn che viveva dentro di me. Mi proteggeva sempre, mi consigliava quando era necessario e quando ero nel dubbio, decideva perfino qual era la cosa giusta da fare. Ma se non ascoltavo i suoi avvertimenti, veniva a sedersi sulla mia schiena con tutto il suo peso per farmi capire che era ora di smetterla di vivere come avevo fatto fino a quel momento. Il jinn, il mio jinn, non voleva farmi soffrire, ma non conosceva altro modo per dirmi le cose. Faceva quello che doveva e lo faceva a modo suo. In realtà voleva indurmi a imboccare il nuovo sentiero a cui pensavo e che ero indeciso se prendere o meno”.

Cosa mostra questo passo? Il legame tra anima e corpo, il ruolo che la psiche ricopre nella nostra vita. A chi non è mai capitato di ignorare alcune sensazioni, alcuni avvertimenti provenienti dall'interno del nostro essere, per poi stare male anche fisicamente? Quanto è appagante ritrovare se stessi in tradizioni antichissime, come quella dei jinn? Ecco cosa mi ha dato quest'opera: appagamento, fiducia nel futuro e accettazione di sé perché, come afferma Sultan, "Sapevo che lottare contro me stesso non avrebbe portato a nulla. Ero quello che ero e dovevo darmi per vinto".

Eppure, Sultan si mostra estremamente acuto anche in altre situazioni, come ad esempio nel modo in cui racconta la sua esperienza in carcere: “Solo più tardi, una volta libero, mi resi conto che imprigionare una persona significa infliggerle una lesione al cervello. Qualcosa di simile ad un’ustione sul viso o all’impronta dei denti di un serpente velenoso sulla caviglia: una cicatrice terrificante e indelebile.

In conclusione, quest'opera mi ha trascinato con sé ed è riuscita a mostrarmi la vita sotto una nuova luce: dolce anche nei momenti più duri, bisogna solo avere pazienza. Mi auguro che quest'opera vi aiuti come ha fatto con me. Buona lettura.

*Sono considerati i depositari e tutori della legge religiosa islamica (sharī‛a), e hanno quindi spesso rappresentato l’elemento conservatore e misoneista all’interno del mondo islamico fino ai nostri giorni.

**Āyatollāh è un titolo di grado elevato che viene concesso agli esponenti più importanti del clero sciita, talvolta al più autorevole, e ai mujtahidin, la casta dei dotti musulmani. Questo titolo negli ultimi decenni ha assunto una connotazione politica che prima era attenuata.


(foto mia)
(foto mia)

mercoledì 11 novembre 2020

Creepshow

 “La nostra storia comincia nel seminterrato della Amberson Hall, l’edificio della facoltà di scienze della Horlicks University

… e con una beffa del destino… con il lancio di una moneta, guarda caso. Eh, eh!

Ma qui non si tratta di testa o croce, ragazzi… oh, no…

Si tratta di un lancio finito male… terribilmente male!

O forse, è stato davvero destino!

Chi può dirlo? Eh, eh!”

Creepshow, Stephen King (scrittore) e Bernie Wrightson (illustratore)

 

Edito Mondadori (collana Oscar Ink)

Costo 18

 

Creepshow è un fumetto ispirato all’omonimo film del 1982, scritto sempre da Stephen King e diretto da George A. Romero. Il film venne concepito come un omaggio ai fumetti horror della EC Comics (Entertaining Comics), casa editrice che negli anni ’50 subì una forte pressione mediatica e fu costretta ad interrompere tale genere di pubblicazione. Perciò, lo scopo del film e del fumetto è quello di ricordare l’importanza che tali pubblicazioni hanno avuto nella formazione sia di Stephen King che di George A. Romero. In particolare, l’opera è composta da 64 pagine che racchiudono al loro interno le cinque storie tratte dal film: Father’s Day (La Festa del Papà), The lonesome death of Jordy Verrill (La morte solitaria di Jordy Verrill), The crate (La cassa), Something to tide you over (Di mare in peggio) e They’re creeping up on you (Ti infestano). La narrazione è affidata al simpaticissimo e adorabile Zio Creepy, che per ogni storia sfoggia un look a tema (o quasi): non so ancora se preferire l’umile tunica verdastra, abbinata al suo incarnato giallognolo, o la tuta turchese da operaio in tinta con un cappellino tutt’altro che banale. In ogni caso, Zio Creepy ci introduce in queste cinque ed intriganti vicende; ognuna metterà alla prova la nostra sensibilità, soprattutto -almeno nel mio caso- l’ultima. I temi affrontati sono diversi, quello che ho trovato predominante è stato la vendetta e, in alcuni casi, l’inefficacia della morte per coloro di cui vogliamo ‘sbarazzarci’. La vendetta, che ho ritrovato sia in Father’s Day che in The crate e Something to tide you, non viene mai presentata nello stesso modo o con lo stesso significato: nel primo racconto (Father’s Day) il lettore si trova davanti ad una vendetta quasi ingiusta, che lo porta quasi a titubare dell’irreversibilità della morte; invece, in The crate e in Something to tide you il lettore si trova quasi ad implorare la vendetta e tirare un sospiro di sollievo nel momento in cui avviene.

Il racconto che più mi ha incuriosito è stato The lonesome death of Jordy Verrill: i disegni e i colori mi hanno incantata, la storia mi ha totalmente conquistata. In realtà, un po’ mi dispiace per Jordy Verrill, il cui unico sbaglio è stato quello di sognare con troppa cupidigia, ma come dice Zio Creepy “…non rifletteteci su troppo, ragazzi… il prossimo racconto del terrore ci sta già aspettando…”.

In conclusione, anche nel caso in cui non siate amanti del genere, non perdetevi quest’uscita terrificante (eh, eh!).



martedì 10 novembre 2020

Una storia di magia

 “«È stata un’iniezione di realtà davvero brutale» rispose Brystal. «Ho sempre saputo che il mondo odia le persone come noi, ma non ho mai pensato che qualcuno potesse voler far del male a me. È diventato tutto più personale adesso.»

«Tutti pensano di essere immuni alla discriminazione finché non la provano sulla propria pelle» disse Madame Tempofiero. «Basta un singolo evento tragico per cambiare per sempre la visione delle cose di una persona.»

Brystal annuì. «Ieri notte quegli uomini ci hanno parlato come fossimo oggetti privi di sentimenti o di un’anima. Abbiamo implorato di risparmiarci e abbiamo detto loro che stavano facendo un errore, ma non hanno battuto ciglio. E anche se non abbiamo fatto nulla di male, loro si sono comportati come se… come se… non so neanche come dirlo.»

«Come se vi meritaste di essere punite per il semplice fatto di esistere» aggiunse Madame Tempofiero.”

Una storia di magia, Chris Colfer

 

Edito Rizzoli

Costo 17€

 

Non smetterò di ripetere quanto quest’opera sia dolce e tenera e quanto possa venire in aiuto di coloro che si trovano in un momento difficile della loro esistenza. Sono ancora troppo giovane per prendere in considerazione l’eventualità di avere figli, ciononostante posso già affermare che questo è uno di quei libri, ricchi di elementi fantastici sapientemente mescolati con situazioni in grado di far riflettere, che mi piacerebbe poter tramandare alle generazioni future. La sensazione che emerge dalle 404 pagine dell’opera è per lo più quella di trovarsi in un luogo caldo, protetto e comprensivo che cerca di resistere a sentimenti ostili e negativi. Ogni pagina e ogni tema affrontato sembrano fortemente sentiti dall’autore (con qualche piccola eccezione che dimostra però un’enorme sensibilità e, inoltre, la capacità di sapersi documentare, di saper ascoltare e di saper riproporre magistralmente problematiche che possono non riguardarci da vicino), perciò non viene mai corso il rischio di cadere nel banale o nel superficiale, al contrario vengono mostrate una maturità e una complessità encomiabili.

La storia ha inizio nel Regno del Sud, un luogo che si rivela essere fortemente oppressivo sotto diversi aspetti: non solo è illegale -pena la carcerazione- l’uso di qualsiasi forma di magia, ma agli individui di sesso femminile è anche severamente proibito praticare la lettura o qualsiasi altra attività che si allontani dalle mansioni ritenute ‘femminili’ (cucinare, ricamare, pulire e servire) e, viceversa, a quelli maschili praticare attività non ritenute ‘maschili’ (ad esempio giocare con le bambole). Al trono di tale regno siede Re Alastair XIV che, ormai anziano e stanco, ha lasciato gran parte del potere decisionale al Consiglio di Alti Giudici (interessati solo al mantenimento del potere e dello status quo). Eppure, la situazione cambierà lentamente ma inesorabilmente quando una fata, Madame Tempofiero, andrà a far visita al Re e riuscirà ad ottenere il permesso di reclutare due giovani apprendisti e poter fondare una scuola di magia nell’Altrove di Mezzo (una zona inospitale situata tra il Regno del Sud, il Regno dell’Ovest, il Regno del Nord e il Regno dell’Est). 

Così, hanno inizio le avventure che vedranno la nostra protagonista, Brystal, e i suoi amici (o meglio la sua nuova e sentita famiglia) affrontare diversi dilemmi: cos’è davvero la famiglia? È lecito usare metodi brutali per farsi rispettare e salvare la propria esistenza? Chi decide cos’è adatto alle donne e cosa agli uomini? Quanto è importante ragionare con la propria testa? Qual è il senso della vendetta?

Attraverso tali quesiti viene mostrato al lettore quanto certe situazioni non siano normali, anche nel caso in cui si verifichino tra membri dello stesso nucleo familiare, ad esempio la mancanza di rispetto da parte di un genitore verso parte della prole. Infatti, non è normale essere trattati con disprezzo, essere abusati anche solo psicologicamente o essere derisi e trattati con sufficienza. Spesso si tende a sopportare o sminuire comportamenti tossici solo perché provenienti dal sangue del nostro sangue, al contrario, il libro ci mostra come nessuno meriti un trattamento del genere e come il termine famiglia possa prescindere dai legami di parentela. Sono molto interessanti anche le riflessioni che antepongono la calma, la pazienza e la diplomazia all’odio, alla vendetta e ad azioni precipitose. Riporto il seguente passo:

«Le persone come gli Edgar e i Giudici si meriterebbero di finire bruciati per come trattano la gente.» «Senza dubbio» disse Madame Tempofiero. «Ma non possiamo permettere che sia l’odio a motivarci e a distrarci da ciò che è giusto. Potrebbe sembrare giustizia, ma la vendetta è una lama a doppio taglio: più la si tiene in mano e più ci si ferisce.» Brystal sospirò.”

Ciononostante, l’opera non propone una soluzione scontata ed io stessa sono rimasta sorpresa dalla piega e dall’evoluzione della storia; Chris Colfer riesce a conciliare sapientemente resa dei conti e pazienza: in generale, per non generare spoiler, viene mostrato sia quanto sia difficile mantenere la calma quando viene minacciata la nostra esistenza, che quanto possa aggravare la situazione il rispondere frettolosamente e brutalmente. 

Mi è piaciuto anche osservare come l'autore abbia realizzato il gruppo di creature magiche: nessuno è perfetto, i problemi nascono ovunque e, perciò, bisogna cercare insieme a chi ci circonda una soluzione che prenda in considerazione le esigenze di tutti.

In conclusione, è un'opera ben scritta, ben articolata e di cui consiglio la lettura a qualsiasi età: non cadete anche voi nella giungla soffocante dei pregiudizi, apritevi e ragionate come avreste fatto da giovani, da pagine intonse e lontane dal mondo degli adulti. Buona lettura.


(foto mia)



venerdì 6 novembre 2020

Importanza della parità di genere nei libri per ragazzi

 “«Il tempo è il fattore più complicato dell’universo» spiegò Madame Tempofiero. «È il problema e la soluzione alla maggior parte dei dilemmi della vita. Cura ogni ferita, ma alla fine viene a prendere ciascuno di noi. Sfortunatamente non è quasi mai favorevole. Ne abbiamo troppo o troppo poco, ma mai quello che vorremmo o di cui avremmo bisogno. A volte nasciamo in un tempo che non ci rispetta, e troppo spesso lasciamo che questo determini il rispetto che abbiamo per noi stessi. Il vostro primo compito è liberarvi di ogni opinione negativa, insicurezza e rabbia verso voi stessi che questo tempo vi ha instillato. Se vogliamo cambiare la visione che il mondo ha di noi, dobbiamo cominciare cambiando la visione che abbiamo di noi stessi. […]»”

Una storia di magia, Chris Colfer

 

Come ben sappiamo, il termine fantasia non sempre viene usato per indicare una o più situazioni slegate dalla realtà e questo libro, sebbene abbia come protagonista la magia, ne è un esempio lampante. Infatti, al di là del contesto, dei luoghi o dei personaggi che popolano queste pagine, i temi trattati trovano ampia rappresentazione nella nostra esistenza; tra questi, quello che più mi preme affrontare concerne la parità di genere e, più nello specifico, il ruolo e il compito che quest’ultima svolge nei libri per bambini e per ragazzi. Un mondo -il nostro- che ha alla base una concezione lineare del tempo (e, per tale motivo, conferisce al progresso un’enorme importanza), deve avere consapevolezza del ruolo significativo ricoperto dall’educazione e dalla garanzia di prospettive future, ma non solo. Un mondo con tali caratteristiche deve anche essere consapevole che, per il raggiungimento del progresso e della crescita, devono essere inclusi e trattati equamente (risulta ovvio che situazioni di disuguaglianza limitino il progresso poiché il benessere delle parti in causa non viene garantito) tutti i membri della comunità; anche il più piccolo contributo può essere decisivo e, in fondo, la storia è fatta di piccoli passi. Eppure, un concetto così semplice fa ancora fatica ad essere accettato dalla stragrande maggioranza della popolazione.

Cosa si intende per parità di genere?  

L’espressione parità di genere indica una condizione nella quale le persone ricevono pari trattamenti, con uguale facilità di accesso a risorse e opportunità (quindi l’assenza di ostacoli alla partecipazione economica, politica e sociale di un qualsiasi individuo), indipendentemente dal genere. L’uguaglianza di genere è uno degli obiettivi della Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite, infatti, attualmente non si è ancora riusciti a debellare quella corrente di pensiero maschilista che vede associate alla locuzione sesso femminile le parole debole, subordinato, inadeguato, incapace e così via.

Quali sono le origini della discriminazione di genere?

Secondo Eva Cantarella, docente universitaria di Diritto romano e di Diritto greco, “le discriminazioni di genere vengono da lontano. Il tentativo di cercarne le origini ci porta a guardare in modo inusuale al nostro rapporto con la Grecia: considerata abitualmente, e giustamente, la cultura nella quale il mondo occidentale affonda le radici della sua cultura, essa ci appare -in questo caso- come il luogo nel quale è nata e si è consolidata l’idea dell’inferiorità “naturale” del genere femminile, formulata dapprima dal pensiero mitico e quindi confermata dal quello logico”. Così, ci rendiamo conto di quanto sia radicata tale concezione nella nostra cultura, nella nostra società.

Solo recentemente, dopo una rivoluzione iniziata in Francia nel XVIII secolo e durata decenni (e tutt’ora in corso), si è riusciti a tutelare -in parte- dal punto di vista legislativo gli esseri umani di sesso femminile. Le date più importanti della storia italiana sono le seguenti:

Il 10 marzo 1946 il Consiglio dei ministri estende il voto alle donne che avessero compiuto la maggiore età (all'epoca 21 anni). Quest’ultime votarono per la prima volta nel corso delle elezioni amministrative del marzo e aprile 1946 e, successivamente, per il celebre referendum monarchia/repubblica (2 giugno 1946).

Il 24 marzo 1947 viene approvato l’articolo 3 della Costituzione che recita così “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Il 1950 quando viene approvata la legge per la tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri.

Il 1963 quando vengono approvate le leggi che vietano il licenziamento in caso di matrimonio, sostengono la maternità delle lavoratrici agricole e tutelano il lavoro domestico.

Eppure, non si può pretendere di sradicare comportamenti discriminatori esclusivamente grazie alla legge. Ecco che si realizza come l’unica risorsa effettivamente in grado di cambiare il mondo sia l’educazione e, insieme ad essa, la letteratura. Un bambino che trova, sin dalle prime esperienze nel mondo e nei libri, naturale e normale rispettare l'altro, è probabile che interiorizzerà sin da subito tale concetto e crescerà nel rispetto di sé e di chi lo circonda. Infatti, non dobbiamo mai dimenticare che l'accettazione e la validazione di sé, passa prima attraverso il rapporto con l'altro; se io accetto l'altro e l'altro accetta me, sarà più semplice che anch'io riesca a vivere bene con la mia persona. 

In conclusione, la letteratura per bambini e per ragazzi svolge un ruolo decisivo nella costruzione del mondo e della società futuri. Noi tutti dovremmo riconoscerne l'importanza e la complessità, perché se oggi siamo riusciti ad essere liberi e riconosciuti dal punto di vista legislativo e sociale, lo dobbiamo anche a quei genitori che hanno educato la propria prole nel rispetto di sé e di chi lo circonda. 




lunedì 2 novembre 2020

Una storia di magia - Presentazione

 Le parole che seguono sono tratte da uno dei libri più dolci e teneri che abbia letto quest’anno e che ho il piacere di presentare:

«Be’, mi spiace doverti dare una brutta notizia, ma la tua insegnante si sbaglia» disse l’anziana signora. «Non esiste niente nell’universo che sia completamente bianco o nero. Anche nelle notti più buie c’è un barlume di luce, e un po’ oscurità si annida nei giorni più chiari. Il mondo è fondato su questo dualismo, e sta a noi decidere da che parte schierarci.»”

Una storia di magia, Chris Colfer

Trama

In un mondo in cui usare la magia è un crimine, la vita di Brystal Evergreen sta per cambiare per sempre… In una sezione segreta della biblioteca in cui lavora, Brystal trova un libro che le svela un mondo incredibile e una stupefacente verità: è una fata! Ma nel Regno del Sud alle donne è proibito leggere e la magia è illegale, così Brystal viene rinchiusa nel terribile Centro di correzione Altostivale. È solo grazie all’intervento della misteriosa Madame Tempofiero che riesce a scappare… e a cominciare una nuova vita in un’accademia di magia! Quando però Madame Tempofiero è costretta a partire per risolvere un problema urgente, Brystal e i suoi compagni di classe si ritroveranno a combattere da soli contro l’oscurità che minaccia il destino del mondo e della magia stessa. Ma ci riusciranno? Immergiti nella nuova, indimenticabile avventura fantastica nata dalla penna di Chris Colfer, autore bestseller in cima alla classifica del “New York Times” con la serie La Terra delle Storie.

Edito Rizzoli

Costo 17

Pagine 416

Data di uscita 15/09/2020

La presentazione dell’opera verrà approfondita in diverse date e da diversi colleghi, ecco il calendario:

4 Novembre – La letteratura per ragazzi: cenni storici a cura di Appunti di un lettore compulsivo (link per il suo blog: www.appuntidiunlettorecompulsivo.blogspot.com)

5 Novembre – Conosciamo la protagonista: Brystal Evergreen a cura di La ragazza calabrese (link per il suo blog: www.laragazzacalabrese.blogspot.com)

6 Novembre – La parità di genere nei libri per ragazzi a cura di Zetatl’s Collective Memory (hey ma sono io)

7 Novembre – Conosciamo l’autore: Chris Colfer a cura di Attimi di prosa (link per il suo blog: www.attimidiprosa.bolgspot.com)

9 Novembre – Il tema del pregiudizio nella letteratura fantasy a cura di Underbrushink (link per il suo blog: www.underbrushink.blogspot.com)

Di seguito riporto anche le tappe che riguardano la recensione del volume:

10 Novembre: Zetatl’s Collective memory (di nuovo iuz)

11 Novembre: La ragazza calabrese

12 Novembre: Attimi di prosa

13 Novembre: Underbrushink

14 Novembre: Appunti di un lettore compulsivo

Mi auguro vi piaccia e vi faccia emozionare.





domenica 1 novembre 2020

Le notti di Salem

 “Quando viene l’autunno, invece, scacciando l’estate con una pedata come sempre fa passata la prima metà di settembre, si trattiene per un po’ come un vecchio amico disperso da tempo. Come un vecchio amico si accomoderà nella tua poltrona preferita e tirerà fuori la pipa e l’accenderà e riempirà il pomeriggio con le storie dei luoghi dov’è stato e delle cose che ha fatto dall’ultima volta che vi siete visti. Si trattiene per tutto ottobre e, in qualche raro anno, fino ai primi di novembre. Il cielo è di un azzurro limpido e intenso e le nuvole che vi transitano, sempre da ovest a est, sono placide navi bianche con la chiglia grigia. E cominciano a soffiare i venti, che non si placano più. Ti sospingono quando cammini per le strade, sgretolando sotto i piedi le foglie cadute in mucchi confusi e variegati. I venti ti fanno sentire dolori in luoghi più profondi delle ossa. Può essere che tocchino qualcosa di antico nell’anima umana, una memoria della razza che dice: migra o muori, migra o muori. Anche se sei in casa, al riparo di solidi muri, il vento picchia su legni e vetri e strofina il suo muso incorporeo sul tetto e prima o poi devi lasciare quello che stai facendo per uscire a vedere. E sostando davanti alla porta di casa a metà pomeriggio guardi le ombre delle nuvole scorrere sui pascoli di Griffen o i pendii di Schoolyard Hill, chiaro e scuro, chiaro e scuro, come se qualcuno aprisse e chiudesse le imposte degli dèi. Vedi le verghe d’oro, la pianta più tenace e perniciosa regina della flora del New England, piegarsi nel vento come una folla che silenziosa s’inchina. E se non ci sono veicoli o aeroplani, se non c’è il solito cacciatore che spara a una quaglia o a un fagiano nel bosco, se c’è solo il battere lento del tuo cuore, allora puoi sentire un altro suono, ed è il suono della vita che si va attenuando in prossimità della chiusura del suo ciclo, in attesa che la prima neve dell’inverno celebri il suo ultimo rito”.

Le notti di Salem, Stephen King

 

Edito Sperling & Kupfer

Costo 12,90

 

Scrivo queste parole dopo aver passato circa una settimana a Jerusalem’s Lot, nota anche come ‘Salem’s Lot, in compagnia di Ben, Susan, Matt, Mark e padre Callahan (e molti altri). Non so bene se ritenermi soddisfatta o meno da questa lettura, perché se da un lato avrei voluto trovarmi davanti ad un libro più terrificante, dall’altro mi sono piaciute le atmosfere create, i luoghi descritti e alcune considerazioni nate da quest’ultimi. Sono rimasta sorpresa davanti al potere e all’importanza dati ad alcuni luoghi, quasi in grado assorbire le emozioni e le intenzioni umane. Così, un semplice insieme di mattoni, tegole e assi di legno diventa un altare dedicato al male. Ecco che si delinea all’orizzonte Casa Marsten, sede non solo di misteriosi avvenimenti, quali l’omicidio-suicidio dei coniugi Marsten, ma anche il luogo in grado di dimostrare la veridicità di una considerazione attribuita a Ben: “«Mi hai chiesto che cosa ne penso. Te lo dirò. Penso che per la gente è relativamente facile accettare cose come telepatia o precognizione o ectoplasmi perché la disponibilità a crederci non costa niente. Non ci si resta svegli la notte. Ma la prospettiva che il male sopravviva a chi l’ha commesso è più inquietante.»”. L’essenza del romanzo risiede proprio in queste ultime parole; non è mio compito appoggiarle o smentirle, bensì lo è quello di prendere in considerazione il peso che hanno nella vita di tutti i giorni: quante volte abbiamo attribuito ad un oggetto che ci è stato regalato, sia in senso positivo che in senso negativo, i tratti e le caratteristiche di colui o colei che lo ha donato? Quanto è difficile scindere il ricordo del donatore da quello dell’oggetto? E per quale motivo? Non lasciamo forse una parte di noi stessi in ciò che dedichiamo all’altro o più in generale negli oggetti che manipoliamo e che viviamo (come un’abitazione)? Eppure, è difficile stabilire esattamente quanto di noi lasciamo nell’oggetto, così come è difficile stabilire fino a che punto Casa Marsten mantenga il ricordo del suo fondatore.

Un altro degli aspetti che mi hanno intrigata è stato il ricongiungermi -grazie alla lettura- con alcune sensazioni ed emozioni che hanno caratterizzato parte della mia adolescenza: i primi approcci con la paura ed il soprannaturale e le prime sensazioni di turbamento e terrore davanti a scenari lugubri o sinistri. Può sembrare assurdo, ma è stato interessante ricordare i primi spaventi ed osservare come la crescita e l’esperienza (empirismo) abbiano cambiato radicalmente la percezione di ciò che è malvagio o cattivo. Ed ecco il motivo per cui La notti di Salem è appetibile anche per i più fifoni (io inclusa): si parla di entità soprannaturali (vampiri) che spaventano solo la nostra parte fanciullesca sopravvissuta alla crescita (ben poca cosa); eppure, rimane una sensazione di disagio dovuta al pensiero che la presa sul nostro animo sarebbe stata ben più salda se alla parola vampiro, fosse stata sostituita quella di 'essere umano psicologicamente instabile'. Concludo augurandomi che “il potere ricorrente del male”, indagato da Ben, possa smorzarsi grazie al tempo. Buona lettura e buon Ognissanti.


(foto mia)


Gideon La Nona

“«Basta» sbottò la Reverenda Figlia, con la voce affilata come un rasoio. «Preghiamo.» Il silenzio scese sull’assemblea, come i lenti fiocch...