“È in questi momenti con te accanto che invidio le parole per essere capaci di fare quello che noi non sappiamo mai fare, sono capaci di dire tutto di sé rimanendosene ferme e basta, essendo e basta. Immagina se potessi sdraiarmi vicino a te e tutto il mio corpo, ogni sua cellula irradiasse un significato preciso chiaro e univoco, non tanto uno scrittore quanto una parola premuta verso il basso, accanto a te, che volta la pagina con tutta la mia breve e completa esistenza. C’è una parola di cui una volta mi ha parlato Trevor, una che aveva imparato da Buford che era stato nella marina militare delle Hawaii durante la Guerra di Corea: kipuka. Il pezzo di terra che viene risparmiato da una colata lavica lungo i fianchi di una collina, un’isola formata da ciò che sopravvive alla più piccola delle apocalissi. Prima che la lava scendesse, facendo scoppiare di calore e bruciando vivo il muschio lungo la collina, quella porzione di terra era insignificante, solo un altro ritaglio in una massa infinita di verde. Solo con la sua resistenza si guadagna un nome. Sdraiato su quel materassino con te, non posso fare a meno di desiderare di essere i nostri kipuka, la nostra conseguenza visibile. Ma sono più consapevole di così.”
Brevemente risplendiamo sulla
terra, Ocean Vuong
Edito La nave di Teseo
Costo 18€
Ho impiegato tanto tempo per
scrivere di questo libro e ora, finalmente decisa nella mia impresa, sono nuovamente
persa tra dolore, amore, odio e lo spazio che intercorre tra questi sentimenti.
Mai come tra queste pagine ho colto la potenza delle parole, del camminare in
punta di piedi tra i resti della propria esistenza e del guardarsi allo
specchio per cercare di accettarsi in ogni senso, anche se “La verità è che
nessuno di noi è un abbastanza che basta”, soprattutto a noi stessi. Ho dovuto
lottare per accogliere il pieno significato di quest’opera, perché in certi momenti
è stato quasi troppo e sì, “Non è giusto che la parola sacro sia intrappolata
nella parola massacro”, però è così: cos’altro possiamo fare se non
prenderne coscienza e affrontare ciò che ci circonda di petto?
Lan, com’è stato essere donne, e
poi madri, durante la Guerra del Vietnam? “Ho fatto quello che avrebbe fatto
qualsiasi madre, ho trovato un modo per procurarci da mangiare. Chi è che può
giudicarmi, eh? Chi?”
Ma’, com’è stato abbandonare tutto
per scappare, per non dover più sentire le esplosioni di Napalm e non dover
temere lo stupro? Com’è stato scoprire, anche se lontani miglia dal proprio
luogo d’origine, di dover comunque convivere con i propri ricordi e con la
paura del Napalm?
“ “Dove mi trovo?” […] Non
sapendo cos’altro dire, dico il tuo nome. “Rose,” dico. Rosa. Il fiore, il
colore, la sfumatura. “Hong,” ripeto. Un fiore si vede solo verso la fine del
suo ciclo, quando è appena sbocciato e già sul punto di diventare carta velina
marrone. […] Quante volte definiamo qualcosa in base alla sua forma più
fragile? […] Solo quando pronuncio questa parola mi rendo conto che Rose è
anche il passato di rise. Che chiamando il tuo nome ti sto anche dicendo
di innalzarti. […] Dove sono? Dove sono? Sei Rose, Ma’. Ti sei innalzata.”
Invece, chiedo a te, Little Dog,
com’è stato amare nonostante ciò che il disturbo post-traumatico da stress
comporta? Com’è stato reggere sulle proprie esili spalle il ponte che collega
passato e futuro? Com’è stato trovare disperazione anche nel Mondo Nuovo e nei
suoi abitanti? Com’è stato vedere distrutti i propri cari prima dal Napalm e
poi dall’OxyContin? Dimmelo tu, dimmelo ancora perché in te vedo il dolore che
si prova nell’essere vivi ma anche il bisogno di cercare di amare e abbracciare
chi ci circonda. Vivendo si impara, leggendo te, Little Dog, si impara ad
empatizzare, ad osservare l’altro e provare il bisogno di abbracciarlo. Un
enorme grazie a Ocean Voung e a Claudia Durastanti con la sua traduzione
impeccabile. Buona lettura.
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