domenica 23 maggio 2021

The passenger - Spazio

La collana The Passenger si profila come “una raccolta di inchieste, reportage letterari e saggi narrativi che formano il ritratto della vita contemporanea di un luogo, reale o astratto, esteso o circoscritto che sia”.  Il volume in questione permette al lettore di esplorare, attraverso vari punti di vista, l’ammasso di stelle, pianeti, satelliti e asteroidi che galleggiano sopra la nostra testa e sono dimostrazione della complessità del sistema in cui viviamo. I motivi che mi spingono a definire sublime questa raccolta sono molteplici: dalle firme di alcuni articoli (come Lauren Groff e Paolo Giordano) alla presenza di grafici, schemi e illustrazioni che rendono l’Universo accessibile a tutti. In aggiunta, con le sue 191 pagine, The Passenger – Spazio esplora il cosmo sia dal punto di vista scientifico che dal punto di vista etico; questo lo rende estremamente originale, affascinante ed intrigante.

L’Universo, infatti, non è solo una coesistenza di vuoto – quasi mai assoluto – e materia, non è solo scienza, è bensì un luogo dove proiettare i propri sogni, le proprie ambizioni o le proprie idee (quasi una sorta di Hyperuránios, l’Iperuranio platonico); di conseguenza, risulta doveroso chiedersi: quali sono queste idee? Quali gli obiettivi?

Lauren Groff, scrittrice statunitense, in La notte, il sonno, la morte e le stelle si domanda chiaramente: “È giusto delegare il nostro futuro all’egoismo di un paio di miliardari presuntuosi?” 

E questa, probabilmente, è solo una delle domande più complesse, audaci e difficili da porre a se stessi. Perché, in realtà, è naturale che i propositi, le convinzioni e gli insegnamenti cambino e si modifichino da persona a persona; è, così, inevitabile chiedersi: che umanità troverà posto su Marte o su altri pianeti ipoteticamente abitabili? Chi avrà l’opportunità di ricostruire una Terra 2.0? Quali i pilastri etici e morali su cui si fonderà?

Alcune opere fantascientifiche o distopiche, citate anche nel volume in questione, quali Dune o Il racconto dell’ancella, hanno già fronteggiato tematiche spinose e non così lontane dal nostro presente: l’importanza di materie prime essenziali per la vita, il ruolo che la religione potrebbe nuovamente ricoprire nella società umana o la mercificazione del corpo umano sono solo degli esempi; riusciremo a non commettere gli stessi errori?

Una delle frasi che più mi hanno colpito, presente nell’articolo L’ottavo continente di Rivka Galchen, è la seguente: “Siamo meschini e ci comportiamo male sulla Terra; saremo meschini e ci comporteremo male nello spazio”. Difatti, diverse volte, concentrati sul nostro bisogno di cambiamento, dimentichiamo di essere portatori e di coesistere con tantissimi microrganismi, quali funghi e batteri (simbionti o saprofiti), ma non solo: dimentichiamo di essere anche veicolo di tantissimi comportamenti tossici, egoisti e spregevoli. Come fare per arginarli ed equilibrarli ai nostri pregi? 

Altre volte, invece, sempre focalizzati sul nostro bisogno di cambiamento, non intuiamo quanto possa essere difficile rincominciare da capo, dimenticando quanto sforzo e sudore abbia richiesto il posto che attualmente occupiamo.

La domanda che, ultimamente e sempre più frequentemente, pongo a me stessa è la seguente: ci verrà concesso, in un nuovo pianeta, di non essere esclusivamente dei corpi utili per la riproduzione della specie? Riusciremo a portare nei nostri bagagli i diritti e le libertà acquisite con fatica e più fragili di una tazza di porcellana?

The Passenger – Spazio fornisce gli strumenti per poter, almeno in parte, iniziare a rispondere a queste domande. Buona lettura.

Ringrazio di cuore Iperborea per la copia.



domenica 16 maggio 2021

#sentendoDagerman

 “Mi manca la fede e non potrò mai, quindi, essere un uomo felice, perché un uomo felice non può avere il timore che la propria vita sia solo un vagare insensato verso una morte certa. Non ho ereditato né un dio né un punto fermo sulla terra da cui poter attirare l’attenzione di un dio. […] Non oso dunque gettare pietre sulla donna che crede in cose di cui io dubito o sull’uomo che venera il suo dubbio come se non fosse anch’esso circondato dalle tenebre. Quelle pietre colpirebbero me stesso, perché di una cosa sono convinto: che il bisogno di consolazione che ha l’uomo non può essere soddisfatto.”

Il nostro bisogno di consolazione, Stig Dagerman

 

#sentendodagerman nasce dal bisogno di ritrovare se stessi attraverso le pagine di capolavori quali Il nostro bisogno di consolazione e Il serpente.

Stig Dagerman, nato in Svezia nel 1923 e morto suicida nel 1954, impregna le sue opere di una sensibilità e di una visione del mondo difficile da dimenticare o da ritrovare in testi attuali. Alcuni lo considerano il «Camus svedese», altri lo paragonano a Kafka: tutti, però, riconoscono la sua incisività e il suo mettere a nudo l’angoscia, la disperazione e la bestialità umana.

Il sentire è ciò che sta alla base di questo gruppo di lettura: quanto spesso sentiamo ardentemente il mondo? Quanto spesso, guardandoci allo specchio, ritroviamo nei nostri occhi una sensibilità immensa che ci espone e ci rende nudi?

Unitevi a noi, da giugno a dicembre (o anche solo per un mese), per scoprire un “anarchico viscerale cui ogni sistema va stretto, militante sempre dalla parte degli offesi e degli umiliati […]”.

sabato 15 maggio 2021

Tutto chiede salvezza

 “Vorrei avere una corazza, un’armatura del migliore ferro, capace di tenermi distante dalle cose, vorrei non disperarmi per la disperazione degli altri, non sentire la madre di Giorgio come mia madre, la vita degli altri saldata alla mia come un patto di sangue. Perché il dolore costa fatica, ho vent’anni ma ho sofferto per mille, rimanendo sempre uguale a me stesso: un bambino, come Giorgio, di fronte a un dolore che non puoi conoscere né addomesticare. Ma i bambini non sono fatti per il dolore, nascono dalla gioia, per vivere in dolcezza gli amori che verranno.”

Tutto chiede salvezza, Daniele Mencarelli

 

Edito Mondadori

Costo 13

 

Ho desiderato immergermi in Tutto chiede salvezza per molto tempo, ma per vari motivi ho sempre rimandato la lettura, fino a quando – una settimana fa – non ho deciso di farmi trascinare in questo racconto così potente e commovente. Sono una persona che generalmente predilige i racconti lunghi, che con la loro mole esplorano lentamente e approfonditamente l’animo umano, ma in questo caso mi sento di rivedere completamente le mie preferenze: Tutto chiede salvezza in sole 189 pagine arriva dritto al cuore, è come un pugno allo stomaco fatto di dolore, sofferenza, bisogno di comprensione, bisogno di salvezza e, allo stesso tempo, dolcezza. Mi sono commossa all’inverosimile davanti alla vulnerabilità di Daniele, Gianluca, Giorgio, Mario, Madonnina e Alessandro: i personaggi che animano queste pagine e che, per diverse ragioni, si ritrovano insieme nel reparto di psichiatria (ad esempio Daniele, la voce narrante, si trova ad affrontare il suo primo TSO – trattamento sanitario obbligatorio); ma sono rimasta ancor più toccata e intenerita dal loro bisogno di presenza, di compagnia e di vicinanza sia fisica che mentale. Attraverso le loro esperienze capiamo cosa voglia dire perdersi in luoghi oscuri, fatti di emozioni tiranniche, difficilmente gestibili e spesso in grado di sballottare, accartocciare e frantumare l’io come se fosse fatto di carta velina.

La malattia mentale, in tutte le sue sfumature, è sempre un qualcosa di totalizzante che ti lascia in balia sia di tempeste e naufragi che di difficili camminate attraverso sabbie mobili o paludi mortifere; eppure, probabilmente, le cose peggiori che si possono provare sono l’estremo senso di solitudine e la costante consapevolezza di essere diversi, difettosi o rotti. Questo piccolo romanzo esplora questa immensa solitudine, questo ritrovarsi davanti a figure professionali che riducono l’uomo alla sua malattia e che spesso, al posto di accompagnarlo e proteggerlo, lo privano ulteriormente di quel poco di dignità rimasta; ma, al contempo, esplora anche l’instaurarsi di amicizia e fratellanza tra coloro che si sentono diversi e persi. Insomma, sono pagine estremamente toccanti e che mi sento di consigliare dal profondo del cuore. Vi auguro una buona lettura.



lunedì 10 maggio 2021

Shantaram

 “Il mantello del passato è fatto con il tessuto delle emozioni della nostra vita e cucito con i fili enigmatici del tempo. In genere non possiamo fare altro che avvolgercelo attorno alle spalle per trarne conforto, o trascinarcelo dietro mentre ci sforziamo di proseguire il nostro cammino. Ma tutto ha una causa e un senso. Ogni vita, ogni amore, ogni azione, ogni emozione e pensiero hanno una ragione e un significato. E a volte riusciamo a vederli. A volte vediamo il passato con tale chiarezza, e le parti che lo compongono ci appaiono con tale limpidezza che ogni cucitura del tempo rivela il suo scopo, il messaggio che contiene. Nella vita di ognuno di noi – poco importa che sia vissuta nell’abbondanza o nella miseria – nulla porta più conoscenza del fallimento, e più chiarezza del dolore. E nella minuscola, preziosa saggezza che otteniamo, quei nemici temuti e odiati – dolore e fallimento – hanno diritto e ragione di esistere.”

 Shantaram, Gregory David Roberts

 

Edito Neri Pozza

Costo 23

 

Le 1174 pagine che compongono quest’opera sono ispirate esclusivamente ad una piccola parte dell’esistenza del suo autore, Gregory David Roberts, eppure sono sufficienti a comunicare al lettore quanto la vita possa essere allo stesso tempo imprevedibile, bella, soffocante, dolce, violenta, insensibile ed emozionante. Sono rimasta stupefatta una volta realizzato l’immenso fondo di verità presente nelle vicende narrate e, ancor di più, davanti ai sentimenti che mi sono stati trasmessi: speranza e redenzione. Alla fine e nonostante tutto, la vita, il caso, la disperazione o il destino ci consentono sempre di andare avanti e di ricominciare; forse, siamo solo noi esseri umani ad avere difficoltà nel perdonare, nel capire i momenti di sofferenza altrui e nel cercare di lenire quel senso di vuoto che annulla tutto, anche la nostra stessa esistenza.

Così, tra i monsoni e il caldo umido di Bombay, impariamo a conoscere Lin e il suo bisogno di salvezza, Prabaker e il suo immancabile sorriso, Khaderbai e il suo Universo che tende alla Complessità Suprema e molti altri; e pian piano, realizziamo quanto sia più appropriato conoscerli attraverso le relazioni che intercorrono tra loro, piuttosto che come individui singoli: ho capito veramente Lin e Prabaker nel momento in cui ho osservato la grandissima e genuina amicizia che li legava. È proprio grazie al loro legame e all’entrata di Lin in uno dei molti slum (baraccopoli di Bombay) che si toccano con mano la dignità, la fratellanza e l’affetto che risiedono nella povertà e nell’umanità spogliata del superfluo. Non so descrivere con esattezza ciò che provo, perciò mi avvalgo di un estratto: “Mi si spezzò il cuore per la vergogna e il dolore. Seppi quanta sofferenza era in me, e quanto poco amore. Alla fine seppi quanto ero solo. Ma non potevo reagire. La mia cultura mi aveva insegnato bene le cose sbagliate. Perciò rimasi immobile, senza la minima reazione. L’anima non ha cultura. L’anima non ha nazione. L’anima non ha colore, accento, stile di vita. L’anima è per sempre. L’anima è una. E quando il cuore prova un momento di verità e di dolore, l’anima non sa restare immobile. Strinsi i denti sotto le stelle. Chiusi gli occhi. Mi abbandonai al sonno. Uno dei motivi per cui abbiamo un terribile bisogno d’amore, e lo cerchiamo disperatamente, è perché l’amore è l’unica cura per la solitudine, la vergogna e la sofferenza. Ma alcuni sentimenti si nascondono così profondamente nel cuore che solo la solitudine può aiutarti a ritrovarli. Alcune verità sono così dolorose che solo la vergogna può aiutarti a sopportarle. E alcune circostanze sono così tristi che solo la tua anima può riuscire a urlare di dolore”.

Ecco chi è Shantaram. Shantaram, uomo della pace di Dio, è colui che affiora una volta superati dolore, vergogna, rabbia e angoscia.

Concludo consigliando, prima di affrontare la lettura, di spulciare un pochino la biografia dell’autore e di arrivare sino alla fine prima di esprimere qualsiasi giudizio (all’inizio alcuni ragionamenti o riflessioni possono sembrare banali o non condivise). Vi auguro una buona lettura.




sabato 1 maggio 2021

Bestiario sentimentale

 “Quanta saggezza vidi nella natura: quell’animale era consapevole, chissà come, che quella di rimanere incinta non era una buona idea, anche avendo a disposizione uno spazio ampio e attrezzato come il suo. Mi domandai anche se l’avesse dissuasa l’individuo con il quale abitava o se non avrebbe acconsentito a riprodursi in nessun caso, neppure con un altro.”

Bestiario sentimentale, Guadalupe Nettel

 

Edito La Nuova Frontiera

Costo 14,50

 

Guadalupe Nettel, maggiormente conosciuta per il suo romanzo La figlia unica, in queste pagine incanta il lettore con cinque brevi racconti. Ognuno di essi è in grado di far emergere il retaggio animale dell’uomo e le similitudini che lo accomunano con le più disparate specie animali e, in un caso, fungine: pesci Betta, scarafaggi, gatti, funghi parassiti e vipere. I pesci Betta, anche detti pesci combattenti, si fanno carico di importanti riflessioni sul rapporto coniugale e su quanto sia infruttuoso e vano cercare di cambiare la natura di un’altra persona: «Com’è possibile che in un acquario così grande e bello non riescano a vivere in pace?» domandai a mio marito una sera, mentre guardavamo il pesce che girava come un pazzo nel vecchio recipiente sul bancone della cucina. «Forse non è questione di spazio» rispose lui, «è nella loro natura. Ricorda che sono pesci Betta.» Mi resi conto che aveva riflettuto sulla faccenda. «Altri pesci» proseguì, «si sentono liberi in vasche molto piccole. Le vedono come universi luminosi e pieni di colore. Ogni raggio di sole rappresenta per loro un mondo di possibilità. I pesci Betta, invece, possono trovare stretta anche la vasca più ampia. Hanno sempre troppo poco spazio e si sentono minacciati anche dal loro partner. Vivono l’esistenza dell’altro sempre con quella pressione addosso. […]»”. È vero, la natura umana non è così semplice e – in alcuni casi – può verificarsi un processo di crescita che può condurre a delle significative modifiche interiori, eppure molto spesso la “natura”, ovvero i comportamenti adottati e le paure conosciute sin dall’infanzia, ci rimangono incrostate addosso come una seconda pelle. Al contrario, gli scarafaggi permettono l’instaurarsi di un sentimento di cameratismo e intimità tra parenti prima distaccati. Successivamente, grazie alla presenza felina ci addentriamo nel tema della maternità, dell’aborto e della difficoltà che un individuo di sesso femminile può provare nel restare improvvisamente incinta. I funghi e le vipere ci mostrano, invece, un lato fragile e morboso che può infestare e perseguitare le relazioni umane.

Eppure, al di là di ciò che ogni storia racconta, in generale possiamo apprezzare l’intuito e la lucidità con cui gli animali sembrano sempre sapere come comportarsi, al contrario di noi specie umana – convinti di possedere una superiorità evolutiva – che spesso brancoliamo nel buio e impieghiamo molto più tempo ed energie nell’arrivare alle stesse conclusioni. Perciò, Bestiario sentimentale è un libricino piccino che consente di riflettere e invoglia a ritrovare se stessi nella natura e negli organismi che ci circondano. Buona lettura.



Gideon La Nona

“«Basta» sbottò la Reverenda Figlia, con la voce affilata come un rasoio. «Preghiamo.» Il silenzio scese sull’assemblea, come i lenti fiocch...