Oggi ha inizio il blog tour organizzato da @attimidiprosablog sul volume Poirot – Tutti i racconti, edito @oscarvault e dal costo di 25€. Non posso non ringraziare Dalila per la sua impeccabile organizzazione dell’evento e la Oscar Vault per averci permesso di leggere in anteprima il volume. Nella foto a seguire troverete le date associate ai vari argomenti trattati e i blog partecipanti. Io avrò la possibilità di parlare sia della vita di Agatha Christie (domani, 27/08), concentrandomi sul rapporto archeologia e scrittura, che del ruolo della pipa nell’immaginario collettivo (30/08). Mi auguro vi incuriosisca e vi venga voglia di collezionare questo originalissimo volume.
mercoledì 26 agosto 2020
giovedì 20 agosto 2020
Persone normali
“L'altra settimana, con Connell e Niall sono andati a una manifestazione contro la guerra a Gaza. C'erano migliaia di persone, con cartelli, megafoni e striscioni. A Marianne è venuta voglia che la sua vita contasse qualcosa, le è venuta voglia di fermare tutte le violenze commesse dai forti contro i deboli, e si è ricordata di un tempo, anni prima, in cui si era sentita così intelligente e giovane e potente che avrebbe quasi potuto farcela, mentre adesso sapeva che potente non lo era affatto, e che avrebbe vissuto e sarebbe morta in un mondo di estrema violenza contro gli innocenti, potendo al massimo aiutare poche persone. Era infinitamente più difficile venire a patti con l’idea di aiutare poche persone, tipo che avrebbe quasi preferito non aiutare nessuno piuttosto che fare qualcosa di così limitato e inefficace, ma non era nemmeno questo il punto”.
Persone
normali, Sally Rooney
Edito Einaudi
Costo 11€
Ci sono
libri che riescono a riaccendere nel cuore la speranza perché ricordano
l’esistenza di persone, come Sally Rooney, in grado di cogliere quei movimenti,
quegli sguardi, quelle carezze e quelle ferite e ammaccature spesso invisibili
ai più. Per tale motivo, ciò che ho trovato in queste 231 pagine va oltre il
racconto di una storia d’amore o una relazione fra due giovani adulti alla
prima esperienza; tra le righe ho osservato emergere un istinto di autoconservazione
potentissimo che si è manifestato per lo più nella relazione tra Marianne e
Connell (ma non solo), con Connell che – inconsciamente - percepisce la
necessità di andare oltre il socialmente accettato per ricercare la
sostanza e con Marianne che cerca qualcuno che smentisca e ripulisca la sporcizia
lasciata dai suoi familiari. Perciò, sebbene la colonna portante sia
identificabile nella relazione che li coinvolge, il romanzo ha tanti altri
punti d’appoggio che estendono e ampliano la narrazione: la disparità economica
che fa emergere punti di vista diversi su medesime questioni (ad esempio la
scelta del corso universitario), la provenienza da famiglie affettivamente
ed emotivamente opposte che mostrano quanto alcune cose siano scontate per
alcuni e meno per altri* e le ripercussioni che la vita familiare ha nelle relazioni
amorose o sessuali.
Così, nella distanza
tra due corpi si intrecciano attrazione sessuale, vergogna, bisogno di
accettazione da parte dell’altro, bisogno di accettazione da parte di se stessi
(perché Il corpo sa tutto, citando Banana Yoshimoto, e sa quanto è
inutile il parere della società), paura di essere stati fabbricati
sbagliati e per questo non poter essere amati e angoscia derivata dalla
consapevolezza di quanto sia vicina e frequente la solitudine dell’anima o il
vuoto interiore. Ne consegue che, sebbene Marianne e Connell siano quasi sempre
fisicamente soli nei loro incontri, mentalmente lo sono di rado e questo comporta
dolore e incomprensioni.
Personalmente
mi sono affezionata soprattutto a Marianne, nonostante abbia trovato un po’ di
me anche in Connell; in lei vedo una fiamma che risplende sopra una minuscola
roccia circondata dall'acqua, costantemente in pericolo, ma che trasmette sin
dalle prime pagine una forza spaventosa: quella della vegetazione che penetra
l'asfalto o la pietra e, anche se indifesa e più in risalto (non più
mimetizzata), continua la sua crescita a dispetto di chi cerca di annientarla.
Non sono
sicura di poter trasmettere con le mie parole la bellezza e l’essenzialità che
caratterizzano il romanzo perché, nonostante Sally Rooney faccia apparire semplice
la descrizione delle dinamiche umane, non lo è per niente, per questo vi invito
a leggerlo e cercare di capirli attraverso questo piccolo ma intenso libricino.
Buona lettura.
*
“C’è un
sacco di gente che ti ama, Marianne. Ok?
La tua
famiglia e i tuoi amici ti amano.
Lei rimane
zitta per qualche secondo e poi dice:
Tu la mia
famiglia non la conosci. […]”
Persone normali, Sally Rooney
giovedì 6 agosto 2020
Jane Eyre
“Mi fece
sedere e sedette lui stesso. «L’Irlanda è lontana, Janet, e mi dispiace mandare
la mia piccola amica a fare un viaggio così faticoso: ma se non trovo altra via
di uscita, che cosa si può fare? Credete, Jane, di avere una sorta di parentela
con me?» Non osavo rispondere in quel momento: avevo il cuore gonfio. «Perché»
disse «qualche volta, soprattutto quando mi siete vicina, come ora, ho nei
vostri confronti una sensazione strana: mi sembra di avere una corda, sotto le
costole, a sinistra, strettamente, inestricabilmente annodata a una corda
analoga situata nella stessa zona del vostro corpo esile. E se quel tempestoso
tratto di mare e tre, quattrocento chilometri di terra si metteranno con tutta
la loro vastità tra noi, ho paura che quella corda che ci unisce verrà spezzata;
e allora temo che comincerei a sanguinare internamente. Quanto a voi… mi
dimenticherete.»
«Questo non
lo farei mai, signore; voi sapete…» Mi fu impossibile proseguire.
«Jane,
sentite l’usignolo cantare nel bosco? Ascoltate!»
Ascoltandolo,
singhiozzavo convulsamente, poiché non riuscivo più a dominarmi: ero costretta
ad arrendermi; e una profonda angoscia mi scuoteva dalla testa ai piedi. Quando
infine potei parlare, espressi soltanto l’impetuoso desiderio di non essere mai
nata, o mai giunta a Thornfield.
«Perché vi
dispiace lasciarla?»
La violenza
dell’emozione suscitata dalla pena e dall’amore che erano in me rivendicava un
completo dominio e lottava per impadronirsi di me; e proclamava il diritto di predominare:
di sopraffare, vivere, sorgere e infine regnare; sì… e il diritto di parlare.
«Soffro a
lasciare Thornfield: amo Thornfield: la amo, perché qui ho vissuto una vita
piena e gioiosa… almeno per qualche tempo. Non sono stata calpestata. Non sono
stata avvilita e paralizzata. Non sono stata seppellita insieme a menti
inferiori, esclusa anche dal più piccolo bagliore di comunione con
l’intelligenza, l’energia, la nobiltà. Ho discusso, da pari a pari, con una
realtà che mi ispira profondo rispetto; la cui presenza è una gioia per me: con
una mente originale, vigorosa, vasta. Ho conosciuto voi, signor Rochester;
e mi sento
vincere dal terrore e dall’angoscia al pensiero che devo venire strappata per
sempre dalla
vostra
presenza. Vedo bene che la partenza è necessaria, ed è come guardassi la necessità
della morte.» […]
«Vi dico che
devo andare!» ribattei quasi con furia. «Credete che potrei rimanere e non
essere più nulla per voi? Credete che io sia un automa, un meccanismo insensibile?
Che possa sopportare di vedermi strappato di bocca il mio pezzo di pane, di
veder gettato via dalla coppa il sorso d’acqua che mi è necessario per vivere? Credete,
perché sono povera, oscura, brutta e piccola, che io sia senza anima e senza
cuore? Vi sbagliate! Ho un’anima come voi, e un cuore forse più grande del
vostro! Se Dio mi avesse donato un po’ di bellezza e molta ricchezza, vi avrei reso
difficile lasciarmi, come lo è ora per me lasciare voi. Non vi parlo attraverso
le usanze e le convenzioni, neppure attraverso la mia spoglia mortale: è il mio
spirito che si rivolge al vostro spirito; come se entrambi avessimo conosciuto
la morte e fossimo ai piedi di Dio, noi due, uguali… come siamo!»
«Come
siamo!» ripeté il signor Rochester. «Così,» aggiunse prendendomi tra le braccia,
stringendomi al petto, posando le sue labbra sulle mie «così, Jane.»”.
Jane Eyre,
Charlotte Brontё
Edito Oscar
Vault
Costo 28€
Jane Eyre è il romanzo più conosciuto e apprezzato di Charlotte Brontё. Venne pubblicato nel 1847, quando l’autrice aveva 31 anni, sotto lo pseudonimo di Currer Bell e riscosse sin dall’inizio un grandissimo successo. Attualmente è considerato uno dei capolavori della letteratura inglese e, nonostante il passare degli anni, continua ad attrarre e affascinare le nuove generazioni. Ci sono svariati motivi che consentono al lettore di accostare all’opera gli aggettivi “meravigliosa”, “splendida” ed “eccellente”: dallo stile scorrevole e incantevole, alle impareggiabili descrizioni dell’animo umano che permangono immutate nella nostra memoria anche dopo molti anni dalla loro lettura. È un’opera magistrale che, sebbene apparentemente racconti dell’infanzia, dell’adolescenza e della vita adulta di Jane Eyre (orfana di padre e madre), cela al suo interno misteri, segreti, atmosfere cupe e segnali premonitori (mi riferisco, senza entrare troppo nel dettaglio, all’albero distrutto durante un temporale), ma anche amicizia (Helen), amore, sacrificio, passione, dolcezza, tenerezza e libertà.
“Helen Burns fece alla signorina Smith una domanda insignificante sul suo lavoro, venne prontamente rimproverata per la pochezza della richiesta, ritornò al suo posto, e mi sorrise mentre di nuovo mi passava davanti. Lo ricordo ancora quel sorriso, e so che era l’espressione di una bella intelligenza, di un autentico coraggio; illuminava i suoi lineamenti marcati, il volto sottile, i grigi occhi infossati come il riflesso del viso di un angelo. Eppure, in quel momento Helen Burns aveva al braccio il “distintivo della trascuratezza personale”; e soltanto un’ora prima era stata condannata dalla signorina Scatcherd a pranzare l’indomani a pane e acqua, perché, copiandolo, aveva macchiato un esercizio. Imperfezione della natura umana! Vi sono macchie sulla superficie dei pianeti più luminosi; occhi come quelli della signorina Scatcherd riescono a vedere soltanto quei minuscoli difetti, e sono ciechi al pieno splendore dell’astro”.
Jane Eyre, Charlotte Brontё
Esistono
parole più belle, affettuose e sincere per descrivere una persona amica?
Sin dai primi capitoli, risulta evidente l’impronta autobiografica data all’opera: Lowood, l’istituto frequentato da Jane, non è altro che la Clergy Daughter's School di Cowan Bridge frequentata da Charlotte e dalle sue sorelle, caratterizzata da condizioni igieniche inadeguate e vitto insufficiente -che porteranno alla morte delle due sorelle maggiori (Maria ed Elizabeth). Si possono trovare dei richiami alla vita e agli interessi dell’autrice anche nella grandissima passione di Jane per il disegno, nello specifico i ritratti; così, da artista amatoriale, che ha ricevuto la tipica educazione riservata alle giovani donne dell’epoca (generalmente limitata alla riproduzione o all’emulazione di opere ampiamente diffuse con l’intento di addobbare casa o di regalarle ai propri familiari), ben presto fa del disegno il modo e il mezzo principali attraverso cui esprimere i propri pensieri, le proprie preoccupazioni, i propri sentimenti e la propria voglia di indipendenza -la rappresentazione grafica diventa così creativa e non semplice riproduzione. La stessa Charlotte sviluppò rapidamente la capacità di ritrarre in modo dettagliato ciò che la circondava o i volti che osservava; per un certo periodo, la sua aspirazione più grande era quella di diventare una pittrice e di guadagnare attraverso le sue opere, tant’è che per realizzarlo dedicava al disegno e alla pittura più di nove ore al giorno.
Per via della stretta connessione tra Jane e arte grafica, molti studiosi ritengono che, per una migliore comprensione dei romanzi, sia necessario conoscere e studiare sia la Charlotte scrittrice che la Charlotte disegnatrice: le due non possono essere scisse. Claire Harman (autrice di diverse biografie e docente di Inglese all’Università di Manchester e Oxford), addirittura, è convinta che in uno dei ritratti di Charlotte del 1843, solo recentemente identificato come auto-ritratto, risieda il seme che poi diversi anni dopo darà vita a Jane Eyre. Nell’opera è presente un passaggio in cui la stessa Jane ritrae sé stessa davanti allo specchio, con una posizione e un’acconciatura molto simile a quella che troviamo nell’autoritratto di Charlotte, e lo fa per convincere sé stessa di non meritare le attenzioni di Mr Rochester perché “troppo povera, semplice ed indipendente”. Harman riconduce questo passaggio alla concezione che la Brontё aveva di sé: “La scrittrice era dolorosamente consapevole del proprio aspetto, e questo ritratto è stato identificato come suo dalla descrizione dei suoi sgraziati lineamenti – un naso largo, sopracciglia prominenti, occhi penetranti e bocca pendente da un lato per nascondere denti non perfetti”.
Attualmente,
il disegno è conservato ed esposto presso The Morgan Library & Museum a New
York, che accoglie anche altri suoi schizzi come Lady Jephia Bud o Stone Cross
on the Yorkshire Moors o Lycidas.
Charlotte Brontë (1816–1855), Lycidas, watercolor drawing, March 4, 1835, copied from a print after painting by Henry Fuseli. Brontë Parsonage Museum. |
Nello stesso
romanzo (e nel film del 2011 con i bravissimi e bellissimi Mia Wasikowska e
Michael Fassbender), una delle prime cose che Jane fa una volta giunta a
Thornfield, dimora di Mr Rochester, consiste nell’ispezionare alcuni quadri
presenti alle pareti dell’atrio della casa.
“Traversai
la lunga galleria coperta da una passatoia, scesi gli sdrucciolevoli gradini di
quercia; poi raggiunsi l’atrio: qui mi fermai un istante; guardai i quadri
appesi alle pareti”.
Jane Eyre, Charlotte Brontё
Inoltre, uno dei primi incontri con Mr Rochester vedrà come argomento principale di discussione proprio i suoi dipinti:
“Dispose i
dipinti davanti a sé e tornò a esaminarli a turno.
Mentre lui è impegnato a farlo, dirò ai miei lettori che disegni siano: ma devo premettere che non sono nulla di straordinario. I soggetti si erano presentati vividi alla mia immaginazione. Come li vedevo con l’occhio della mente, prima di cercare di dargli corpo, erano magnifici; ma la mano era stata inferiore alla fantasia, e avevo realizzato soltanto una pallida copia di quel che avevo immaginato. Si trattava di acquerelli. Il primo raffigurava delle nuvole basse e livide che rotolavano su un mare in tempesta: lo sfondo era vago, sfumato; e anche il terreno in primo piano; o piuttosto le onde in primo piano, perché non c’era terra. Un raggio di luce metteva in risalto un albero di nave semisommerso su cui era appollaiato un cormorano, grande e scuro con le ali spruzzate di spuma; teneva nel becco un braccialetto d’oro, ornato di gemme, che avevo dipinto con i colori più brillanti della mia tavolozza e con tutta la scintillante nitidezza di cui il mio pennello era capace. Nell’acqua verde, sotto l’albero e l’uccello, appariva il corpo di un’annegata; se ne vedeva con chiarezza soltanto un braccio, da cui il braccialetto era stato portato via dalla corrente o strappato. Il secondo dipinto aveva in primo piano soltanto la cima indistinta di una collina, con erba e foglie piegate come da una brezza. Al di sopra e al di là si stendeva un cielo azzurro cupo come al tramonto: contro il cielo si ergeva un busto di donna, nei colori più foschi e tenui che avevo potuto ottenere. La fronte pallida era incoronata da una stella; i lineamenti del viso erano visti come attraverso una nebbia; aveva occhi luminosi, scuri e selvaggi; e i capelli si stemperavano nell’ombra come una nuvola oscura strappata dalla tempesta o da una carica elettrica. Sul collo batteva un debole chiarore lunare; e lo stesso spento chiarore illuminava il corteo di nuvole leggere da cui sorgeva chinandosi questa immagine della stella vespertina. Il terzo dipinto rappresentava la punta di un iceberg che sbucava da un cielo polare: all’orizzonte un chiarore di aurora boreale impennava le sue punte. In primo piano, confinando le altre immagini nello sfondo, sorgeva una testa… una testa colossale, china verso l’iceberg a cui si appoggiava. Due mani sottili congiunte a sorreggere la fronte tenevano un velo nero davanti alla parte inferiore del viso; si vedeva solo una fronte esangue, bianca come un osso, e un occhio cavo e fisso, che esprimeva soltanto una vitrea disperazione. Sopra le tempie, tra le pieghe di un turbante nero, di forma indeterminata e inconsistente come una nuvola, riluceva un incandescente anello di fuoco, bianco, acceso da scintille di una tinta livida. Quella pallida mezzaluna era “simile a una corona regale”; e la testa che incoronava era “la forma che niuna forma aveva”.
«Eravate
felice mentre dipingevate questi quadri?» chiese infine il signor Rochester.
«Mi sentivo molto presa, signore: sì, ed ero felice. Ho provato, nel dipingerli, una delle gioie più grandi che abbia mai provato.»”
Jane Eyre, Charlotte Brontё
Non sentite anche voi il profumo dell'amore e della vita in queste parole?
Ci sarebbe molto altro su cui scrivere, ma non
voglio correre il rischio di essere troppo prolissa, perciò concludo dicendo
che: Jane
è molto più di un semplice personaggio, è la parte più poetica e artistica
della stessa Charlotte, che nel corso dei secoli continua ad illuminare
-esattamente come un faro nelle notti più buie- il cammino di molte donne,
spesso costrette a rinunciare alla propria indipendenza per via dell’amore o
viceversa. Vi lascio con una serie di altri suoi disegni:
Charlotte Brontë (1816–1855), Lady Jephia Bud, December 6, 1829, Wash over pencil drawing. The Morgan Library & Museum. Photography by Graham S. Haber |
![]() |
Original pencil drawing by Charlotte Brontë of Derwent Water in the Lake District, dated 1832 and based on an engraving by Thomas Allom |
Charlotte Brontë (1816–1855), Study of Noses, pencil drawing, ca. February 1831. Brontë Parsonage Museum |
Vi auguro una buona lettura e nel caso in cui voleste approfondire troverete a seguire alcuni link utili.
https://www.peterharrington.co.uk/blog/painting-by-words-the-original-drawings-of-charlotte-bronte/
https://www.theguardian.com/books/2019/apr/05/how-dickens-bronte-and-eliot-influenced-vincent-van-gogh
https://www.themorgan.org/exhibitions/charlotte-bronte
https://books.google.it/books?id=Wet5f07nAtcC&pg=PA11&lpg=PA11&dq=charlotte+bront%C3%AB+artist&source=bl&ots=Bm04bk9i4j&sig=ACfU3U0eSFNA4elUGk-2Tchjy8WX55nhJQ&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwjsz4aCs_LqAhVk-yoKHc5KBzU4ChDoATAIegQIBxAB#v=onepage&q=charlotte%20bront%C3%AB%20artist&f=false
lunedì 3 agosto 2020
Introduzione a 'Sorelle Brontё'
Il volume,
oltre a riunire le opere più famose di Anne, Emily e Charlotte Brontё,
cela al suo interno anche: un articolo, intitolato Haworth, novembre 1904,
redatto da nientemeno che Virginia Woolf, un riepilogo in ordine cronologico delle
pubblicazioni e degli avvenimenti che hanno caratterizzato le loro esistenze, intitolato Vite convergenti,
un abbondante numero di illustrazioni sparse tra i vari capitoli e, a precedere
ciascun romanzo, una raccolta delle loro poesie più significative.
L’articolo Haworth,
novembre 1904, pubblicato il 21 dicembre 1904 su The Guardian, ci
introduce al villaggio omonimo, situato nello Yorkshire, nel quale la famiglia
Brontё
si trasferisce nel 1820, quando Charlotte ha soli quattro anni, Emily due e
Anne neanche uno. Virginia Woolf scrive “Non so dire se i pellegrinaggi
diretti ai sacrari di uomini illustri non debbano essere bollati come viaggi
sentimentali. […] La curiosità è legittima solo quando la casa in cui abitò un
grande scrittore o i luoghi che la circondano possano accrescere in qualche
misura la nostra comprensione dell’opera sua. Questa la giustificazione di cui
ci si può avvalere in vista di un pellegrinaggio alla casa e ai luoghi di
Charlotte Brontë e delle sue sorelle”. Il motivo per il quale è importante
conoscere il paesaggio in cui vissero e in cui respirarono è da
ricondursi agli scenari e agli ambienti che ritroviamo nelle loro opere, che ci
accompagneranno per le 780 pagine di cui è composto questo tomo e che rimarranno
nel nostro cuore una volta ultimata la lettura -chiunque abbia visitato lo
Yorkshire, non può fare a meno di serbare nella propria mente il sublime
contrasto tra il vivo verde dei campi e dei giardini e il nero o grigio o
giallo scuro delle costruzioni umane. Eccolo descritto sempre dalla Woolf “Le
sue case, erette tutte in pietra d’un colore tra il bruno e il giallognolo,
risalgono agli inizi del diciannovesimo secolo. Ascendono erte nella brughiera,
passo dopo passo, in piccole file distinte, mantenendosi a una certa distanza
l’una dall’altra, di modo tale che la cittadina, anziché creare una macchia
compatta sullo sfondo del paesaggio, pare quasi abbia voluto ghermirne tra le
sue grinfie un bel tratto. Lassù, lungo il lato che dà sulla brughiera, vi è
una lunga fila di case che finisce per raccogliersi attorno alla chiesa e alla
canonica, ombreggiata da un piccolo ciuffo di alberi”. Nessuno può sapere
quanto il luogo abbia effettivamente influenzato il loro pensiero, o se
sarebbero state le stesse anche in uno slum londinese -come si domanda
la stessa Woolf; però non possiamo non citare le lunghe passeggiate per la
vallata che sicuramente contribuirono a rendere le sorelle Brontё ciò
che noi oggi conosciamo.
![]() |
(foto non di mia proprietà, reperita su google) |
Per giunta,
se dovessimo dar credito a ciò che James Hillman scrive nel suo Il codice
dell’anima, sulla scia della filosofia platonica, allora non ci sarebbero
dubbi e potremmo affermare siano state proprio le loro anime a scegliere questo
-a tratti malinconico- villaggio. È, infatti, impossibile negare l’influenza
che alcuni panorami hanno sull’animo umano, si pensi a quelli che ispirarono il
celebre Viandante sul mare di nebbia o L’Infinito di Leopardi. L’articolo
si conclude con una tenerissima celebrazione degli sforzi che Anne, Emily e Charlotte
fecero durante la loro breve vita.
Successivamente,
ritroviamo Vite convergenti, una sezione dedicata alla vita e allo
sviluppo del pensiero Brontёano, che mette in luce l’importanza
che le biblioteche circolanti e la lettura di giornali quali il mensile Tory
e il Blackwood Magazine hanno avuto nella loro crescita personale e
culturale. In particolar modo, “la causa scatenante dell’attività letteraria
dei Brontё”
(Vite convergenti) è da ricercare in una scatola di soldatini, regalata
dal padre al fratello Brandwell, che li porterà “a inventare e scrivere storie
sugli Young Men (i Giovanotti), i soldatini” (Vite convergenti). Però,
non va dimenticata l’importanza che la poesia, soprattutto in Emily e in Anne,
e il disegno, soprattutto in Charlotte, assunsero nella loro quotidianità. Per tale
motivo, a completare il volume ritroviamo anche delle bellissime poesie, quali Ferewell
to thee! (Addio a te!) di Anne della quale cito:
Farewell to thee!
but not farewell
To all my fondest
thoughts of thee:
Within my heart
they still shall dwell;
And they shall
cheer and comfort me.
[…]
Addio
a te! Ma non per questo addio
ai
miei più cari pensieri di te,
che
il mio cuore non lasceranno mai
per rallegrare e confortare me.
[…]
Oppure Often
rebuked… (Respinta spesso…) di Emily, della quale cito il verso
seguente:
[…]
I’ll walk where my
own nature would be leading:
It vexes me to
choose another guide:
Where the grey
flocks in ferny glens are feeding;
Where the wild
wind blows on the mountain side.
[…]
[…]
Andrò
dove mi condurrà la mia natura:
non
desidero scegliere altra guida:
dove
grigie pascolano tra le felci le greggi;
dove il vento soffia selvaggio sul
monte.
[…]
O ancora All
is change… (Tutto muta) di Charlotte che così si delinea:
All is change –
the night, the day,
Winter, summer,
cloud and sun,
Early flowers,
late decay,
So the years, the
ages run.
Beats the heart
with bliss awhile,
Soon it throbs to
agony;
Where a moment
beamed the smile,
Soon the bitter
tear shall be.
This is Nature’s
great decree.
None can ’scape it
– for us all
Drops the sweet,
distils the gall.
All are fettered –
all are free.
Tutto
muta – notte, giorno,
nubi,
sole, estate, inverno,
fiori
sbocciano e avvizziscono
anni
ed epoche svaniscono.
Batte
il cuore a una trepida magia,
poco
dopo sobbalza in agonia;
dove
brillava un tenero sorriso,
lacrime
amare solcheranno il viso.
È
questa l’aspra legge di natura:
nessuno
può sfuggire alla sventura;
distilla
il dolce, e poi cupi pensieri.
Siamo liberi tutti – e prigionieri.
Penso sia inutile e superfluo qualsiasi mio commento, non solo per via della bellezza di questi versi, ma soprattutto per le impetuose e insostituibili emozioni che suscitano in ciascuno di noi. Per quanto sia affezionata a Charlotte e a tutte le sue opere, non posso non riconoscere la grandezza dei versi scritti da Anne. Chi di noi non ha provato ciò che viene descritto in ‘Farewell to thee!’? Quanto è difficile allontanare dalla mente il ricordo di una persona e le emozioni ad esso intrecciate? Spesso non si vive esclusivamente di reminiscenze?
Naturalmente, ciò che nella storia -della loro attività artistica-
ha acquisito maggior rilievo sono i romanzi. Nel volume in questione ritroviamo
in ordine Agnes Grey di Anne Brontё, Cime Tempestose
di Emily Brontё e Jane Eyre di Charlotte Brontё. Sono tutti e tre
dei capolavori, ampiamente apprezzati sia dal pubblico dell’epoca che dal
pubblico moderno, nei quali ritroviamo sapientemente fusi tra loro quotidianità
e sentimento. Sebbene abbia più volte riletto queste meraviglie, non riesco
ancora ad essere sazia della loro visione del mondo, della loro analisi dei
sentimenti umani e della loro descrizione dei paesaggi. Nel corso della mia
breve vita, mi è capitato pochissime volte di leggere delle opere così
toccanti, così commoventi e allo stesso tempo così forti. Le
protagoniste sono donne tenaci, che ambiscono alla libertà, all’indipendenza
senza rinunciare ai battiti dei loro cuori e al rispetto per i loro
sentimenti. Cosa vedo, soprattutto in Jane Eyre? Un modello da seguire, una
personalità che si distacca dal resto, che conduce il proprio sguardo fuori dai
confini del proprio corpo o delle proprie abitudini per poter ricercare nel
mondo altre parti di sé. Vedo in lei una donna che ha dovuto lottare sin dall’infanzia
per poter affermare la propria voce e le proprie opinioni, molto spesso
sottovalutata per via della mitezza che traspare ad un primo incontro, ma che
serba in sé un fuoco perpetuo e appassionato. Ecco anche il motivo per cui ho
scelto questa foto: l’albero quasi completamente prosciugato che continua a
resistere nonostante tutto e nonostante tutti, esattamente come lei. Purtroppo, ho amato meno le eroine delle
altre opere -Agnes Grey e Catherine Earnshaw- ma sono rimasta comunque
affascinata dai paesaggi descritti e dai sublimi finali, soprattutto nel caso
di Cime Tempestose. Ci sarebbero molti temi da affrontare, ma il rischio
di andare incontro a spoiler è molto alto, per tale motivo concludo incitandovi
a leggere e a conoscere le anime che popolano questi libri e che rappresentano
in parte quelle delle loro autrici. Buona lettura.
lunedì 20 luglio 2020
Middlegame
“La trova in cucina, con le mani vuote e ai piedi i cocci di
una tazza di caffè. Li fissa con spenta perplessità, come se non capisse cosa
ci fanno lì; qualcuno avrebbe dovuto sospendere la forza di gravità, sembra
dire la sua espressione, tutte le norme essenziali dell’universo avrebbero
dovuto essere interrotte nel secondo in cui questo ha avuto inizio. L’universo avrebbe
dovuto avvertirla. In qualche modo, in qualche modo, l’universo avrebbe dovuto
avvertirla”.
Middlegame, Seanan McGuire
“Le riusciva
difficile ricordare esattamente dove fosse Avery prima di andarsene. Si era
portato la sua ombra con sé, comportamento che, sebbene Zib non ci avesse mai
riflettuto in quei termini, d’un tratto sembrava indicibilmente scortese. Se
aveva intenzione di tornare avrebbe dovuto lasciare l’ombra lì dov’era, a
rimarcare il posto dove sarebbe stata. Una mano le toccò una spalla. Zib alzò
lo sguardo sulla Cornacchia che la fissava incoraggiante.
«Va tutto
bene» disse. «Tronerà sano e salvo, vedrai.»
«Come fai
a saperlo?» chiese Zib.
«Be’,
perché ci troviamo sulla strada improbabile diretta alla Città Impossibile e,
ora come ora, cosa c’è di più improbabile, o impossibile, che il tuo amico
torni da te?» Il sorriso della cornacchia era luminoso e sincero. «Il fatto che
in pratica non possa in alcun modo succedere è una garanzia che succederà.»
Zib la
osservò per un momento, prima di scoppiare in fragorosi singhiozzi.
Da Oltre il muro che affaccia sul bosco,
di A. Deborah Baker
Middlegame,
Seanan McGuire
Edito
Mondadori – Oscar Vault
Costo 22€
Sono
un’amante di libri complessi, intricati, che rimangono immersi nella nebbia più
fitta quasi sino agli ultimi capitoli, perciò non posso non ritenermi
soddisfatta da questa enigmatica lettura. L’ho trovato un racconto mentalmente,
ma soprattutto emotivamente, stimolante. Io stessa sono rimasta esterrefatta ed
ammaliata dalla moltitudine di temi trattati in sole 528 pagine: dalle
problematiche etiche derivate da alcune ambizioni umane, incarnate dal personaggio
di Reed, all’immensa sofferenza interiore che la solitudine può comportare,
provata soprattutto da Dodger. Perciò non spaventatevi se a inizio lettura
non riuscite a capire tutto e siete in grado di abbozzare esclusivamente un assaggio di
questo mondo: continuate a leggere, a conoscere sia Roger che Dodger, a
ragionare sia su ciò che provano che su ciò che sono e che potremmo
essere anche noi.
In quest’opera non si intrecciano solo linguaggio e matematica, ma anche alchimia, sete di potere, amore fraterno, senso viscerale di mancanza dell’altro e pazienza. Sottolineo pazienza per due ragioni: la prima perché, esattamente come noi - in quanto persone - abbiamo bisogno dei nostri tempi per comprendere e per riflettere sui nostri errori, così Roger e Dodger hanno bisogno del loro di tempo* per crescere e capire loro stessi; la seconda perché ricopre un ruolo fondamentale in quanto necessaria per portare avanti qualsiasi relazione – perfino nel caso in cui ci si possa ‘fondere’ e guardare il mondo con gli occhi dell’altro c’è bisogno di pazienza e voglia di comprendere chi ci sta davanti. E proprio questo continuo richiamo alla difficoltà di mettersi nei panni degli altri è quello che ho trovato più intrigante in assoluto, ciò che potrei definire come Il sogno inconscio dell’umanità: non diventare onnipotenti o delle divinità in Terra, bensì riuscire a vedere il mondo con gli occhi dell’altro e quindi capirlo più a fondo. In modo tale da poter avere non solo un’altra prospettiva ma anche altri colori, altre sfumature, altre luci e soprattutto altre idee - proprio come accade a Roger e Dodger. Ecco cosa potrebbe veramente rendere l’uomo immenso ed ecco cos’ho trovato meraviglioso: la capacità di immergersi nell’altro, non solo in quanto uomo, ma soprattutto in quanto parte dell’universo; non solo per poter ampliare le nostre vedute e poter capire appieno ciò che ci circonda, ma soprattutto per farci conoscere dall’altro, per esprimere ciò che spesso tutti noi, esattamente come Dodger, non riusciamo a comunicare a parole ai Roger della nostra vita. Non è semplice, probabilmente più complicato da raggiungere rispetto all’essenza divina, ma quanto è bello poter dire “Vedere il mondo con i tuoi occhi, con il tuo punto di vista, mi riempie di gioia e mi fa scoprire cose prima impensabili”? In queste pagine c’è molto più della semplice scissione e poi fusione di due modi di essere – matematica e lingua – qui ci sono due vite opposte che cercano di capirsi con delicatezza e dolcezza. Roger e Dodger sono la personificazione di ciò che ognuno ha dentro di noi: una parte, rappresentata maggiormente dall’emisfero sinistro del nostro cervello, che tende alla logica, alla razionalità e al tempo (Dodger) e una parte, rappresentata dal nostro emisfero destro, che è meno dedita al calcolo e più alla poesia e alle metafore (Roger)**. Perciò, nel loro cercare di incontrarsi, di fondersi e accettarsi ho ritrovato anche il mio percorso di crescita: ognuno di noi dovrebbe cercare di abbracciare ogni suo parte. Cos’altro mi ha colpito? La verità che risiede nei continui allontanamenti di Roger e Dodger: non ho potuto fare a meno di associare a Reed la società attuale, che ci vuole divisi, separati e costantemente soli e nega continuamente il Noi, mentre ciò che davvero desideriamo, o perlomeno ciò che io desidero, è il realizzare di avere affianco l’altro, un altro che mi vuole bene, che è disposto a proteggermi e che rende meno mostruosa e grande la solitudine che ci accompagna dalla nascita. Per non parlare di quanto mi abbia commosso il tema dell'amore fraterno: chi, dove e come saremmo ora senza i nostri fratelli o sorelle? Quanto è rassicurante sapere di avere vicino qualcuno di così importante? Questo amore non rimane forse nel posto più immacolato e protetto del nostro cuore?
Inoltre, ci sono tantissimi altri motivi di riflessione e temi trattati: come ad esempio l'emarginazione che sia A. Deborah Baker che Dodger sono costrette a vivere a causa del loro sesso. In conclusione, quello creato e narrato in quest’opera è un mondo complesso, che insegna tanto e non così lontano dalla realtà, e per questo estremamente affascinante. Ve lo consiglio soprattutto se innamorati de Il mago di Oz di L. Frank Baum, Frankenstein di Mary Shelley e Non lasciarmi di Kazou Ishiguro. Mi auguro vi piaccia e che ritroviate in Roger e Dodger un po’ di voi stessi. Buona lettura.
*A lettura ultimata capirete.
**Sì, sono
consapevole della localizzazione a livello dell’emisfero sn del linguaggio; ma
il linguaggio elaborato da Roger è molto di più: è anche poetico e metaforico,
come lui ribadisce più volte.
martedì 14 luglio 2020
Benedizione
“[…] E se dicessimo ai nostri nemici: Siamo la
nazione più potente della terra. Possiamo distruggervi. Possiamo uccidere i
vostri bambini. Possiamo trasformare le vostre città e i vostri paesi in un
ammasso di rovine, e quando avremo finito non riuscirete nemmeno a ricordare
com’erano prima. Abbiamo il potere di togliervi l’acqua e prosciugare la vostra
terra, di privarvi delle basi dell’esistenza. Possiamo trasformare il giorno in
notte. Possiamo farvi tutto questo. E molto altro.
Ma se invece dicessimo: State a sentire,
invece di fare queste cose, vogliamo farvi dei doni, di nostra iniziativa, con
generosità. Tutto il denaro pubblico degli Stati Uniti, tutto l’impegno e le
vite umane che avremmo impiegato per distruggere, vogliamo impiegarli per
creare. Vogliamo riparare le vostre strade e autostrade, migliorare le vostre
scuole, rendere efficienti i vostri pozzi e i vostri acquedotti, preservare i
vostri tesori, la vostra arte e la vostra cultura, proteggere i vostri templi e
moschee. In pratica, vogliamo amarvi. E lo ripetiamo, non importa quello che è
successo in passato, non importa cosa avete fatto: noi vi ameremo. I nostri
cuori sono pronti”.
Benedizione, Kent Haruf
Edito NN Editore
Costo 17€
È finalmente giunto il momento di parlare di Benedizione
e dedicare spazio alle parole del reverendo Lyle, al rimorso e agli ultimi mesi
di vita di Dad, alla tenacia di Mary e all’affetto che nasce tra Lorraine, Willa,
Alene e Alice. È l’ultimo tassello di un puzzle complesso realizzato con
l’obiettivo di mostrare la vita in tutte le sue innumerevoli sfaccettature e di
ricordare o insegnare al lettore come spesso bene e male - generato
dall’ignoranza o dall’orgoglio - convivano in un unico corpo. Perciò, ecco come
sento di dover descrivere questo libro: come un insieme infinito di sfumature
di grigio, ma anche di giallo, blu, verde, oro e rosso che si riuniscono
attorno ad un’unica sfumatura di bianco. È infatti questa la differenza
principale con i volumi precedenti, dove le vite si intrecciano spesso per puro
caso: qui i volti che impareremo a conoscere si riuniranno volutamente attorno a
ciò che rimane di Dad, il personaggio che sin dalla prima pagina catturerà la
nostra attenzione; un uomo anziano, quasi completamente prosciugato dalla
malattia, che però cela nella sua anima un’enorme quantità di rimpianto per due
avvenimenti passati a cui non ha potuto e voluto, quando ancora era possibile,
porre rimedio. I due avvenimenti in questione, sebbene slegati tra loro,
mettono in risalto l’incapacità di Dad di perdonare, di essere flessibile, di mostrare
quell’altra guancia di cui parla il reverendo Lyle. Ognuno di noi, con il senno
di poi, non potrà fare a meno di rivolgere a Dad una sentita domanda: “Perché
non hai mostrato pietà o comprensione?”. Eppure, sappiamo anche quanto sia
difficile imbrigliare i nostri istinti ed il sentirci traditi e pugnalati alle
spalle. Il discorso del reverendo Lyle – in parte accreditato a Gesù, sebbene di una
semplicità disarmante, rimane probabilmente ancora oggi il più rivoluzionario e
provocatorio. Ma non è forse troppo generico dire “porgi al nemico l’altra
guancia”? Perché, come dimostrano l’attualità e la storia, ci sono situazioni
in cui è davvero impossibile perdonare il proprio carnefice. Chi ha sofferto,
chi ha sentito sulla propria pelle ingiustizia, dolore e impotenza non ha forse
il diritto di purificarsi da queste sensazioni attraverso l’ira, la rabbia e l’inconsolabilità?
Perché nessuno può negare la funzione fisiologica dell’ira o della rabbia:
quella di difendersi, di sopravvivere sia fisicamente che psicologicamente. Ma
come distinguere la rabbia “giusta” da quella sbagliata? Quale criterio usare
per poterla giustificare in certe situazioni? Il discorso che sgorga dalle
labbra del reverendo Lyle è di una complessità inaudita e, sebbene abbia avuto
diverse settimane per poterci ragionare, non ho ancora una risposta definitiva.
Non è neanche possibile intraprendere la via del ‘dipende da caso a caso’
perché le situazioni si mostrano in tutto la loro vastità solo con il senno di
poi. Quando possiamo ritenere “giusta” la salvaguardia delle nostre guance?
Perché gli estremi fanno male: sia il troppo perdono che l’assenza totale del
medesimo. Mi è impossibile dare una risposta, ma fino all’ultima pagina
continueremo a sentire l’assenza di Frank, il suo scappare per non tornare e l’oppressione
che deve aver vissuto per decidere di prendere una decisione così drastica. Perché
la verità è che è meglio dover sopportare il peso della solitudine piuttosto
che dover costantemente rinnegare sé stessi davanti a chi dovrebbe accettarci
per ciò che siamo. In quest’opera ci sono moltissimi altri spunti di
riflessione: la dimostrazione, attraverso Alice, Alene e Willa, che l’affetto
può andare oltre il semplice legame di sangue, l’importanza, attraverso Mary
che si mette alla disperata ricerca di Frank, che ricoprono nella vita i nostri
affetti e la difficoltà, mostrata attraverso John Wesley, insita nel vivere vicino
ad una persona diversa dal resto del mondo. Tutto in queste pagine grida: “vita!”
e con questo vi auguro una buona lettura.
giovedì 9 luglio 2020
Crepuscolo
“Quando
Guthrie e i ragazzi presero la strada di campagna che li avrebbe riportati a
Holt, sentivano ancora il bestiame a un miglio di distanza.
Non staranno mica male? Chiese Bobby.
No, stanno
bene, rispose Guthrie. Non hanno altra scelta. Succede ogni anno. Pensavo lo
sapessi.
Non ci avevo
mai fatto caso, disse Bobby. Non l’avevo mai fatto prima.
Mucche e
giovenche sono già gravide dei vitellini dell’anno prossimo, disse Guthrie. Se
non ci pensassimo noi, dovrebbero svezzare i vitellini quest’anno. Devono
rimettersi in forze per la prossima infornata.
Quelle
bestie fanno davvero un sacco di rumore, disse Ike. Non sembrano molto
contente.
No, rispose
Guthrie.
Guardò il
figlio, seduto accanto a lui nel furgone che viaggiava sulla strada sterrata in
quel luminoso pomeriggio invernale, l’aperta campagna piatta tutto intorno a
loro, grigia, bruna, molto secca.
Non lo sono
mai, disse. Non riesco a immaginare qualcosa o qualcuno che possa esserne
contento. Ma ogni essere vivente a questo mondo prima o poi va svezzato”.
Crepuscolo,
Kent Haruf
Edito NNEditore
Costo 18€
Come già si
può intuire dal nome o dall’estratto riportato sopra, Crepuscolo tratta temi
molto più complessi e a maggiore impatto emotivo rispetto al volume precedente,
non solo attraverso personaggi già conosciuti come Victoria, Harold, Raymond o
Guthrie, ma anche grazie a nuovi punti di vista, come quelli di DJ, Joy Rae,
Richie e Rose Tyler. Ciò che lega queste vite, almeno nella prima parte
dell’opera, è la solitudine; una solitudine che all’inizio appare al lettore
come quotidiana, quasi banale, con Victoria che inizia una nuova vita, ma che
poi assume dimensioni titaniche confondendo e in parte distruggendo l’atmosfera
creata in Canto della pianura. Qui il sole inizia davvero a tramontare,
facendo così emergere paura, dolore e fragilità. Kent Haruf afferma attraverso
Tom Guthrie “Ogni essere vivente a questo mondo prima o poi va svezzato”
e in queste 312 pagine sembra lo faccia anche con noi lettori. Ecco perché ho
definito Crepuscolo, nel post La trilogia della pianura, come un
sentiero brullo, poco riparato e in salita. È un pugno in piena faccia,
soprattutto quella di Joy Rae e Richie, e attraverso le sillabe che lo compongono,
il lettore cresce, vede quanto la realtà possa essere aspra, dolorosa e quanto
in alcune circostanze si possa essere indifesi.
I punti di
vista che più mi hanno fatto soffrire sono stati quelli di DJ, Joy Rae e
Richie, perché in loro ho trovato riposto sia il peso della vita (possono
quasi rivaleggiare con il titano Atlante), sia l’impossibilità di essere ciò
che si è, in questo caso dei bambini, e anche l’immenso dolore provocato dall’assenza
di un nido, di un posto riparato in cui trovare conforto. Non voglio dilungarmi
oltre, soprattutto per evitare qualsiasi tipo di spoiler, per questo concludo
dicendo che al di là di queste pagine dure, ci sono comunque attimi di pace e
dolcezza, ad esempio quando Raymond viene rassicurato dalla parlantina di Katie
(vedi p. 247), che consentono di godere della nitidezza del panorama e della
bontà umana. Mi auguro diate un’occasione a questa bellissima trilogia, buona
lettura.
Un giorno tutti diranno di essere stati contro
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