lunedì 30 agosto 2021

I giochi della notte

 “In teoria quindi, penso, Maud dovrebbe disapprovare dei modi così grossolani, offensivi e brutali quali quelli di Rickard, ma dal momento che, per una ragione o per l’altra, lo ama, accetta anche la sua brutalità, la sua disumanità, e, quel che è peggio, quel che è veramente immorale: per lealtà, per amore, lascia che la sua ammirazione per la persona di Rickard inglobi anche i suoi lati deplorevoli, prende le parti di Rickard quando offende qualcuno, piuttosto che quelle dell’offeso, rinnega la sua precedente concezione di giustizia e di decenza; tutta la sua visione morale dev’essere distorta e asimmetrica. Già, le mogli degli antipatici aprono prospettive se possibile ancora più terrificanti sulla malvagità umana dei loro amici, mi ritrovo a pensare.”

Gli implacabili – I giochi della notte, Stig Dagerman

 

Edito Iperborea

Costo 16,50

 

I giochi della notte, pubblicato due anni dopo Il serpente, raccoglie otto racconti estremamente vividi e folgoranti, capaci di sollecitare e trasportare colui che li legge in atmosfere e situazioni contorte, oniriche e – spesso – dolorose. In particolare, ogni racconto porta con sé sia la testimonianza di crescita narrativa e stilistica che un vero e proprio pezzo (pièce) dell’anima di Dagerman: sensibile, attento e geniale.

Si passa dal sentirsi scossi e addolorati realizzando quanto i bambini siano esposti – soprattutto agli orrori ed errori della vita - e fragili (come emerge soprattutto nei racconti I giochi della notte e Carne salata e cetrioli), al provare tenerezza per le scene di quotidianità presentate in Nevischio, al sentirsi persi in un sogno quasi spiacevole ed impressionante con L’albero dell’impiccato e al ritrovare una situazione surreale in Lo sconosciuto. Probabilmente, le caratteristiche principali di questa raccolta risultano essere l’incisività e la chiarezza: in pochissime pagine e con pochissime parole Dagerman riesce a delineare situazioni e personaggi estremamente complessi, portatori di quella contraddittorietà tipica della vita, in modo accessibile e poco criptico (grazie anche all’uso di figure che richiamano il senso del racconto stesso – Gli implacabili con la presenza del cane al guinzaglio ne sono un esempio calzante). Non mancano anche riferimenti interessanti, come il seguente: “Non bastava che il Pubblico calpestasse la sua erba, consumasse le sue pietre, rubacchiasse le sue rose, sporcasse i suoi sentieri, urinasse nella sua fonte. No, voleva anche renderlo superfluo. Ora gli sarebbe passato accanto con un libro in mano ridendogli apertamente in faccia, facendosi beffe della sua ignoranza per concludere dicendo: Caro signore, non abbiamo più bisogno di lei. Adesso abbiamo un libro. Può andarsene”. Non sembra di avere davanti l’abbozzo che Platone ci consegna di Socrate? O almeno la critica nei confronti di coloro che suppongono che la capacità di lettura equivalga al sapere (quando, al contrario, la lettura è solamente la chiave)?

In conclusione, questa lettura portata avanti insieme al gdl #sentendodagerman in collaborazione con @francesco.sinisi è stata una boccata d’aria fresca: scorrevole ed interessante.



giovedì 8 luglio 2021

Memorie d'una ragazza perbene

 “«Non voglio che la vita abbia altre volontà che la mia», scrissi nel mio diario. Era questo, io credo, il senso profondo della mia angoscia. Ignoravo quasi tutto della realtà, nel mio ambiente essa era mascherata dalle convenzioni e dai riti, cose che mi davano fastidio, ma non cercavo di coglier la vita alla radice; al contrario, evadevo nelle nuvole: ero un’amica, un puro spirito, non m’interessavo che agli spiriti e alle anime; l’intrusione della sessualità faceva scoppiare quest’angelismo: mi svelava bruscamente, nella loro tremenda unità, il bisogno e la violenza. […] Non si trattava di me, si trattava del mondo: se gli uomini avevano corpi che gridavano miseria e che pesavano grevi, questo mondo non si conciliava affatto con l’idea che io me n’ero fatta; miseria, deliri, oppressioni, guerre: intravvedevo confusamente orizzonti che mi spaventavano.”

Memorie d’una ragazza perbene, Simone De Beauvoir

 

Edito Einauidi

Costo 13€

 

Sono passati quasi due mesi da quando ho concluso Memorie d’una ragazza perbene, ma la sensazione di conforto provata durante la lettura continua a conservarsi nella mia memoria. Più volte, mentre mi perdevo nella precisione e nell’accuratezza della narrazione di Simone De Beauvoir, ho ripetuto a me stessa: “Quanto mi sarebbe stato utile conoscerla prima, quanto dolore mi sarebbe stato risparmiato osservando la sua crescita e notando come, nonostante la distanza spaziale e temporale, certe cose accomunino tutti gli esseri viventi”. Infatti, l’impressione, una volta terminate queste 368 pagine, è stata quella di aver trovato una guida, un animo sensibile che impara a conoscersi sia spiritualmente che materialmente. Nonostante sia vissuta durante il secolo scorso, i suoi dolori, i suoi dubbi, i suoi ragionamenti e le sue perplessità rimangono profondamente attuali: le ipocrisie e i moralismi che si introducono ed ostacolano il percorso di crescita di un individuo continuano a dilagare, interessando soprattutto la sfera sessuale. Memorie d’una ragazza perbene non è un semplice ripercorrere il proprio passato, mettendo l'accento sui contrasti familiari, le insicurezze e l'instabilità sentimentale della prima età adulta, bensì un continuo affermarsi come un essere umano che ha lottato per potersi percepire come un'unione di anima e corpo. In aggiunta, ci sono una moltitudine di parti e di riflessioni interessanti, che mostrano il coraggio di Simone De Beauvoir nel mettersi a nudo, tra queste spicca la seguente: «Non sono fatta come gli altri, devo rassegnarmi», mi dicevo; ma non mi rassegnavo affatto. Separata dagli altri, non avevo più alcun legame col mondo: questo diveniva uno spettacolo che non mi riguardava. Avevo rinunciato successivamente alla gloria, alla felicità, a servire; adesso addirittura non m’interessava più vivere. A volte perdevo completamente il senso della realtà: le strade, le automobili, i passanti non erano altro che una sfilata di apparenze tra le quali fluttuava la mia presenza senza nome. Mi accadeva di dirmi con fierezza e con timore che ero folle; non c’è molta distanza tra solitudine tenace e la follia”. Mi auguro vi possa piacere. Buona lettura.

 


sabato 12 giugno 2021

Wambleeska

 “«Questi sono gli alberi KIBOU, significa “speranza”. Deriva dall’antica lingua giapponese. La sostanza rossa e luminescente che li attraversa in realtà è ciò che mantiene in vita il piccolo paradiso terrestre che vedi. Attraverso le radici nutrono il terreno, rendendolo fertile.» «Perché si chiamano così?» «Dopo lo storm fight era rimasta una piccola zona incontaminata, gli umani cercarono di ampliarla e di prendersene cura, ricreando la Zona Verde. Dopo tutti gli sforzi fatti, le piante al suo interno iniziarono a morire.» Il suo viso era disteso, come anche il mio, grazie al contatto con la natura. «La preoccupazione tra la popolazione terrestre aumentò, anche perché la distruzione delle specie vegetali significava la perdita dell’ossigeno. Nonostante le continue ricerche e le sostanze utilizzate, non c’era nulla da fare. Poi un giorno, all’improvviso, comparve una piccola pianta alla quale se ne aggiunsero altre che, in poco tempo, avevano raggiunto i cento metri di altezza. Con la loro comparsa anche le altre piante rifiorirono nuovamente; attraverso una serie di studi si scoprì che la linfa di questi alberi permetteva anche ad altre specie vegetali di sopravvivere. Vennero chiamati KIBOU perché, nel momento esatto in cui le speranze erano svanite, era accaduto il miracolo. KIBOU ricorda agli umani che non devono mai smettere di sperare e che dovrebbero mantenere viva questa piccola luce.»”

Wambleeska, Maria Lucia Caparelli

 

Edito Self Publishing

Costo 10€

 

Ho riportato questo passo perché, a parer mio, racchiude l’essenza stessa del racconto Wambleeska: la ricerca della vita e della speranza nelle piccole cose, come in una piantina che sboccia e resiste attraverso il cemento o una scintilla che innesca un incendio poderoso o in un libro che, dopo anni, trova finalmente la luce. Mi è piaciuto molto perdermi in queste 277 pagine e, dopo averlo concluso, posso dire di aver avuto l’impressione di trovarmi in un mix tra i film – pieni di azione e adrenalina – della Marvel e la serie tv – geniale e potente – Altered Carbon. Wambleeska è stimolante, capace di farti riflettere su quanto l’istinto sia spesso più autorevole della ragione e su quanto il mondo sia intriso di umanità e bestialità, indipendentemente dalla specie di appartenenza.

Lo scenario post-apocalittico in cui ha inizio la narrazione, e che conosciamo anche attraverso una bellissima mappa, è intriso di nozioni scientifiche e di elementi curiosi ed intriganti (la fortezza dell’esercito WASKA è, ad esempio, inespugnabile poiché costruita grazie al maxloc “un materiale resistente alle alte temperature, anche vicine ai duecento gradi […] abbiamo fuso le rocce a temperature superiori ai duecento gradi e tramite l’utilizzo di membrane porose abbiamo separato il maxloc da tutti gli altri materiali”), da cui si evincono le grandi competenze e conoscenze dell’autrice in materia. Così, ci ritroviamo in un mondo nuovo, diverso dove bisogna comunque lottare per i propri diritti e per la propria esistenza: l’essere umano è riuscito a produrre in laboratorio dei cloni, a sua immagine e somiglianza, ma non è riuscito a vedere l’uomo che si cela al loro interno. Wambleeska è quasi un leader, un uomo che grazie al suo coraggio e alla sua forza di ribellarsi, ha saputo ispirare centinaia di migliaia di oppressi: è quasi l’incarnazione stessa della libertà, nonostante gli sbagli, il dolore e l’angoscia, è una sorta di Spartaco del futuro. Alla sua genuinità e bontà si contrappongono il narcisismo e la malvagità del Signor B, responsabile dell’oppressione di buona parte delle anime che percorrono la Lambasia (il continente post-apocalittico emerso dopo lo storm fight). Lo scontro tra i due accende e riempie queste pagine, consentendo al lettore di immedesimarsi e allontanarsi dalla realtà. Non voglio aggiungere nessun’altra informazione riguardante la trama, lascio a voi il piacere della scoperta. Ciò che tengo a sottolineare è la bellezza e la fluidità di questo romanzo, capace di concederti ore di riposo e di piacere; io per prima sono rimasta sorpresa dalle grandi capacità dell’autrice, che non ha nulla da invidiare a scrittori molto più acclamati. Mi auguro lo leggiate e cogliate la bellezza che si cela nel ricostruire dalle ceneri, anche se stanchi e ancora abbattuti dalla tempesta. Buona lettura.

Ringrazio di cuore Maria Lucia Caparelli per avermi concesso di leggere l'opera in anteprima e per aver riposto in me così tanta fiducia: ti mando un fortissimo abbraccio e ti auguro con tutto il cuore di non perdere mai la speranza.



mercoledì 9 giugno 2021

L'acqua del lago non è mai dolce

 “Io vorrei dire che tutti mentiamo sulla nostra famiglia, è quello il covo delle nostre più ardite bugie, dove nascondiamo la nostra identità, ci inventiamo favole, proteggiamo ingiustizie, facciamo incetta di luoghi comuni e ci barrichiamo dietro alle grida, le urla, i misteri; ma non è questo che dico, lo guardo e ribatto: Raccontami un’altra storia.”

L’acqua del lago non è mai dolce, Giulia Caminito

 

Edito Bompiani

Costo 18

 

Sono rimasta incantata davanti alla potenza di Tutto chiede salvezza, candidato al Premio Strega 2020, ma quasi del tutto indifferente davanti alla rabbia, alle ingiustizie e alla frustrazione di L’acqua del lago non è mai dolce, candidato al Premio Strega 2021. Se le prime cento pagine sono riuscite ad incuriosirmi (grazie alla figura di Antonia), a farmi realizzare quanto poco scontato sia possedere una casa e quanto alcune condizioni economiche siano complesse e mortificanti, le restanti 200 pagine non si sono rivelate all’altezza. Ho trovato il profondo lago delle emozioni e delle relazioni umane toccato solo superficialmente, non sono – infatti – riuscita a trovare quell’intensità che cercavo, quel brivido dovuto alla tortuosità e all’incoerenza dell’animo umano. Ho cessato di immedesimarmi, giustificare e provare a capire Gaia – la protagonista del racconto, prima bimba, poi adolescente e, infine, adulta – nel momento in cui la rigidità e l’inflessibilità del suo personaggio non sono state placate neanche dalla morte, in particolare quella di Carlotta (suicidio che, a mio avviso, è stato a malapena analizzato). Non sono una persona interessata a ciò che è delicato, scivola e cade nel dimenticatoio, sono maggiormente interessata a ciò che con forza ti spinge a guardare il lato misero e duro della realtà. In queste 300 pagine, non ci si ferma a riflettere sul bisogno d’accettazione che pervade l’adolescenza e sulle conseguenze che questo genera in individui di sesso femminile (portando alcune a soddisfare le aspettative sessuali maschili pur di provare approvazione) o su altre questioni rilevanti, ma si trova un continuo succedersi di accadimenti ingarbugliati raramente analizzati che, per questo motivo, non sono stati in grado di rimanere aggrappati alla pelle e all'anima.





domenica 23 maggio 2021

The passenger - Spazio

La collana The Passenger si profila come “una raccolta di inchieste, reportage letterari e saggi narrativi che formano il ritratto della vita contemporanea di un luogo, reale o astratto, esteso o circoscritto che sia”.  Il volume in questione permette al lettore di esplorare, attraverso vari punti di vista, l’ammasso di stelle, pianeti, satelliti e asteroidi che galleggiano sopra la nostra testa e sono dimostrazione della complessità del sistema in cui viviamo. I motivi che mi spingono a definire sublime questa raccolta sono molteplici: dalle firme di alcuni articoli (come Lauren Groff e Paolo Giordano) alla presenza di grafici, schemi e illustrazioni che rendono l’Universo accessibile a tutti. In aggiunta, con le sue 191 pagine, The Passenger – Spazio esplora il cosmo sia dal punto di vista scientifico che dal punto di vista etico; questo lo rende estremamente originale, affascinante ed intrigante.

L’Universo, infatti, non è solo una coesistenza di vuoto – quasi mai assoluto – e materia, non è solo scienza, è bensì un luogo dove proiettare i propri sogni, le proprie ambizioni o le proprie idee (quasi una sorta di Hyperuránios, l’Iperuranio platonico); di conseguenza, risulta doveroso chiedersi: quali sono queste idee? Quali gli obiettivi?

Lauren Groff, scrittrice statunitense, in La notte, il sonno, la morte e le stelle si domanda chiaramente: “È giusto delegare il nostro futuro all’egoismo di un paio di miliardari presuntuosi?” 

E questa, probabilmente, è solo una delle domande più complesse, audaci e difficili da porre a se stessi. Perché, in realtà, è naturale che i propositi, le convinzioni e gli insegnamenti cambino e si modifichino da persona a persona; è, così, inevitabile chiedersi: che umanità troverà posto su Marte o su altri pianeti ipoteticamente abitabili? Chi avrà l’opportunità di ricostruire una Terra 2.0? Quali i pilastri etici e morali su cui si fonderà?

Alcune opere fantascientifiche o distopiche, citate anche nel volume in questione, quali Dune o Il racconto dell’ancella, hanno già fronteggiato tematiche spinose e non così lontane dal nostro presente: l’importanza di materie prime essenziali per la vita, il ruolo che la religione potrebbe nuovamente ricoprire nella società umana o la mercificazione del corpo umano sono solo degli esempi; riusciremo a non commettere gli stessi errori?

Una delle frasi che più mi hanno colpito, presente nell’articolo L’ottavo continente di Rivka Galchen, è la seguente: “Siamo meschini e ci comportiamo male sulla Terra; saremo meschini e ci comporteremo male nello spazio”. Difatti, diverse volte, concentrati sul nostro bisogno di cambiamento, dimentichiamo di essere portatori e di coesistere con tantissimi microrganismi, quali funghi e batteri (simbionti o saprofiti), ma non solo: dimentichiamo di essere anche veicolo di tantissimi comportamenti tossici, egoisti e spregevoli. Come fare per arginarli ed equilibrarli ai nostri pregi? 

Altre volte, invece, sempre focalizzati sul nostro bisogno di cambiamento, non intuiamo quanto possa essere difficile rincominciare da capo, dimenticando quanto sforzo e sudore abbia richiesto il posto che attualmente occupiamo.

La domanda che, ultimamente e sempre più frequentemente, pongo a me stessa è la seguente: ci verrà concesso, in un nuovo pianeta, di non essere esclusivamente dei corpi utili per la riproduzione della specie? Riusciremo a portare nei nostri bagagli i diritti e le libertà acquisite con fatica e più fragili di una tazza di porcellana?

The Passenger – Spazio fornisce gli strumenti per poter, almeno in parte, iniziare a rispondere a queste domande. Buona lettura.

Ringrazio di cuore Iperborea per la copia.



domenica 16 maggio 2021

#sentendoDagerman

 “Mi manca la fede e non potrò mai, quindi, essere un uomo felice, perché un uomo felice non può avere il timore che la propria vita sia solo un vagare insensato verso una morte certa. Non ho ereditato né un dio né un punto fermo sulla terra da cui poter attirare l’attenzione di un dio. […] Non oso dunque gettare pietre sulla donna che crede in cose di cui io dubito o sull’uomo che venera il suo dubbio come se non fosse anch’esso circondato dalle tenebre. Quelle pietre colpirebbero me stesso, perché di una cosa sono convinto: che il bisogno di consolazione che ha l’uomo non può essere soddisfatto.”

Il nostro bisogno di consolazione, Stig Dagerman

 

#sentendodagerman nasce dal bisogno di ritrovare se stessi attraverso le pagine di capolavori quali Il nostro bisogno di consolazione e Il serpente.

Stig Dagerman, nato in Svezia nel 1923 e morto suicida nel 1954, impregna le sue opere di una sensibilità e di una visione del mondo difficile da dimenticare o da ritrovare in testi attuali. Alcuni lo considerano il «Camus svedese», altri lo paragonano a Kafka: tutti, però, riconoscono la sua incisività e il suo mettere a nudo l’angoscia, la disperazione e la bestialità umana.

Il sentire è ciò che sta alla base di questo gruppo di lettura: quanto spesso sentiamo ardentemente il mondo? Quanto spesso, guardandoci allo specchio, ritroviamo nei nostri occhi una sensibilità immensa che ci espone e ci rende nudi?

Unitevi a noi, da giugno a dicembre (o anche solo per un mese), per scoprire un “anarchico viscerale cui ogni sistema va stretto, militante sempre dalla parte degli offesi e degli umiliati […]”.

sabato 15 maggio 2021

Tutto chiede salvezza

 “Vorrei avere una corazza, un’armatura del migliore ferro, capace di tenermi distante dalle cose, vorrei non disperarmi per la disperazione degli altri, non sentire la madre di Giorgio come mia madre, la vita degli altri saldata alla mia come un patto di sangue. Perché il dolore costa fatica, ho vent’anni ma ho sofferto per mille, rimanendo sempre uguale a me stesso: un bambino, come Giorgio, di fronte a un dolore che non puoi conoscere né addomesticare. Ma i bambini non sono fatti per il dolore, nascono dalla gioia, per vivere in dolcezza gli amori che verranno.”

Tutto chiede salvezza, Daniele Mencarelli

 

Edito Mondadori

Costo 13

 

Ho desiderato immergermi in Tutto chiede salvezza per molto tempo, ma per vari motivi ho sempre rimandato la lettura, fino a quando – una settimana fa – non ho deciso di farmi trascinare in questo racconto così potente e commovente. Sono una persona che generalmente predilige i racconti lunghi, che con la loro mole esplorano lentamente e approfonditamente l’animo umano, ma in questo caso mi sento di rivedere completamente le mie preferenze: Tutto chiede salvezza in sole 189 pagine arriva dritto al cuore, è come un pugno allo stomaco fatto di dolore, sofferenza, bisogno di comprensione, bisogno di salvezza e, allo stesso tempo, dolcezza. Mi sono commossa all’inverosimile davanti alla vulnerabilità di Daniele, Gianluca, Giorgio, Mario, Madonnina e Alessandro: i personaggi che animano queste pagine e che, per diverse ragioni, si ritrovano insieme nel reparto di psichiatria (ad esempio Daniele, la voce narrante, si trova ad affrontare il suo primo TSO – trattamento sanitario obbligatorio); ma sono rimasta ancor più toccata e intenerita dal loro bisogno di presenza, di compagnia e di vicinanza sia fisica che mentale. Attraverso le loro esperienze capiamo cosa voglia dire perdersi in luoghi oscuri, fatti di emozioni tiranniche, difficilmente gestibili e spesso in grado di sballottare, accartocciare e frantumare l’io come se fosse fatto di carta velina.

La malattia mentale, in tutte le sue sfumature, è sempre un qualcosa di totalizzante che ti lascia in balia sia di tempeste e naufragi che di difficili camminate attraverso sabbie mobili o paludi mortifere; eppure, probabilmente, le cose peggiori che si possono provare sono l’estremo senso di solitudine e la costante consapevolezza di essere diversi, difettosi o rotti. Questo piccolo romanzo esplora questa immensa solitudine, questo ritrovarsi davanti a figure professionali che riducono l’uomo alla sua malattia e che spesso, al posto di accompagnarlo e proteggerlo, lo privano ulteriormente di quel poco di dignità rimasta; ma, al contempo, esplora anche l’instaurarsi di amicizia e fratellanza tra coloro che si sentono diversi e persi. Insomma, sono pagine estremamente toccanti e che mi sento di consigliare dal profondo del cuore. Vi auguro una buona lettura.



Un giorno tutti diranno di essere stati contro

 “Oggi ho visto il filmato di un uomo che baciava il piede del figlio mentre lo seppelliva. Il corpo era talmente dilaniato dai missili che ...